II Domenica del T.O. – Gesù è l'Agnello che prende sopra di se il peccato per eliminarlo dal mondo.
Prima della comunione il celebrante, mostrando l’ostia consacrata, dice: “Beati gli invitati alla Cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo“.
Tutti hanno appena pregato con le parole: “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi”.
Sono (con la sostituzione del singolare col plurale) le parole di Giovanni il Battista, che abbiamo ascoltato nel Vangelo.
È un’occasione per riflettere su quello che diciamo in questo momento della S. Messa.
Il termine che Giovanni (evangelista) impiega significa sia “togliere” che “prendere”, e per capire la frase i due significati vanno tenuti insieme, perché fanno una sintesi teologica formidabile: Gesù è l’agnello che prende sopra di sé e in questo modo elimina il peccato del mondo.
Egli si accolla il peso del nostro peccato, e così ci solleva da esso.
Non è suo questo carico di morte e di peccato, lo assume liberamente, se lo prende per amore nostro.
Questo è il compito che Dio si è assunto.
E il nostro?
Se qualcuno si offre di prendersi il mio carico, cosa devo fare io se non… darglielo?
Dare a Gesù, affidargli il mio carico di peccato e di morte: questo è il mio compito.
Non devo vivere da solo il peccato e la morte, perché allora essi mi uccideranno. Devo viverli insieme a lui, condividerli con l’agnello.
Spesso si pensa che per presentarsi a Dio occorra prima essere a posto, puliti; solo dopo ci si può accostare all’Agnello.
Errore!
Se fosse così, non ci sarebbe speranza di salvezza, perché lasciati soli rimarremmo schiacciati.
È proprio mentre gemo sotto il peso del peccato e della morte che ho bisogno di incontrare uno che mi sollevi. Non nel mio essere forte e vittorioso, ma proprio nel mio essere inadeguato, debole, peccatore, ho bisogno di incontrare uno che abbia pietà di me!
Il peccato più grande è l’incapacità di accogliere questa luce e proseguire a camminare nelle tenebre, come se l’Agnello di Dio non esistesse, senza affidargli il nostro peso, vivendo da soli il nostro peccato.
Ma noi diciamo: “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi”.
Il Battista lo esclamava quando vedeva Gesù venire verso di lui, noi quando Gesù viene verso di noi nel sacramento del pane e del vino
. Perché lì c’è il sacrificio pasquale di Gesù; agisce nuovamente il momento nel quale lui prende su di sé fino in fondo la nostra spossatezza, il nostro male, se ne carica.
Entrare in comunione con lui, fare la comunione, non può significare altro che rinnovare questo atto di affidamento di noi stessi e del nostro male a lui che viene a noi come agnello per prenderlo su di sé.
Rischiamo di non renderci conto che c’è accanto a noi qualcuno disposto a prendersi il nostro carico. Accorgersene non è automatico: richiede un cammino. Così è stato per Giovanni Battista: “io prima non lo conoscevo”. Poi ha visto il cielo aprirsi, ha compreso. Nessuno può vedere al posto nostro, dobbiamo essere noi a saper vedere in profondità, a saper scoprire in Gesù l’Agnello di Dio che viene a prendere su di sé e distruggere il peccato nostro e del mondo. E gridare così in verità: “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi!”. ( Marco Pratesi)
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