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"Né allora, né adesso, né mai sarà tempo di piantare tende sul Tabor. Ai piedi del Tabor c'è una turba di gente che attende, di malati, di sofferenti, di affamati, di disoccupati che attendono una qualche risposta." – Omelia del nostro Vescovo Vincenzo nella solennità della Trasfigurazione del Signore.

Manzella story( Basilica Cattedrale 06 Agosto 2014 )
Il mio saluto a tutti voi fratelli e figli carissimi qui convenuti per celebrare la Solennità della Trasfigurazione del Signore.
È la festa del volto luminoso di Gesù.
È festa di luce.
In Occidente, la data del 6 agosto fu introdotta nel 1457 da Papa Callisto III come ringraziamento al Signore per la vittoria riportata l’anno precedente sui Turchi a Belgrado, ma già tre secoli prima, in epoca normanna la nostra Diocesi, assieme alla Diocesi di Mazara del Vallo, vantava il privilegio di celebrarla.
La scena della trasfigurazione è per molti aspetti parallela a quella del battesimo nel Giordano ed è in un certo senso una anticipazione delle epifanie pasquali di Cristo ai suoi discepoli.
A metà strada della sua missione pubblica, “su un alto monte”, che la tradizione successiva ha identificato con il Tabor che domina la pianura di Galilea, Gesù rivela in una teofania, cioè in una solenne apparizione, la sua realtà profonda e misteriosa, che è sigillata ufficialmente dalla voce celeste: “questi è il figlio mio, il prediletto… ascoltatelo”.
Ancora oggi “una voce”, la voce di Dio ci raggiunge comunitariamente e singolarmente per ripeterci: “ascoltatelo!”.
“Ascoltatelo” non è solo un esortativo, ma è soprattutto un imperativo.
Nella sacra scrittura il verbo ascoltare ha un significato specifico che si differenzia enormemente dal sentire usato nel nostro lessico quotidiano.
Ascoltare è ubbidire!
Mi risuona ancora all’orecchio la parola suasiva e ferma dei miei genitori quando in certi momenti mi ripetevano: “ascutami!”.
Quell’ascoltami ripetuto in modo continuo, incalzante, dai genitori come sigillo finale di consigli e raccomandazioni utili per la nostra crescita, certamente ci accompagna ancora oggi.
La lingua sapiente di un papà e di una mamma non smette mai di dire ai figli: “ascoltami, ubbidiscimi”.
L’imperativo che oggi troviamo nel testo dell’evangelista Matteo lo accogliamo come sapienza di Dio che vuole preservarci dall’inganno di altre voci che in forma di sirene ammalianti potrebbero raggirarci e deviarci dal retto sentire.
Vorrei ancora condividere con voi qualche altra riflessione suggeritami da alcuni elementi particolari presenti nel Vangelo.
La prima: Matteo riferendosi a Pietro, Giacomo e Giovanni sottolinea che “Gesù fu trasfigurato davanti a loro”. Perchè solo davanti a loro e non in presenza di altri?
San Leone Magno (440 – 461) e Origene di Alessandria (185-254) lo spiegano molto bene. San Leone dice: “la trasfigurazione premia la fede che persevera nonostante tutto” e Origene commenta: Gesù si trasfigura solo nel cuore e davanti agli occhi di chi lo sa veramente accettare”.
Un’altra riflessione mi porta a contemplare la bellezza del volto di Cristo: “e il suo volto brillò come il sole”.
Come si fa a dipingere o scolpire un volto che brilla come il sole?
Il volto di Cristo ha sempre costituito una sfida per gli artisti. Il beato Angelico nell’affresco della trasfigurazione in San Marco, a Firenze, ha dedicato un’intera giornata di lavoro sui lineamenti del volto di Gesù.
Leonardo da Vinci nel dipingere l’ultima cena tenne per ultimo il particolare del volto di Gesù, come il compito più delicato e importante.
Il volto è la rivelazione dell’anima. Solo chi ha impresso nel proprio cuore il volto di Gesù può provare a rappresentarlo.
Ci è lecito immaginare che chi è riuscito a raffigurare il volto del nostro Pantocratore nella sua impareggiabile bellezza, veramente doveva averlo prima scolpito nel cuore.
Se non ci si lascia catturare dalla bellezza di questo volto fino a imprimerne i lineamenti nel nostro cuore la nostra vita non cambierà.
Non si può trascorrere la vita a rimpiangere il passato, a lamentarsi del presente, a temere per il futuro.
Occorre fare un salto di qualità, un tuffo in Dio e lasciarsi avvolgere dal suo fulgore.
A Pietro, Giacomo e Giovanni è stato offerto il privilegio di contemplare la bellezza immensa di Dio, ma hanno dovuto raggiungere un “alto monte”.
Se non ci si spinge in alto, se non si ascende a livelli superiori, se non ci si libera da tutto ciò che appesantisce il nostro cuore, non si giunge alla contemplazione e non si riesce a cogliere la bellezza di cui siamo circondati.
Ci conforta il credere che il mistero della trasfigurazione non è finito.
In ognuno di noi c’è una luce incancellabile, qualcosa di divino che viene fuori senza di noi perchè creati a sua immagine e somiglianza.
Ovunque una povera creatura riesce a fare emergere dal proprio fondo tenebroso un desiderio o un pensiero di bontà, ovunque qualcosa di generoso si svincola dal nostro egoismo e si piega dolcemente sopra una pena o sopra una miseria altrui, ivi si innalza il monte della trasfigurazione.
Sul volto stanco di questa umanità può sempre accendersi un barlume che pur brillando di luce riflessa non mortifica il fulgore della trasfigurazione.
La gente dal cuore piccolo e dallo sguardo corto scorge solo i segni del degrado. Quando vi dicono che i monti non hanno più vette, che non ci sono più giornate luminose in questa lunga passione non credeteci: c’è luce anche oggi, ci sono anime che ascendono anche oggi, umili volti di mamme che splendono come il sole.
Né allora, né adesso, né mai sarà tempo di piantare tende sul Tabor.
Ai piedi del Tabor c’è una turba di gente che attende, di malati, di sofferenti, di affamati, di disoccupati che attendono una qualche risposta.
La contemplazione che si distacca dalla pianura è un Tabor che non ci interessa, le tende del Signore vogliamo piantarle nel cuore dell’umanità.
A Gesù trasfigurato affidiamo questi nostri sentimenti con i migliori auguri per questa nostra Città in festa perchè la sua festa non abbia mai fine.

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