XVI Domenica del T.O. – La sapienza di Dio si manifesta come pazienza che avvolge la storia.
Gesù continua a parlare attraverso parabole, ama parlare attraverso parabole, perché in questo modo non rinchiude il messaggio in formule, non deve ricorrere ad affermazioni apodittiche, non consegna verità munite di uno splendore che abbaglia chi le ascolta…
Le parabole sono frutto di un attento vedere da parte di Gesù, di un profondo pensare, di un puntuale discernimento, di un vero esercizio di intelligenza delle realtà più umili, semplici e quotidiane.
Solo una grande attenzione alle cose e ai fatti forniva a Gesù la sapienza delle parabole.
Per questo chi le ascolta giunge a discernere realtà che gli sono abitualmente nascoste, le quali causano in lui una semplice constatazione: ciò che Gesù dice è così umano, così terreno, eppure io non ci avevo mai pensato!
Ma se questa comprensione delle parabole da parte dell’ascoltatore è così facile, ascoltando Gesù è altrettanto facile, forse per la semplicità intrinseca alle parabole, lasciar cadere le sue parole e non tenerne conto.
Ne è un caso esemplare la parabola più lunga tra quelle contenute nel brano evangelico odierno, una parabola che conosciamo a memoria e che facilmente smentiamo con il nostro comportamento. …
Le tre parabole che ascoltiamo oggi … sono introdotte dall’espressione: «Il regno dei cieli si può paragonare a…», da intendersi come: «Avviene al regno dei cieli ciò che avviene a…».
Ovvero, Gesù crea immagini di vita, perché sa che il Regno è una realtà viva, un evento dinamico che si sviluppa grazie all’agire di Dio. …
Nella parabola della zizzania … il Signore, farà l’ azione di separazione; non prima e non noi, suoi servi!
…Di fronte alla dolorosa scoperta di questa compresenza di grano e zizzania la reazione sbagliata è quella di cedere alla tentazione dell’impazienza, pretendendo di operare noi il giudizio che spetta a Dio e al Figlio dell’uomo quando verrà nella sua gloria (cf. Mt 25,31-46)
Ci sono sempre nella chiesa coloro che si presumono giusti e, accecati dalle loro certezze, vorrebbero una comunità di puri: ma Dio solo conosce i veri giusti e nel giorno del giudizio, della mietitura (cf. Gl 4,13; Ap 14,15-16), li rivelerà e li accoglierà nel suo Regno!
Al presente la sua pazienza, il suo sentire in grande è per noi occasione di convertirci per accogliere la salvezza (cf. 2Pt 3,15)…
Nella parabola del granellino di senapa … l’attenzione cade sullo sviluppo straordinario del seme, sullo scarto tra la sua piccolezza iniziale e la sua grandezza finale.
Lo stesso accade per il Regno: nel nostro oggi appare una realtà piccola, ma alla fine dei tempi sarà manifestata la sua grandezza.
Il discepolo di Gesù Cristo deve guardare al contrasto tra l’oggi e il futuro, ma deve anche capire che il futuro dipende proprio dalla piccolezza dell’oggi.
Il suo Maestro gli ha infatti rivelato che i criteri della grandezza e dell’apparire non devono essere applicati al regno dei cieli: la forza del Regno non va confusa con il fascino della grandezza, declinabile volta per volta come numero, prestigio, potere…
Per ribadire questa realtà Gesù si serve di un’altra similitudine:
una donna mette poco lievito in una grande quantità di farina; anzi, il testo dice che la donna «nasconde» il lievito, per sottolineare che la presenza del Regno è velata, non si impone.
Eppure l’insospettata forza del lievito fa fermentare tutta la pasta. L’attenzione si concentra qui sulla potenza del lievito: piccola cosa, ma capace di causare una grande trasformazione.
È proprio così: la vita di Gesù era piccola cosa, pressoché sconosciuta agli storici del tempo; ma in lui, l’uomo su cui Dio ha regnato totalmente, era celata la potenza del Regno, offerto a tutti gli uomini…
Siamo dunque chiamati alla pazienza, alla piccolezza, al nascondimento: nel vivere con libertà e intelligenza queste realtà sta la nostra possibilità di accogliere il Regno annunciato da Gesù, cioè di fare obbedienza a lui, chicco di grano caduto a terra e morto per portare molto frutto. Questa dinamica di morte e resurrezione è già primizia del Regno, se sappiamo assumerla nella nostra vita e testimoniarla nella compagnia degli uomini. (E.Bianchi)
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…La pazienza di Dio si libra sulla storia degli uomini connettendo al suo disegno (che noi non conosciamo ma che è disegno di amore) anche quei momenti negativi che per me rimangono irrimediabilmente tali.
Questo scandalo io non lo posso non vivere con tutta la mia umanità.
La fede spesso crea una specie di contatto soffice con la realtà, allo scopo di eluderla, circoscriverla, senza mai entrarci dentro.
La fede che è secondo lo Spirito ci butta invece dentro la realtà, ma non perché poi ne usciamo come ragionieri sapienti a render conto agli indotti che cosa Dio ha voluto.
La sapienza di Dio si manifesta come pazienza che avvolge la storia.
Questa pazienza di Dio, diventa, nell’uomo di fede, mitezza, la grande mitezza di cui il Signore ci ha dato testimonianza.
Se io non so quale sia l’esito di una creatura ma so che Dio lo sa, allora io rimetto a Lui la presunzione del giudicare.
Il mio giudizio non potrà essere che mite, perché, al di là di tutte le cose, so che la pazienza di Dio è una sola cosa con il suo amore.
E può anche essere che nella gloria eterna io mi trovi di fronte al mio peggiore nemico pacificato con Lui.
Il Dio che amo non è il Dio che fa giustizia secondo le mie pretese.
La sua giustizia sorpassa il diritto e il torto e avvolge tutto in una conciliazione che ci porta oltre i nostri limiti di creature.
Chi crede così non ha una bandiera per cui combattere, perché a livello della storia il luogo in cui Dio mi attende e mi interpella è l’uomo vivente.
Il mio vero modo di onorare Dio è di combattere per l’uomo e di essere mite con l’uomo.
Questa mitezza non è dunque ignavia né inerzia interiore, poiché è una mitezza dialettica, drammatica, che rinasce costantemente.
Che mi importa sapere se uno è ateo o non è ateo?
Chi sono io, io che, se ho fede davvero, so che quando parlo di Dio non so quel che dico?
Potrò davvero ridurre il mio confronto con i non credenti ai livelli delle dottrine scritte sui libri, nelle enunciazioni concettuali?
La negazione violenta dell’ateismo è molto consustanziale alla fede.
Un certo ateismo che nasce in nome dell’uomo, è un contributo alla fede, perché una fede che sì sviluppa contro l’uomo è sicuramente l’opposto della fede.
Come possiamo noi allora usurpare la potenza di Dio per metterla al servizio delle «legioni cristiane»?
Se dovessimo davvero, per un momento, tentar di distinguere chi è zizzania o no, nel campo del mondo, non sapremmo che dire.
Forse là dove si alzano i labari cristiani c’è molta zizzania e là dove si alzano i labari dell’ateismo c’è molto grano buono.
Chi potrà decidere?
E chi vorrà allora chiamarci a combattere?
Contro chi?
Ecco quali sono gli interrogativi che nascono dopo che la fede si è reimmersa nelle proprie origini, dove sono le sue vere misure. (Ernesto Balducci da “Il mandorlo e il fuoco” voi 1-anno A )
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