XXVI Domenica del T.O. – La fede non si fonda su miracoli o su eventi straordinari, ma sull’ascolto della Parola di Dio
Per la terza e ultima volta appare nel vangelo di Luca l’espressione “uomo ricco”; espressione sempre negativa.
E’ già apparsa una prima volta come l’uomo stolto, sciocco, ricco, ingordo, che demolisce i granai per costruirne degli altri.
Nella parabola di domenica scorsa ( quella del fattore disonesto ) Gesù denuncia il fatto che la ricchezza è sempre disonesta.
Nella parabola di questa domenica si parla di “un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti.”.
L’unica descrizione che Luca dà del ricco è questa, non si dice che – come a volte si pensa – questo ricco sia malvagio, cattivo, nulla di tutto questo. E’ un uomo ricco e, secondo la tradizione biblica ebraica, era benedetto da Dio perché Dio premiava i buoni con la ricchezza e li malediva con la povertà.
Poi c’è “«Un povero, di nome Lazzaro»”, che “«stava alla sua porta, coperto di piaghe»”.
Le piaghe erano considerate un castigo inviato da Dio, secondo il libro del Deuteronomio, cap. 28. Quindi è un uomo che è colpevole della sua miseria e delle sue piaghe.
….. Ebbene, a sorpresa, dice Gesù “«Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli». – L’uomo che sulla terra aveva come unica compagnia gli esseri più impuri, i cani, viene portato dagli angeli, cioè gli esseri più puri, quelli più vicini a Dio. –
“«Accanto ad Abramo»: per comprendere bene questa parabola di Gesù, notiamo che è rivolta ai farisei che si beffavano di Gesù che aveva detto che non è possibile servire Dio e il denaro, e, proprio perché rivolta ai farisei, Gesù parla con le categorie farisaiche del premio e del castigo da ricevere nell’aldilà.
E lo fa secondo un libro conosciutissimo a quell’epoca, il libro di Enoch, dove il regno dei morti veniva considerato un grande baratro, dove il punto più luminoso era il seno di Abramo, il punto più oscuro era dove andavano a finire i malvagi.
“«Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi», il termine ‘inferi’ traduce il termine greco ‘ade’ che significa ‘regno dei morti’, “«tra i tormenti, alzò gli occhi»”, e finalmente si accorge di Lazzaro.
Il ricco di questa parabola non viene condannato per essere stato malvagio nei confronti del povero, per averlo maltrattato, ma semplicemente non si è accorto della sua esistenza.
Solo adesso, quando è nel bisogno, finalmente se ne accorge.
Ma i ricchi non cambiano, i ricchi sono animati da una perversione che non è possibile sradicare dalla loro esistenza.
E infatti non chiede, ancora comanda, “«’Padre Abramo, mostrami pietà’»”, mostrami misericordia, e ordina, “«’Manda Lazzaro’»”, lui, il ricco pensa che tutto gli sia dovuto. Lui si serve delle persone, non ha mai servito.
E Abramo gli risponde, sempre secondo la teologia farisaica, con il fatto del premio e del castigo “«’Tu hai ricevuto i tuoi beni e Lazzaro i suoi mali’»”.
…. Ma ecco l’egoismo del ricco, l’egoismo che non si può sradicare, che arriva fino in fondo. Dice, “«Allora padre, ti prego di mandare Lazzaro’»”, lui di Lazzaro si serve, “«’a casa di mio padre perché ho cinque fratelli’»”.
Gli interessa soltanto la sua famiglia, non dice “mandalo al popolo, alla gente, mandalo ad annunciare cosa succede se accumulano denari, se non pensano agli altri”.
No, il ricco è incurabilmente egoista, pensa soltanto a sé stesso e che tutto gli sia dovuto. Allora manda ai suoi fratelli, alla sua famiglia, degli altri non gli interessa.
Ed ecco la risposta di Abramo, “«Hanno Mosè e i Profeti’»”, cioè quelli che hanno legiferato a favore dei poveri, Mosè ha detto “la parola del Signore è che nessuno sia bisognoso”, i profeti hanno tanto tuonato contro i ricchi, “«’Ascoltino loro’»”.
E la replica del ricco: “«No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno’»”.
Ed ecco la sentenza importante e drammatica di Gesù, “«Abramo rispose: ‘Se non ascoltano Mosè’»”, la parabola è rivolta ai farisei, quelli che si fanno scudo della legge di Mosè, della dottrina, soltanto per coprire i propri interessi.
Queste persone tanto pie, tanto devote, i zelanti custodi della tradizione e della fede, quando non conviene, sono i primi ad ignorare la legge di cui sono difensori. “«’Se non ascoltano Mosè e i Profeti non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti’»”. ( A Maggi )
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La fede non si fonda su miracoli o su eventi straordinari, ma sull’ascolto della Parola di Dio (cf. Rm 10,17).
Non si dimentichino in proposto le parole rivolte da Gesù risorto ai discepoli sgomenti e increduli: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (Lc 24,44).
Sì, la nostra fede è generata dall’ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento, rilette alla luce della vita di Gesù, quella vita all’insegna della comunione e dell’amore che lo ha condotto alla vittoria sulla morte, alla resurrezione.
E la fede, se è autentica, è «fede operante mediante l’amore» (Gal 5,6), si traduce cioè in azioni concrete ispirate dall’amore fraterno.
È infatti l’amore l’unica realtà su cui saremo giudicati al termine della nostra vita: l’amore che può dare senso ai nostri giorni sulla terra, l’amore che è qui e ora condivisione dei beni in modo che siano distribuiti «a ciascuno secondo il suo bisogno» (At 4,35).
Ma ricordiamolo: «se uno ha ricchezze nel mondo e, vedendo il proprio fratello nel bisogno, gli chiude il cuore, come può l’amore di Dio rimanere in lui?» (1Gv 3,17). (E.Bianchi)
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