I Domenica di Avvento: prepariamo una dimora "pulita" al Dio che viene.
«In 1Ts 3,12 + ci sono date le indicazioni per questo nostro Avvento: esortazione molto forte ad abbondare e a sovrabbondare.
Se l’Avvento è quello che è, qui occorre abbondare: respingere il calcolo, la parsimonia, la misura stretta…. abbondare nella carità l’uno verso l’altro e verso tutti. Abbondare, avere una visione larga gli uni verso gli altri, uscire dalla nostra piccola tana e muoverci verso l’altro.
… Il testo, in quello che segue, fa un forte richiamo alla purezza…. C’è nello spirito dell’Avvento (in modo diverso dalla Quaresima che è purificazione e umiliazione della persona e del corpo attraverso il digiuno) una preparazione di una dimora pulita al Signore che viene. Tutto è puro in ciò che è a contatto con il Signore: il seno della Vergine; l’asinello su cui nessuno era montato; il sepolcro nuovo.
Forte richiamo alla purezza nella mente, nel cuore e nel corpo: estirpazione in radice dei desideri contrari perché a questo ci ha chiamato il Signore.
Il v. 8: Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito è importante non solo nella prima parte ma nell’ultima: Dio che dà lo Spirito Santo in voi. Il Signore viene nel mondo per dare una realtà nuova albare, limpidissima che è lo Spirito Santo. Lo Spirito è lo Spirito della limpidità, della purezza e degli affetti e del corpo ben armonizzati per cui Gerusalemme riposerà in fiducia e sarà quindi il suo nome il Signore giustizia nostra (d. G. Dossetti, appunti di omelia, Gerico 2.12.1979).
«La manifestazione del Figlio dell’uomo spacca l’universo e per questo non bisogna lamentarsi dei segni di sconvolgimento perché è la creazione nuova. Il cosmo in cui noi siamo inseriti è una realtà unica (di dentro e di fuori): se noi siamo proiettati nell’ultimo giorno nulla ci spaventa altrimenti tutto ci scuote di fuori e di dentro. È il vivere già in Dio che permette di rendere culto a Dio con gioia, ma non si può essere in questa gioia se non si è già là». (Sr. Agnese, appunti di omelia, 1972).
…Noi sappiamo che tutto è precario, che all’improvviso tutto può finire: è per noi un dato scientifico. C’è anche un big-bang della fine come quello che la scienza ci suggerisce di immaginare alle origini del mondo. Ma questa consapevolezza scientifica non ci dice nulla.
Solo la coscienza è capace di attendere la novità.
La fede ci suggerisce l’attesa della novità conforme alla nostra attesa di giustizia, nel senso pregnante che ha la parola pace.
La pace è l’aspetto radioso della giustizia.
Essa prorompe dalla giustizia, postula la giustizia.
Questa attesa è sorretta dalla promessa che ci è stata fatta.
Nella coltre delle tenebre in cui siamo, una mano si stende verso di noi e noi dobbiamo tendere la nostra. Questa reciprocità contiene il senso del tempo!
La nostra attesa allora significa disposizione ad accogliere la promessa come un impegno.
Noi siamo spettatori di un processo, anzi il processo non si vede se non ci siamo dentro.
Chi non si è liberato non vede nulla. Chi è prigioniero, come dice il Vangelo, delle «dissipazioni» non vede nulla, non si accorge del nuovo che viene, ma chi è proteso verso questo futuro diverso, un futuro che è sempre più indispensabile, è nel regno di Dio. (Ernesto Balducci – “Gli ultimi tempi” – vol. 3 – Anno C)
… . Il nostro è il Dio della Promessa. Io credo nel Dio della promessa e nella promessa di Dio. Questa è l’essenza della fede.
E allora, se c’è questa promessa che si è attuata nel figlio dell’uomo, il mio atteggiamento non è più di paura invincibile, perché per quanto passino il cielo e la terra, c’è qualcosa che non passa: appunto la Parola che la fede schiude dentro come un fiore sempre vivo. (Ernesto Balducci – “da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 3)
«È la parola che tiene il cuore leggero; le preoccupazioni terrene sono quelle che appesantiscono il cuore perché soffocano la Parola (cfr. Lc 8,14)» (Sr. Agnese, appunti di omelia, 1972).
… Se la nostra consuetudine con la Parola di Dio non è occasionale ma strutturale, è una specie di ritmo interno che si intreccia col battito del cuore, queste cose noi le vediamo nascere.
E allora la nostra scelta di fede sarà non quella di piangere sulle catastrofi ma quella di allearci con le cose nuove in cui traluce l’adempimento della Promessa di Dio.
Ché se noi dovessimo fondare la certezza sull’esperienza non ce la faremmo. Come il rabbino della leggenda, a cui un cristiano osò dire che il Messia è già venuto ad inaugurare il suo regno; apri la finestra, guardò il mondo e disse: «No, il mondo è tale che il Messia non è venuto ». E aveva ragione.
Dov’è il Messia?
… Egli è Colui che viene: il giorno del Signore viene, non appartiene al nostro calendario passato, è una dimensione del futuro che irrompe, appunto è un adventus, è qualcosa che viene verso di noi.
Allora la fede consiste nel discernimento di questo processo antitetico al successo della catastrofe che è processo di vita. Consiste nell’allearsi ai nuovi segni della vita.
È che noi conosciamo la vita secondo le indicazioni dei vecchi manuali.
Molti cristiani si accostano alla realtà con lo schema già fatto delle leggi morali sancite, universali, e non si accorgono che conservando le loro leggi astratte mettono i piedi sul germoglio nuovo che è nato.
Prima di essere una morale, la fede è discernimento, è un saper cogliere la realtà che nasce, è un passo verso ciò che nasce e cresce.
Questo è il modo di incontrare Dio.
Altrimenti Dio diventa un nome consolatorio che ci strappa dalla comune condizione umana e ci rende incapaci di piangere adeguatamente e di essere adeguatamente sereni.
Quando la nostra vita si è legata, con questo nesso indissolubile, al processo del Dio che viene, allora siamo liberi dalla paura.
Infatti, che cosa può avvenire, poi?
Cosa può avvenire che spezzi questa sicurezza?
Niente può avvenire!
All’interno di una vera comunità cristiana non c’è la paura di esser incompresi, perseguitati, vittime della storia.
C’è oggi un linguaggio vittimistico, fra i cristiani, che è insopportabile. Come se nel mondo non ci fossero vittime più serie, magari i negri del Sud.Africa, magari i palestinesi … Non staremo a piangere sul mondo che ci perseguita: staremo qui ad allevare il germoglio che è nato; ad esser pronti – in qualunque parte del pianeta – a scommettere che per la promessa di Dio, adempiuta in Cristo, la vita vincerà sulla morte. E questa certezza va pagata quotidianamente, non spesa nelle orazioni domenicali: va scontata giorno per giorno nelle scelte. (Ernesto Balducci – “da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 3)
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