Canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II – I santi non sono “impeccabili”, sono anche loro dei peccatori nei quali però l’amore e la misericordia di Dio hanno vinto.
Nell’occasione della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II una riflessione di Enzo Bianchi pubblicata su ” Republicca” il 27/Marzo”
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Uomini e donne che sono stati riconosciuti fedeli al vangelo vengono canonizzati, proclamati santi dalla chiesa affinché siano di esempio per tutti: i cristiani hanno infatti la convinzione che tra di loro alcuni tentino di vivere con radicalità la fedeltà al vangelo e perciò meritano di essere autorevoli e affidabili. Quando questa conformità alla vita di Gesù si mostra evidente, allora coloro che ne sono stati testimoni attribuiscono la santità ai loro fratelli e sorelle.
Ma non si dimentichi che i santi non sono “impeccabili”, sono anche loro dei peccatori nei quali però l’amore e la misericordia di Dio hanno vinto. Costoro non si sono fatti santi bensì sono stati fatti santi da Dio, il solo Santo, perché hanno tutto predisposto affinché l’azione di Dio in loro non trovasse ostacoli.
Sappiamo inoltre che una cosa è la santità e altra cosa è il processo del suo riconoscimento in vista di una venerazione pubblica: molti santi non sono conosciuti a sufficienza per essere proclamati tali, altri non hanno avuto nessuno che avesse la forza di far avanzare questo riconoscimento, altri ancora sono stati canonizzati secoli dopo la loro morte, a volte sotto la spinta di politiche ecclesiastiche mutate.
Infine alcuni sono nel catalogo dei santi nonostante alcune loro azioni siano state in contraddizione profonda con lo spirito e il comandamento cristiano: i preti sapienti e liberi di un tempo dicevano che questi erano stati proclamati santi nonostante le loro infedeltà al vangelo perché lo erano diventati prima di morire, in un modo che solo Dio conosce… Così recentemente, sotto la pressione di realtà ecclesiali, alcuni testimoni hanno conosciuto corsie preferenziali verso il riconoscimento della santità, altri per prudenza ecclesiastica subiscono ritardi apparentemente inspiegabili.
Personalmente avrei desiderato per oggi la canonizzazione non solo di papa Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, ma anche quella di Paolo VI. Certo tre papi canonizzati insieme sarebbe stato insolito, ma non si comprende perché tra i papi del concilio proprio Montini sia escluso dalla canonizzazione, se non per ragioni di diffidenza verso il Vaticano II e la riforma liturgica a lui dovuta. Anche perché, se si dovesse discernere la santità in atti di governo pontificio, basterebbe verificare che questi non siano contraddittori rispetto al vangelo e al suo spirito, essendo in ogni caso i loro autori sempre uomini limitati e non esenti da errori, non necessariamente peccati.
Quali insegnamenti possiamo trarre da Giovanni XXIII e da Giovanni Paolo II? Di papa Roncalli occorre ricordare che il 23 febbraio 1965 il cardinal Lercaro avanzò la proposta della proclamazione della sua santità a concilio in corso, “non solo come santità esemplare, ma come santità programmatica di una nuova età della chiesa, individuata dal santo pastore, dottore e profeta”.
Questa proposta non fu accolta, ma comunque già alla sua morte papa Giovanni era stato percepito come un santo dai cattolici, come un cristiano autentico dagli altri cristiani, come un “giusto-buono” dai non credenti. Nel suo motto episcopale era riassunto il suo proposito: obbedienza e pace. Obbedienza al vangelo, nell’umiltà, nella povertà, nell’accettazione di quanto il Signore innanzitutto, la storia e gli uomini gli chiedevano di fare.
Aveva sempre accettato incarichi di lavoro a volte anche ingrati, aveva subìto umiliazioni, ma proprio per questo si sentiva libero e non ostacolato da interessi personali nell’agire da cristiano: così in Bulgaria ascoltava i poveri e sapeva amare con intelligenza gli ortodossi, a Istanbul seppe aiutare gli ebrei perseguitati… Proprio perché obbediente alla volontà del Signore che vuole che i suoi discepoli “siano una cosa sola” gettò le basi del dialogo con le altre chiese e proprio per la grande fede nel “Signore della chiesa” volle il concilio.
Accanto a questa obbedienza, e come sua conseguenza, si colloca il suo proposito di pace. Pace interiore, certo, ma anche pace tra i popoli e le nazioni, apertura a un atteggiamento mai ostile verso l’altro, rispetto della dignità di ciascuno, attenzione per i più deboli e per i poveri: tutti elementi ribaditi nella sua ultima enciclica, pubblicata come un testamento spirituale poche settimane prima della morte, la Pacem in terris. Un santo non perché autore di miracoli, non perché la sua vita fosse stata abitata dallo straordinario o da una mistica raffinata ma perché cristiano nei sentimenti, nelle azioni, nello stile: semplicemente, un cristiano sul trono di Pietro!
Dal canto suo Karol Wojtyla, già prima di diventare papa, si era manifestato come un confessore combattente della fede, un tenace difensore della presenza cristiana nella società, ma anche un uomo che aveva conosciuto l’orrore umano, il male di cui gli uomini possono macchiarsi, un cristiano capace di leggere anche le responsabilità dei cristiani nella storia.
Azioni che obbedivano al vangelo ma che sembravano nuove e inedite furono da lui vissute e indicate alla chiesa come urgenti: la riscoperta della presenza di Israele ancora popolo in alleanza con Dio, il dialogo con tutte le religioni chiamate ad Assisi a pregare per la pace, il riconoscimento degli errori commessi dai “figli della chiesa” nella storia attraverso l’uso della violenza e la persecuzione dell’altro, il riconoscimento dei martiri cristiani di tutte le chiese come testimoni nostri contemporanei. Tutte azioni che hanno fatto compiere alla chiesa un cammino che ora appare irreversibile, ma che sono soprattutto atti di obbedienza allo Spirito di Gesù Cristo.
In ogni caso, le due canonizzazioni di oggi rivelano anche papa Francesco: da un lato rispondono positivamente alla domanda di folle di uomini e donne che desiderano che questi due papi siano venerati, ma testimoniano anche la sua volontà di indicare alla chiesa che, anche in un’epoca giudicata di “crisi”, è ancora in grado di esprimere la santità e che questi ultimi successori di Pietro non hanno tradito la grande tradizione ma l’hanno servita rendendola viva, bella e soprattutto capace di essere ascoltata dall’uomo contemporaneo. Questi due papi erano molto diversi, ma la loro diversità è ricchezza, come quella raffigurata nell’icona di Pietro e Paolo, mostrati sempre in un abbraccio fraterno, anche se in vita avevano modi di sentire molto differenti.
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