Quando il Papa ritornò "solo" un uomo.
( Da ” la Stampa” 11 febbraio 2014 di ENZO BIANCHI )
Un anno fa «un fulmine a ciel sereno», come disse il cardinal Sodano, raggiunse la chiesa cattolica, impreparata a vivere una situazione inedita da molti secoli: un vescovo emerito di Roma vivente sotto un nuovo pontificato.
Cosa aveva condotto Benedetto XVI a compiere il gesto delle dimissioni?
La situazione di conflittualità, di scandali nella curia romana stimolava ancor di più le domande che assumevano anche contorni inquieti.
In verità Benedetto XVI nella sua breve dichiarazione di rinuncia aveva affermato l’essenziale: in ragione dell’età avanzata, essendo venute meno le forze necessarie, non si sentiva più adeguato all’esercizio del suo ministero e perciò, in obbedienza alla sua coscienza esercitata nell’ascolto della parola di Dio e nella preghiera, si ritirava nel nascondimento per essere intercessore per la chiesa.
Una novità, questa icona di preghiera nella chiesa assunta da un successore di Pietro, una novità eloquente per tutti i cattolici che hanno amato e ascoltato questo papa come per quelli che hanno accolto magari con fatica il suo magistero. Nella messa che il cardinale Ratzinger, allora arcivescovo di Monaco, aveva celebrato in occasione della morte di papa Paolo VI nel lontano 1978 così aveva affermato: «Possiamo immaginare come poteva essere pesante il pensiero di non poter appartenere a se stesso… essere incatenato fino alla fine, con il suo corpo che l’abbandonava, a un compito che esige, giorno dopo giorno, l’impegno vivo e pieno di tutte le forze umane». Ratzinger dunque era abitato da un pensiero chiaro, maturato da tempo sulla doverosa rinuncia da compiere al venir meno delle forze: come aveva detto a se stesso, così ha fatto.
Ma c’era in lui anche un’altra ragione che lo ha condotto alla rinuncia: la sua convinzione teologica – piuttosto rara per un pontefice – che, pur diventato papa, restasse una distinzione profonda tra il suo ministero e la sua dimensione di semplice uomo e cristiano. Non a caso, quando ha pubblicato la sua trilogia su Gesù di Nazareth, ha voluto firmare i libri come semplice autore teologo, senza munirli del magistero papale. Possiamo dire che Benedetto XVI non ha mai dimenticato ciò che Bernardo di Chiaravalle scriveva a papa Eugenio III: «Ricordati che sei un uomo, nato da una donna…». Così anche nella rinuncia Ratzinger ha saputo mostrare la sua umiltà, il suo volere innanzitutto il bene della chiesa, il confessare la propria debolezza e fragilità, l’accettare di veder ridotte tutte le competenze a un solo mandato: l’intercessione. D’altronde questo esito di una vita nel ministero pastorale è conosciuto ormai da decenni da tanti vescovi che, raggiunti i settantacinque anni, lasciano l’esercizio della presidenza episcopale nella chiesa locale e si ritirano – «fanno anacoresi», nel linguaggio biblico – e continuano a essere intercessori.
Benedetto XVI ha avuto un pontificato relativamente breve, solo otto anni, ma è stato altamente significativo per tutte le chiese in virtù della qualità teologica del suo magistero in cui la parola di Dio, Gesù Cristo era il solo centro. Ho conosciuto il teologo Ratzinger in convegni internazionali, l’ho incontrato più volte in occasione della stesura di un volume sull’esegesi da lui voluto e per il quale fu chiesto che un contributo mio e uno dell’esegeta De la Potterie si affiancassero a quello di Ratzinger. Ho poi avuto il dono, poco dopo la sua elezione a papa, di una lunga e per me memorabile udienza i cui temi di riflessione sono stati l’ecumenismo, la vita monastica e la liturgia. Gli sono grato per avermi nominato esperto ai due sinodi dei vescovi sulla parola di Dio e sulla nuova evangelizzazione.
Anche quando alcuni suoi atti chiedevano alla chiesa obbedienza e io faticavo a comprenderne le ragioni, temendone una ricezione distorta, non per questo la mia obbedienza è venuta meno. Sono sempre più convinto che Benedetto XVI purtroppo sia stato letto nell’ottica di molti che, pur dicendosi a lui fedeli, in realtà ne deformavano l’immagine finendo per strumentalizzarlo per loro battaglie non dettate da spirito evangelico.
Oggi, anche grazie alla rinuncia di un anno fa, è vescovo di Roma e papa Francesco, che ha inaugurato una primavera in tutta la chiesa. C’è molta attesa e il suo annuncio del vangelo nella mitezza, nel rispetto di tutti, nell’affermazione del primato dell’amore misericordioso di Dio – che ci ama senza che noi dobbiamo meritarlo – di fatto raggiunge e tocca molti uomini e donne finora indifferenti alla fede. È arrivata un’altra stagione e la chiesa ancora una volta sente sete di rinnovamento e di riforma, come ai giorni di papa Giovanni: non a caso il segretario di quest’ultimo, Loris Capovilla, è stato creato cardinale da papa Francesco a 98 anni…
Ma non mi stanco di ripetere che se ci sarà una riforma evangelica della chiesa tutta, di tutte le membra del corpo, allora però la vita cristiana sarà più difficile, più contraddetta dalle potenze mondane: la testimonianza resa a Gesù Cristo sarà maggiormente segno di contraddizione perché ogni volta che il vangelo appare con più evidenza nella storia, anche la croce che ogni cristiano deve abbracciare e portare emerge più manifesta. Nessuna illusione: il regno di Dio deve ancora venire e i cristiani devono attenderlo e annunciarlo con la vita, a caro prezzo, anche a costo della vita stessa.
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