C. M. Martini: "Teologia della comunicazione" nella lettera pastorale Effatà
Nel brano del Vangelo di domenica prossima ( XXIII del T.O. ) la guarigione del sordomuto.
Nella lettera pastorale del 26 Marzo 1996, che affronta l’azione tipica della chiesa: il comunicare , C. M. Martini propone una sorta di teologia della comunicazione a partire dall’autocomunicazione di Dio all’uomo.
La comunicazione dell’uomo, piena di difficoltà, non può che ispirarsi alla comunicazione di Dio quale viene espressa dal mistero della Trinità. ….. Oggetto di particolare attenzione sono le forme di comunicazione non verbale della fede, quali il canto e la musica, la comunicazione simbolica e il linguaggio proprio della Chiesa.
Aprendo il link accanto ( C.M.Martini Lettera Pastorale Effatà ) si potrà leggere la lettera nella sua interezza dalla quale abbiamo estrapolato una piccola parte che potrà essere utile nella lettura del brano evangelico.
“Contempliamo Gesù nel momento in cui sta facendo uscire un uomo dalla sua incapacità a comunicare. Si tratta della guarigione del sordomuto raccontata in Mc 7, 31-37. S. Ambrogio chiama questo episodio – e la sua ripetizione nel rito battesimale – “il mistero dell’apertura”: “Cristo ha celebrato questo mistero nel Vangelo, come leggiamo, quando guarì il sordomuto” (I misteri, I, 3).
Dividiamo il racconto in tre tempi: la descrizione del sordomuto, i segni e gesti di apertura, il miracolo e le sue conseguenze.
1. La narrazione evangelica precisa anzitutto il disagio comunicativo di quest’uomo. E’ uno che non sente e che si esprime con suoni gutturali, quasi con mugolii, di cui non si coglie il senso. Non sa neanche bene cosa vuole, perché è necessario che gli altri lo portino da Gesù. Il caso è in sé disperato (7, 31-32).
2. Ma Gesù non compie subito il miracolo. Vuole anzitutto far capire a quest’uomo che gli vuol bene, che si interessa del suo caso, che può e vuole prendersi cura di lui. Per questo lo separa dalla folla, dal luogo del vociferare convulso e delle attese miracolistiche. Lo porta in disparte e con simboli e segni incisivi gli indica ciò che gli vuol fare: gli introduce le dita nelle orecchie come per riaprire i canali della comunicazione, gli unge la lingua con la saliva per comunicargli la sua scioltezza. Sono segni corporei che ci appaiono persino rozzi, scioccanti.
Ma come comunicare altrimenti con chi si è chiuso nel proprio mondo e nella propria inerzia ?
Come esprimere l’amore a chi è bloccato e irrigidito in sé, se non con qualche gesto fisico?
Notiamo anche che Gesù comincia, sia nei segni come poi nel comando successivo, con il risanare l’ascolto, le orecchie. Il risanamento della lingua sarà conseguente.
A questi segni Gesù aggiunge lo sguardo verso l’alto e un sospiro che indica la sua sofferenza e la sua partecipazione a una così dolorosa condizione umana.
Segue il comando vero e proprio, che abbiamo scelto come titolo di questa lettera: “Effatà” cioè “Apriti!” (7, 34). E’ il comando che la liturgia ripete prima del Battesimo degli adulti: il celebrante, toccando con il pollice l’orecchio destro e sinistro dei singoli eletti e la loro bocca chiusa, dice: “Effatà, cioè: apriti, perché tu possa professare la tua fede a lode e gloria di Dio” (Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti, n. 202).
3. Ciò che avviene a seguito del comando di Gesù è descritto come apertura (“gli si aprirono le orecchie”), come scioglimento (“si sciolse il nodo della sua lingua”) e come ritrovata correttezza espressiva (“e parlava correttamente”). Tale capacità di esprimersi diviene contagiosa e comunicativa: “E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano”.
La barriera della comunicazione è caduta, la parola si espande come l’acqua che ha rotto le barriere di una diga. Lo stupore e la gioia si diffondono per le valli e le cittadine della Galilea: “E, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti”“ (7, 35-37).
In quest’uomo, che non sa comunicare e viene rilanciato da Gesù nel vortice gioioso di una comunicazione autentica, noi possiamo leggere la parabola del nostro faticoso comunicare interpersonale, ecclesiale, sociale.”
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