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XXX Domenica del T.O. – Dio va amato amando gli altri come lui li ama.

ama[ Nel Vangelo di questa domenica XXX del T.O. ] entrano di nuovo in scena i farisei, e tra loro un dottore della Legge, un teologo diremmo noi, un esperto delle sante Scritture, “lo interroga per metterlo alla prova: ‘Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?. ( E.Bianchi )

Conosciamo tutti la risposta di Gesù: il comandamento più grande è amare Dio e amare il prossimo.
Con queste parole Gesù richiama alcuni passi delI’Antico Testamento.
Leggiamo per esempio, nel Libro del Deuteronomio, cap. 6, vv. 4-5: “Ascolta Israele: il Signore è ;I nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore con tutta l’anima e con tutte le forze“. E nel Libro del Levitico cap. 19 vv. 17-18. 1eggiamo: “Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d’un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore“.
Mentre ricorda la legge antica, però, Gesù introduce due importanti novità.
La prima è l’unione dei due comandamenti.
Per Gesù la carità è un fatto complesso e articolato. Affonda le sue radici in una dedizione senza riserve a Dio: tutta la persona con le sue doti, i suoi progetti, le sue capacità operative deve affidarsi alla volontà di Dio, al progetto di amore che Dio ha sugli uomini.
La manifestazione visibile e dinamica di questo affidamento è la dedizione a ogni uomo, considerato come un fratello, un prossimo, un altro se stesso.
Separare o semplificare i diversi aspetti di quell’evento unitario che è la carità, significa far valere qualche nostra prospettiva ristretta contro gli immensi orizzonti dischiusi dallo sguardo di Gesù.
La seconda novità è la sorprendente e rivoluzionaria concezione del prossimo. Solo l’evangelista Luca pone sulle labbra del maestro della legge una seconda domanda: “Ma chi è il prossimo?”. Gesù risponde raccontando la parabola del buon samaritano.
Il prossimo non esiste già. Prossimo si diventa.
Prossimo non è colui che ha già con me dei rapporti di sangue, di razza, di affari, di affinità psicologica.
Prossimo divento io stesso nell’atto in cui, davanti a un uomo, anche davanti al forestiero e al nemico, decido di fare un passo che mi avvicina, mi approssima.
L’amore per l’uomo nasce dalla dedizione a Dio, manifesta l’affidamento alla volontà di Dio.
Ma Dio è il Padre di tutti.
Per questo, colui che è radicato nell’amore di Dio guarda e avvicina ogni uomo, creando vincoli nuovi di prossimità, e scavalca le barriere della razza, della classe sociale, della diversa mentalità, della diversa appartenenza religiosa. ( C.M. Martini )
 …L’autenticità del mio amore si dimostra non nel momento in cui esso si spiega nella trama precostituita delle simpatie e delle consanguineità. Questa è una tendenza pericolosa. Perfino nel Nuovo Testamento spesso si trovano esortazioni all’amore che sembrano riguardare soltanto i cristiani fra di loro: «I cristiani si amano come fratelli».

 E gli altri?
In questa tendenza viene meno l’essenziale della parola di Gesù che ci esorta ad amare il prossimo che è colui che è distante da me, che è altro da me, perché Dio è altro da me.  ( E. Balducci )
 
[ Nel  testo del Vangelo di questa domenica ] il secondo comandamento è definito pari al primo, con la stessa importanza, lo stesso peso, mentre l’evangelista Luca li unisce addirittura in un solo grande comandamento: “Amerai il Signore Dio tuo … e il prossimo tuo” (Lc 10,27).
Sì, Gesù compie un’audace e decisiva innovazione, e lo fa con l’autorità di chi sa che non si può amare Dio senza amare il fratello, la sorella.
Lo esprimerà un suo discepolo, Giovanni, riprendendo l’insegnamento di Gesù: “Se uno dice: ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello” (1Gv 4,20-21).
…. Noi parliamo troppo facilmente di amore per Dio, perché ci infiammiamo nel pensarci quali amanti: allora accresciamo il nostro desiderio di Dio, aneliamo a lui, cantiamo la nostra sete di lui (si veda, in proposito, l’inizio degli splendidi salmi 42 e 63), godiamo di stare nella sua intimità, pratichiamo anche un’assiduità con Dio nella preghiera, negli affetti, nei sentimenti, nelle emozioni.
Ma occorre sempre discernere se in tale amore Dio è ascoltato o no, se la sua volontà è realizzata o no: in sintesi, se in questa relazione ci accontentiamo di un amore di desiderio, senza che vi sia in noi anche l’amore di ascolto e di obbedienza.
Va detto con chiarezza: il rapporto con Dio è esposto al rischio dell’idolatria, perché se Dio è ridotto a un oggetto del nostro amore, se amiamo un’immagine di Dio che noi abbiamo plasmato, allora Dio è un idolo, non il Dio vivente che si è rivelato a noi!
Certo, in quanto esseri umani abbiamo bisogno di esprimere l’amore per Dio anche con il linguaggio del desiderio che ci abita e che ci spinge fuori di noi stessi. Dobbiamo però sempre ricordare l’essenziale: noi aneliamo all’abbraccio con il Signore, con il Dio vivente, ma egli entra in una relazione intima, penetrante, conoscitiva con noi, nella misura in cui lo ascoltiamo, e dunque facciamo il suo desiderio, la sua volontà.
Insomma, Dio va amato amando gli altri come lui li ama.
L’amore per gli altri è ciò che rende vero il nostro amore per Dio, è l’unico luogo rivelativo, l’unico segno oggettivo che noi siamo discepoli di Gesù, e dunque amiamo Gesù e amiamo Dio. ( E. Bianchi )
 
 

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