XXIX Domenica del T.O. – la vedova ostinata diventa vedova orante, e quindi modello di comportamento per il credente, esempio incrollabile dell’intervento divino che farà giustizia.
La parabola del giudice e della vedova presenta il comportamento:
* di un giudice iniquo che non teme Dio né il prossimo, ma che finisce per fare giustizia alla vedova;
* della vedova in questione, esempio tipico della gente povera e indifesa, che riesce ad averla vinta a forza di insistere.
Il tema del diritto leso del povero da parte di giudici ingiusti appartiene al repertorio delle denunce profetiche ( Am 5; 12; Is 10,1-2; Ger 5, 20 etc..).
La parabola mette quindi in scena un caso classico per invitare alla preghiera incessante, tema molto vicino all’applicazione della parabola dell’amico importuno ( Lc 11,5-8) , al punto che c’è chi parla di parabole gemelle.
Il racconto proviene dalla tradizione propria; luca l’ha inquadrato con una introduzione ( v. 1) che manifesta come l’evangelista vuole che il lettore capisca la parabola , e con una finale ( v. 8b) che menziona il Figlio dell’uomo e aggancia così la parabola al “ discorso escatologico” precedente …
La parabola serve da conclusione alla “ piccola apocalisse” ( lo conferma la scelta di una scena di giudizio): è del tutto normale che l’evangelista voglia concludere il discorso della venuta del Figlio dell’uomo con un appello alla preghiera e quindi con un richiamo alla vigilanza.
Nello stesso tempo, Luca ha unito il nostro racconto alla parabola successiva del fariseo e del pubblicano ( vv 9-14) : le due parabole formano insieme un piccolo catechismo sulla preghiera: la necessità della preghiera incessante ( vv 1-8) e un insegnamento sul modo di pregare bene ( vv 8-14) ( Gérard Rossé: Il vangelo di Luca: commento esegetico teologico )
Credete, o fratelli, che Dio non sappia di che abbiamo bisogno?
Conosce e prevede i nostri desideri, lui che conosce bene la nostra povertà.
Perciò, quando insegnò a pregare, disse anche ai discepoli di non essere verbosi nelle loro preghiere: “Non dite molte parole; il Padre vostro sa già di che avete bisogno, prima che glielo chiediate” (Mt 6,7). Ma se il Padre nostro sa di che abbiamo bisogno già prima che glielo chiediamo, che bisogno c`è di chiederglielo, sia pur brevemente? Che motivo c`è per la stessa preghiera, se il Padre sa di che abbiamo bisogno?
Par che dica: Non chiedere a lungo; so già che cosa ti serve. Ma, Signore mio, se lo sai, perché dovrei chiederlo? Tu non vuoi ch`io faccia una lunga preghiera. Ma, mentre in un luogo si dice: “Quando pregate, non usate molte parole” (Mt 6,7), in un altro si dice: “Chiedete e vi sarà dato” (Mt 7,7), e perché non si pensi che sia una frase detta casualmente, viene anche aggiunto: “Cercate e troverete (ibid.)“.
E poi ancora, perché si capisca che la cosa è detta di proposito, dice a modo di conclusione: “Bussate e vi sarà aperto (ibid.)“. Vuole, dunque, che tu chieda, perché possa ricevere; che cerchi, per trovare; che bussi, per entrare.
Ma se il Padre sa già di che abbiamo bisogno, perché chiedere perché cercare, perché bussare? Perché affaticarci a chiedere, a cercare, a bussare? Per istruire colui che sa tutto? In altro luogo troviamo le parole del Signore: “Bisogna pregare sempre, senza venir mai meno” (Lc 18,1).
Ma se bisogna pregare sempre, perché dice di non usar molte parole nella preghiera? Come faccio a pregar sempre, se devo finir presto? Da una parte mi si dice di pregar sempre, senza venir mai meno, e dall`altra di essere breve. Che cosa è questo? E per capire questo, chiedi, cerca, bussa.
E` astruso, ma per allenarti. Dunque, fratelli, dobbiamo esortare alla preghiera noi e voi. In questo mondo, infatti, non abbiamo altra speranza che nel bussare con la preghiera tenendo per certo che, se il Padre non dà qualche cosa, è perché sa che non è bene. Tu sai che cosa desideri, ma lui sa che cosa ti giova. Pensa di essere malato – e siamo malati, perché la nostra vita è tutta una malattia e una lunga vita non è che una lunga malattia. Immagina, allora, che vai dal medico.
Ti vien di chiedere che ti faccia bere del vino. Non t`è proibito di chiederlo, purché non ti faccia male. Non esitare a chiedere, non indugiare; ma se te lo nega, non ti scomporre. Se è cosí col medico della tua carne, quanto piú con Dio, Medico, Creatore e Redentore della carne e anima tua? (Agostino, Sermo 80, 2)
Con il versetto introduttivo, l’evangelista vuole presentare la parabola come “ l’applicazione parenetica del discorso escatologico “: è necessario pregare sempre e senza stancarsi.
La formulazione ricorda le raccomandazioni di Paolo ( 1 Ts 5,17) che sono entrate a far parte delle esortazioni tradizionali della Chiesa.
Il versetto conclusivo ( v. 8b) permette di cogliere in quale prospettiva Luca insite sulla preghiera: essa è necessaria nel tempo che precede la venuta del Figlio dell’uomo per non perdere la fede.
La preghiera è quindi vista non come un pio esercizio, ma come l’atteggiamento fondamentale del credente nel tempo prima della Parusia ( J Ernst, op.cit., p. 493); Luca sembra far coincidere la preghiera con la vita e l’essere del cristiano; essa costituisce il contenuto dell’attesa escatologica, atteggiamento attuale della vigilanza che deve improntare il presente dell’esistenza. Beninteso, Luca non esorta a pregare ininterrottamente, ma ad una esistenza che non dimentichi mai la preghiera.
Mediante questa introduzione, l’evangelista dà l’orientamento parenetico alla parabola stessa: la vedova ostinata diventa vedova orante, e quindi modello di comportamento per il credente, esempio incrollabile dell’intervento divino che farà giustizia.
Segue la presentazione degli attori:
il giudice …. corrisponde al tipo dell’oppressore nel campo della giustizia sociale …e una vedova, persona debole, senza protezione ….la situazione della vedova simboleggia quella degli “ eletti”, della comunità in preda a alle tribolazioni che caratterizzano la fine dei tempi.
La comunità implora e grida senza stancarsi l’intervento prossimo di Dio, la venuta tanto desiderata del “ giorno del Figlio dell’uomo”
Di certo “ Dio farà giustizia”, egli libererà i suoi dalle tribolazioni che l’evangelista vede concretizzate nelle persecuzioni del suo tempo.
Si riflette una situazione nella quale la Chiesa sperimenta il ritardo della Parusia ma rimane convinta della sua imminente venuta. …. L’intervento di Dio non solo è sicuro ma accadrà prontamente, in contrasto con il tergiversare del giudice della parabola. Dio farà giustizia entro poco: è una promessa fatta ai credenti, più che una minaccia contro gli oppressori.
L’insieme termina con una domanda dove appare, inatteso, il motivo del “ Figlio dell’uomo” e della “ fede”; si tratta di una riflessione finale fatta dal redattore.
Introducendo il titolo “ Figlio dell’uomo” al posto di Dio, Luca riaggancia la parabola alla “ piccola apocalisse” di Lc 17,22-37; e col tema della fede, si ricollega a quello della preghiera incessante che introduce la parabola…
La preghiera mantiene il credente nella “ fede”, attento al futuro di Dio.
Il termine “ fede” usato all’assoluto e con l’articolo, non si riferisce di conseguenza alla fede compresa come un corpo dottrinale, ma alla fede come esistenza del cristiano vissuta nella vigilanza e nella fedeltà: fedeltà al vangelo ( amore) e nelle prove ( persecuzioni, pericolo della ricchezza, minaccia di false dottrine)
Con la riflessione del versetto 8b Luca mette per così dire un freno a un’attesa tutta concentrata sulla venuta nella Parusia: il problema non è se l’intervento divino avverrà presto, ma se il credente sarà pronto.
La domanda conclusiva dell’evangelista rimane senza risposta: non è tuttavia una riflessione pessimista sul futuro della Chiesa, ma una conclusione che da alla parabola il tono di alla vigilanza e alla perseveranza. Importa essere pronti quando il Figlio dell’uomo verrà. ( Gérard Rossé: Il vangelo di Luca: commento esegetico teologico )
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