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XIX Domenica del T.O. – "Noi cristiani siamo «coloro che attendono la venuta gloriosa del Salvatore Gesù Cristo"

XIX«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno»: le parole di Gesù con cui si apre il vangelo odierno, oltre a essere di grande consolazione, sono fondamentali perché esprimono l’identità della sua comunità, quale egli la vuole e la pensa. Definendola «piccolo gregge», Gesù afferma innanzitutto che è lui il vero pastore, «il buon pastore» (Gv 10,11.14) : il Padre ha posto le pecore nelle sue mani, ed egli dà loro la vita eterna (cf. Gv 10,27-30) .
 L’espressione «piccolo gregge» non va intesa solo in senso quantitativo; il richiamo alla «piccolezza» è un monito contro la tentazione di primeggiare e di essere ammirati dagli uomini (cf. Lc 6,26) : nessun orgoglio o arroganza da parte della chiesa, ma l’umiltà di chi pone la sua fiducia solo nel Padre e nel suo Regno veniente
Da questa straordinaria parola dipende tutto il resto del brano.
Gesù chiede in primo luogo ai suoi discepoli di dare in elemosina i loro beni, di condividere ciò che possiedono, senza preoccuparsi del domani (cf. Mt 6,34). Nessun accumulo di ricchezze a discapito dei fratelli può appesantire chi sa che «dove è il proprio tesoro, là è anche il proprio cuore»: la comunione con il Signore Gesù Cristo è il tesoro della propria vita. E qual è la caparra più reale del tesoro preparato per noi nei cieli, se non la gioia che nasce dal vivere già sulla terra la condivisione fraterna? Come potremo gioire alla fine dei tempi, se non sappiamo gioire qui e ora?
 Se dunque Gesù è il bene prezioso della nostra vita, colui per il quale vale addirittura la pena di perdere la vita (cf. Lc 9,24) , saremo anche capaci di orientare tutta l’esistenza verso la sua venuta alla fine dei tempi. Noi cristiani siamo infatti per definizione «coloro che attendono la venuta gloriosa del Salvatore Gesù Cristo» (cf. Tt 2,13) , «coloro che amano la sua venuta» (cf. 2Tm 4,8) …
 Ciò che ci contraddistingue è l’atteggiamento della vigilanza, descritto efficacemente da Gesù: «Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a chi aspetta il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa». A questo mandato egli unisce una promessa: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà svegli; si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e li servirà».
  Per chi lo attende con perseveranza il Signore ripeterà i gesti compiuti nell’ultima cena, quando si è fatto servo dei suoi discepoli e ha detto loro: «Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse chi sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27) . [ E. Bianchi ]

***

La missione dei credenti non è protagonismo ma testimonianza. Essa chiede ai credenti decisioni coraggiose e attività infaticabile, ma non per mettere in mostra se stessi, bensì per divenire servitori di Gesù.
In un’altra pagina del suo vangelo Luca è ancora più chiaro e tagliente. Nel c. 17 egli narra la parabola dei servi che, dopo aver lavorato tutto il giorno nei campi, devono, senza sosta alcuna, prestare il servizio necessario per la cena del padrone. E oltre tutto sono invitati a dichiararsi “servi inutili”.
Da un lato viene ingigantita la mole del lavoro da svolgere; dall’altro viene tolta ogni possibilità di gratificante compiacimento per la fruttuosità del servizio.
Tutto ciò può far sospettare durezza d’animo nel padrone. In realtà proprio questo riconoscere l’inutilità del servizio permette ai servi di cambiare mentalità e di entrare in una nuova dimensione spirituale, dove quello che conta non è tanto l’esecuzione puntuale e perfetta del lavoro (la “giustizia degli scribi e dei farisei” di cui parla Mt 5,17, che si rivela in pratica carente di amore), ma il rapporto di amore, di gratitudine, di umiltà, di familiarità con il padrone.
Egli da padrone diventa padre, i servi diventano figli, consapevoli che tutto quello che fanno non è nulla di fronte all’immenso amore che hanno ricevuto. Allora continuano a fare, a lavorare, a servire, ma non con la pretesa di fare qualcosa di importante e di risolutivo, bensì nell’intento di porre segni autentici con cui esprimere la propria gratitudine e la propria volontà di condividere la sollecitudine amorosa del padrone assente. E questa sollecitudine è senza limiti, e anche questo amore dei servi fatti figli ha la insaziabilità, il dinamismo mai stanco proprio della carità.
 Poiché sono in gioco valori spirituali così alti e misteriosi, la condizione dei servi è stupenda, ma anche drammatica.
Si vive in un clima di enorme serietà. C’è il rischio di non capire il cuore del padrone, di fraintendere il senso del servizio, di non compiere bene la missione ricevuta, di usare dei beni ricevuti dal padrone per soddisfare i propri desideri egoistici, di trattare malamente quelli che sono in casa.
Così facendo ci si esclude dal clima della casa e ci si espone alla terribile condanna di essere irrevocabilmente cacciati di casa.
Gesù parla alla nostra libertà e, purtroppo, la libertà è esposta al rischio di dir di no, o almeno di dare risposte languide, malferme, che alla fine sono perdenti.
Di qui l’accorato, severo invito di Gesù ad essere sempre vigilanti.  [ Card. Carlo Maria Martini ]

***

  Sì, dobbiamo sempre essere ben desti, perché il Signore Gesù, il Figlio dell’uomo, verrà nell’ora che non pensiamo, come un ladro nella notte; per chi avrà saputo attenderlo si compirà allora la sua parola: «Io preparo per voi un Regno, perché mangiate e beviate alla mia tavola» (cf. Lc 22,29-30)!
Infine, sollecitato da Pietro, Gesù trae alcune conseguenze delle sue parole per quanti nella sua comunità hanno responsabilità di guida, responsabilità «pastorali».
 Se tutti sono chiamati a vigilare, è però vero che il Signore, «il Pastore dei pastori» (1Pt 5,4) , ha affidato ad alcuni il compito di essere amministratori fedeli e sapienti, incaricandoli di «distribuire ai loro con-servi la razione di cibo a tempo debito». Ebbene costoro, cioè i pastori della chiesa nell’oggi della storia, sappiano di essere chiamati a svolgere il loro ministero quali «servi di Cristo»  (1Cor 4,1) , colui che proclama beati quei servi che, alla sua venuta, saranno trovati intenti al loro servizio. Se invece, per l’affievolirsi dell’attesa del Signore, essi acconsentono alla tentazione di spadroneggiare sul gregge loro affidato   (cf. 1Pt 5,3) , saranno puniti con severità; non potranno infatti dire di non essere stati avvertiti…
Il piccolo gregge della chiesa non deve temere nulla dall’esterno: l’unica minaccia seria può venirgli da se stesso, dalla sua incapacità di amare il Signore Gesù e di tenersi pronto alla sua venuta nella gloria.
È questa attesa vigilante che dà senso alla nostra vita e ispira il nostro comportamento quotidiano.
Lo aveva ben capito san Basilio, il quale scriveva: «Che cosa è proprio del cristiano? Vigilare costantemente ed essere sempre pronto a compiere ciò che è gradito a Dio, sapendo che nell’ora che non pensiamo il Signore viene». [E.  Bianchi]
 

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