VI Domenica del T.O. – La morale del Vangelo è la morale del cuore.
…Il Vangelo che abbiamo ascoltato è una silloge di detti del Signore fra loro molto diversi ma uniti da un tema costante, che è la sostituzione della morale della coscienza alla morale della legge: «fu detto ma io vi dico».
Gesù allude alla morale dei farisei, che Egli condanna enumerando una serie di precetti che riguardavano tutto il comportamento esterno; una morale esteriore, legale a cui non sempre corrispondeva la spontaneità interiore.
La parola coscienza non è presente nella Scrittura se non eccezionalmente.
La parola che ritorna sempre è «cuore», termine che non ha una accezione riferibile al mondo dei sentimenti in maniera preminente, ma indica il centro dell’essere, il punto di unificazione delle molte facoltà dello spirito umano.
La morale del Vangelo è la morale del cuore.
E ciò che viene dal di dentro che contamina l’uomo, non ciò che viene dal di fuori. Non che Gesù disprezzi o insinui il disprezzo per le leggi contenute nei codici umani. Solo che queste leggi contengono in sé, per necessità, una ingiustizia: fissano cioè, nella oggettività della norma quello che dovrebbe essere lo scopo vivo, dinamico, perseguito dall’ azione umana.
Se noi osserviamo tutte le regole – supponiamolo – che riguardano i nostri rapporti con Dio e con il prossimo, potremmo farlo senza che nemmeno una scintilla di amore si alzi dal nostro profondo. Anzi, spesso avviene che gli uomini molto rigidi nell’osservare le leggi siano incapaci di qualsiasi atto di amore: sembra quasi che ci sia una inconciliabilità fra l’etica dell’amore e l’etica della legge. La sperimentiamo anche noi, normalmente.
Nel momento in cui ci ispira questo impeto di dedizione universale, le leggi a cui siamo stati fedeli ci sembrano come dei reticolati intollerabili.
La legge è posta – per così dire – per la nostra debolezza.
Essa delimita gli ambiti negativi del nostro agire, non ha nessuna forza inventiva e creativa.
La morale evangelica è la morale della coscienza orientata verso un valore che è l’uomo.
Questo è l’asse a cui costantemente siamo ricondotti, meditando la Sacra Scrittura.
Qui, in questa antologia del brano evangelico, c’è un momento forte che vorrei assumere – per così dire – a valore di simbolo globale. E il momento in cui ci viene detto che quando si va ad offrire sull’ altare qualcosa a Dio e ci viene in mente che fuori c’è un fratello che ha qualche cosa contro di noi, dobbiamo abbandonare la nostra offerta e andare a riconciliarci con lui.
La morale evangelica si oppone alla morale del tempio, alla morale del rito, del sacrificio, del culto, tutte cose che potrebbero – e difatti così è avvenuto sul piano storico – offrire un alibi alla coscienza dell’uomo nel suo venir meno al principale precetto dell’amore, che è quello che riguarda il prossimo, e non il prossimo legato a noi da vincoli di amicizia o di riconoscenza, ma il prossimo che ha verso di noi qualcosa da dire.
Dobbiamo riconciliarci con questo prossimo.
Siccome fra i miliardi di abitanti del pianeta una buona metà ha da chiederci almeno conto del perché non sono nutriti abbastanza, del perché noi siamo nella sicurezza e loro invece sono sempre ai limiti della sopravvivenza, ecco che allora sui nostri santuari scende una nube di illegittimità, una specie di segno di diniego da parte di Dio che non vuole sacrifici ma l’amore. Da qui una tendenza ampia e sempre più prepotente, all’interno della coscienza delle comunità di fede, che disertano sempre di più le chiese per andare sempre di più nei luoghi del conflitto umano.
A volte nelle statistiche si legge che i frequentatori delle chiese diminuiscono e se ne deduce chissà quale conseguenza tragica per il cristianesimo.
Vorrei dire che un simile cambiamento potrebbe essere a tutto vantaggio della fedeltà al Vangelo, il cui precetto fondamentale non è la frequenza al tempio, di cui anzi si prevede la distruzione, ma la dedizione all’uomo.
Il vero tempio di Dio è l’uomo vivente, non l’edificio di pietra; il vero culto a Dio è l’amore per il prossimo bisognoso.
(Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 1)
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