Gesù Cristo Re dell'Universo – Il trono di questa regalità è la coscienza dell'uomo che crede in una umanità fraterna .
Nell’ultima domenica dell’anno liturgico celebriamo la festa di Gesù Cristo re dell’universo: ma qual è la vera regalità di Gesù?
Quella di chi ama, perdona, cerca la comunione con gli uomini suoi fratelli fino alla fine.
È la regalità di un Messia che «regna dal legno», come amavano dire i padri della chiesa: solo sulla croce, infatti, viene posta sul suo capo l’iscrizione: «Questi è il re dei Giudei».
Gesù è appena stato ingiustamente crocifisso: lui, il Giusto (cf. Lc 23,47) – «colpevole» di aver narrato con la sua vita il volto di un Dio che è il Padre prodigo d’amore verso i peccatori (cf. Lc 15,11-32) e di aver reso Dio buona notizia per tutti gli uomini – è appeso a una croce in mezzo a due malfattori.
Eppure, in questa situazione così ignominiosa Gesù non minaccia, non risponde con l’odio all’odio che gli viene scaricato addosso, ma ha la forza di pronunciare una parola inaudita: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno»…
Ma nemmeno questo suo gesto estremo e unilaterale, nemmeno questo suo modo scandaloso di mostrare come Dio regna su di lui vengono compresi. Se è vero che il popolo «contempla» Gesù in croce – questa è infatti l’unica autentica contemplazione cristiana (cf. Lc 23,48)! –, «lo scandalo della croce» (Gal 5,11) suscita però ulteriore derisione e disprezzo: i capi religiosi di Israele e i romani scherniscono Gesù. Di più, essi lo provocano, mettendo in discussione la sua stessa vocazione: «Se tu sei il re dei Giudei, il Messia di Dio, salva te stesso scendendo dalla croce!». Gesù è tentato come lo era stato all’inizio del suo ministero pubblico per opera di Satana: «Se tu sei il Figlio di Dio…» (Lc 4,3.9).
Ma ancora una volta Gesù rinuncia a vivere per se stesso, a chiedere a Dio di intervenire con il miracolo straordinario che costringerebbe gli uomini a seguirlo come un potente di questo mondo. Egli accetta di perdere la propria vita, sceglie di compiere fedelmente la volontà di Dio, continuando a comportarsi fino alla morte in obbedienza a Dio: non che il Padre volesse vederlo patire sulla croce, ma Gesù comprende che l’obbedienza alla volontà di Dio, volontà che chiede di vivere l’amore fino all’estremo, esige una vita di giustizia e di amore anche a costo della morte violenta. Sì, Gesù rinuncia a salvare se stesso, ed è solo grazie a questo suo comportamento che egli ha l’autorevolezza per affermare: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9,24)…
Anche uno dei due malfattori insulta Gesù, vedendo frustrate le proprie pretese: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». L’altro invece, il cosiddetto «buon ladrone», mostra di aver compreso quale sia la signoria di Gesù: opera la correzione fraterna, rimproverando l’altro condannato; ammette il male che ha commesso e ne accetta le conseguenze; riconosce l’innocenza di Gesù e si rivolge a lui con la preghiera, confessandone la regalità escatologica: «Gesù, ricordati di me, quando verrai nel tuo Regno». Egli è l’immagine dei credenti e della chiesa che, nella storia, sono chiamati a testimoniare la regalità di Cristo condividendo le sofferenze del Crocifisso, invocando la venuta del Regno, e attendendo il Veniente nella gloria.
A lui Gesù rivolge la parola che tutti noi vorremmo sentire nel nostro ultimo giorno: «Oggi sarai con me nel paradiso». Sì, questa è una promessa riservata a tutta l’umanità, anche ai malvagi e ai peccatori: dipende da ciascuno di noi accoglierla, accettando di perdere la nostra vita per Gesù Cristo, il Messia che regna dalla croce, cioè di amare lui al di sopra di ogni nostro amore e di spendere la nostra vita per i fratelli nella giustizia e nell’amore.
E.Bianchi
La regalità di Gesù Cristo, liberata da tutti i miti e da tutte le corone di Costantiniana fattura è il trionfo della pace, è il trionfo della fraternità nel consenso.
In questa luce, che certo è futura ma splende già dentro come guida delle coscienze, trovano senso differenziato la violenza del potere che crocifigge il Giusto e la violenza di chi si ribella a questo potere, purché resti fermo che il senso ultimo di questa drammatica vicenda è manifestato in questo mistero del1’uomo Gesù Cristo che ha creduto nell’ amore fino al dono di Se stesso.
Egli ha perso, certo, ma i cristiani sanno che ha vinto perché questa vittoria non è rimasta un verdetto morale delle coscienze nobili di tutti i secoli: questa vittoria è stata affidata alla sfida del Padre che è nei cieli.
Quel crocifisso Egli lo ha costituito Signore.
Signore dove? In quale trono? In nessun trono!
Il trono di questa regalità è la coscienza dell’uomo che crede in una umanità fraterna e per questa fede dà se stesso.
Ovunque sia, di qualunque religione sia, il motivo vero di quel gesto, di quel progetto è questo: il trionfo dell’unica signoria che non fa torto a nessuno perché il vero nome di Gesù Cristo è ‘figlio del1’uomo’.
Non è un nome di parte, è il nome della totalità, perché tutte le cose sono state create In Lui e per Lui.
Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol.3
Il regno di Gesù non ha caratteristiche religiose,
Chi sono i cittadini di questo regno?
Tutti coloro che vengono dalla verità.
Noi li vediamo ogni tanto, ma solo Dio li vede tutti. Non ne possiamo fare l’anagrafe.
Quando si conta, si sbaglia, perché contare vuoi dire obbedire ad una esigenza quantitativa, mentre la nostra esigenza è qualitativa. … Abitare in questo regno vuol dire vivere in comunione con tutti i nostri concittadini, che sono quelli che, invece, non hanno molta possibilità di essere accolti nel regno terreno, di cui sono cittadini in senso anagrafico e pubblico: i vecchi, i malati, i bambini, gli inermi, gli handicappati…
È una compagnia non molto efficiente, ma l’efficienza è criterio del regno di questo mondo. il regno di Gesù dà testimonianza non di questo mondo. La sua diversità prende corpo e trova il suo luogo di sintesi storica e di riferimento operativo nella pace. Questa è la pace. Una pace che pesi sulle spalle di qualcuno non è una pace, … .
La pace implica tante cose. …. . C’è da temere sia quanto i titolari del potere si litigano sia quando si danno la mano. Non per nulla Gesù fu crocifisso quando Pilato ed Erode fecero la pace su di Lui, sulle sue spalle…..
Se ci diamo le mani con la rivoltella in tasca e ci rispettiamo perché sappiamo di avere lo stesso numero di pallottole, le parole più pure cadono in un contesto terribile.
Questo è il peccato.
E la condizione che è nostro compito modificare, con pazienza di secoli magari. La cittadinanza da cui siamo consolati è un’altra, quella del regno che non avrà mai fine per secoli eterni. Gli altri passano, cambiano titolari e finiranno, ma questo regno, di cui ho parlato sulla falsariga della indicazione evangelica, è eterno ed è diffuso fra tutte le genti.
(Ernesto Balducci da “Il Vangelo della pace” vol 2- anno B)
Lascia un commento