Solennità di Tutti i Santi – Il santo è l'uomo o la donna delle beatitudini.
La parole “beati” costituisce un’antropologia, una descrizione di che cosa è davvero l’uomo felice, vero, autentico.
Le beatitudini sono la proclamazione del modo di essere uomini evangelici, discepoli autentici di Gesù, uomini e donne fortunati e felici.
Esse rivelano un misterioso capovolgimento antropologico che consiste nel passare dall’avere all’essere, dall’essere al dare, dall’avere per sé all’essere per gli altri.
Cogliendo la dinamica di questo guado, che è importantissimo per l’uomo, possiamo raggiungere il segreto di Dio, e insieme il vero segreto dell’uomo: donarsi. ( card. Martini )
In questi ultimi decenni sono stati proclamati tanti santi e beati: mai c’è stata nella chiesa una stagione così ricca di canonizzazioni, segno anche di un’estesa “cattolicità” raggiunta dalla testimonianza cristiana.
Eppure molti, all’interno e attorno alla chiesa, hanno la sensazione di non conoscere dei santi “vicini”, di non riuscire a discernere “l’amico di Dio” – questa la stupenda definizione patristica del santo – nella persona della porta accanto, nel cristiano quotidiano.
….. Ecco il forte richiamo che risuona per noi oggi: riscoprire il santo accanto a noi, sentirci parte di un unico corpo. E’ questa consapevolezza che ha nutrito la fede e il cammino di santità di molti credenti, dai primi secoli ai nostri giorni: uomini e donne nascosti, capaci di vivere quotidianamente la lucida resistenza a sempre nuove idolatrie, nella paziente sottomissione alla volontà del Signore, nel sapiente amore per ogni essere umano, immagine del Dio invisibile.
Il santo allora diviene una presenza efficace per il cristiano e per la chiesa: “Noi non siamo soli, ma avvolti da una grande nuvola di testimoni” (Eb 12,1), con loro formiamo il corpo di Cristo, con loro siamo i figli di Dio, con loro saremo una cosa sola con il Figlio.
In Cristo si stabilisce tra noi e i santi una tale intimità che supera quella esistente nei nostri rapporti, anche quelli più fraterni, qui sulla terra: essi pregano per noi, intercedono, ci sono vicini come amici che non vengono mai meno.
E la loro vicinanza è davvero capace di meraviglie perché la loro volontà è ormai assimilata alla volontà di Dio manifestatasi in Cristo, unico loro e nostro Signore: non sono più loro a vivere, ma Cristo in loro, avendo raggiunto il compimento di ogni vocazione cristiana, l’assunzione del volere stesso di Cristo: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta, o Padre” (Lc 22,42).
Sostenuti da quanti ci hanno preceduto in questo cammino, scopriremo anche i santi che ancora operano sulla terra perché il seme dei santi non è prossimo all’estinzione: caduto a terra si prepara ancora oggi a dare il suo frutto. “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19). ( E. Bianchi )
Tutti siamo chiamati alla santità; … e il “ desiderio dell’altare” è – forse—solo una “umana esigenza” … perché l’aspirazione di chi è in cammino verso la santità è “ abitare nella comunione Trinitaria e contemplare il volto di Dio.. ( Tirisan)
Purtroppo oggi questa memoria dei santi, così come quella dei morti il giorno seguente, è svuotata dalla celebrazione, sempre più popolare, di Hallowen: un altro, triste segnale di come nella nostra società si scivoli con facilità e insensibilmente dal reale al virtuale. A un mondo invisibile, autentico e reale, il mondo della comunione dei santi, viene sostituito un mondo invisibile ma immaginario, una fiction fabbricata con le nostre mani per autoconsolazione. No, la comunione dei santi è sperimentabile, vivibile: noi non siamo soli qui sulla terra perché nel Cristo risorto siamo “communicantes in unum”! ( E.Bianchi )
… Il termine greco “makários” significa “benedetto, fortunato, felice”: esso esprime la condizione dell’uomo su cui si è posata la benevolenza divina e che ha così realizzato le aspirazioni più ambite. Proprio così questa creatura è felice, perché si sente amata da un amore fedele e percepisce che la dignità del suo essere è riconosciuta, valorizzata, esaltata.
È la meta cui aspira ogni essere umano: siamo fatti per la felicità, e quando essa manca ci sentiamo frustrati, incompiuti, irrealizzati, non amati, tristi della tristezza più grande, la tristezza di vivere.
Beato è invece chi percepisce di essere avvolto da un amore grande e profondo, rivolto al suo cuore in modo proprio e personale, un amore sicuro e affidabile, a cui potersi abbandonare senza paura e senza rimpianti, un amore che ti fa sentire utile e importante e ti fa apparire la vita bella e degna di essere vissuta.
Chi non vorrebbe incontrare un simile amore?
Chi non vorrebbe essere beato così?
Parlando di beatitudini Gesù parla a tutti i candidati alla felicità, a tutto l’uomo, in ogni uomo. Egli annuncia la meta bella e la via per arrivarci, la gioia e il cammino da percorrere per farne esperienza.
Proprio così quanto sta per dire ci interessa tutti da vicino: il Maestro parla a noi, al nostro cuore inquieto, alla nostra sete d’amore, al nostro bisogno incancellabile di felicità, alla necessità che è nel profondo di ognuno di noi di essere riconosciuti nella nostra identità più vera, amati con un affetto puro, totale, bello e che duri per sempre.
Proprio da qui parte la rivoluzione di Gesù: dicendo “beati” egli richiama il mondo delle nostre aspirazioni più grandi, mentre ciò che aggiunge di volta in volta ci sconcerta e ci interroga, perché sembra indicare proprio l’opposto di ciò che avremmo immediatamente voluto o cercato…
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Chi chiamerebbe beato un povero? La povertà non è amabile, appare anzi ripugnante: richiama bisogni insoddisfatti, emarginazione e rifiuto, solitudine e abbandono, e l’impossibilità di fare ciò che avresti desiderato o voluto.
La povertà non è bella, né attraente: e Gesù chiama “beati” i poveri!
È vero che il testo di Matteo aggiunge “in spirito”, precisazione che manca nel passo parallelo del Vangelo di Luca (6,20): ma questa aggiunta, che sottolinea la necessità di una povertà scelta e voluta dal di dentro di te stesso, sembra rendere ancora più grave e inaudita la parola di Gesù. È come se egli dicesse che non basta essere poveri per essere beati, ma occorre scegliere e amare questa povertà, occorre volerla, anche se con l’aiuto e la forza che solo lo Spirito di Dio può darci. Insomma, Gesù ci mette in crisi su tutti i fronti: la via della gioia che ci indica è opposta a quella del successo in questo mondo, del denaro, del piacere, del potere ambiti come beni preziosi. Quello che il Maestro vuole dirci è che nulla di penultimo può riempire la sete infinita d’amore che ci portiamo dentro, e che solo se diventiamo vuoti di tutto possiamo lasciarci riempire da Dio, dalla Sua signoria, che illumina, trasforma e riscalda di vero amore tutto ciò che raggiunge.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
….. Il dolore è l’esperienza che unisce tutti, prima o poi, in un modo o nell’altro: parlando di “quelli che sono nel pianto” il Maestro non sembra riferirsi a sofferenze fugaci, ad attimi passeggeri di dolore o di tristezza, ma a quella condizione prolungata, sorda, costante, che a volte sembra soffocare l’anima.
Il paradosso che Gesù annuncia si comprende proprio a partire da qui: nell’abisso del tuo dolore puoi essere beato, se riconosci accanto a Te la compagnia del dolore divino, dell’amore di Dio per il mondo come ci è stato rivelato nel Figlio.
Quando sei “nel pianto” non sei solo: Lui è con te. ….
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
… Mite è chi crede nell’efficacia della non-violenza ed è pronto a porgere l’altra guancia a chi lo schiaffeggia, a far del bene a quanti gli fanno del male, anche contro ogni calcolo e misura di successo.
Mite è chi è pronto a chiedere e dare il perdono, perché è convinto che le ragioni del cuore che crede e che ama sono più durature ed efficaci di quelle della forza.
Mite è chi preferisce sempre l’ascolto, il dialogo, l’accoglienza e la riconciliazione alla chiusura, al rifiuto, al desiderio di rivalsa e alla vendetta.
La soluzione dei conflitti non si otterrà col ricorso alle armi: il mite non crede nella guerra e non riconosce alcuna guerra giusta, tale cioè che le distruzioni operate e le vite umane sacrificate possano essere proporzionate allo scopo da conseguire.
La “non violenza” è l’espressione coraggiosa ed esemplare di questa mitezza, che sulla bocca di Gesù attinge alla profondissima fonte del rapporto vitale della persona che la pratica con Lui, il mite e umile di cuore. …
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
La giustizia è il dare a ciascuno il suo, a Dio come a ognuno dei nostri fratelli in umanità. È giusto chi ama il Signore con tutto il cuore e a Lui solo vuole piacere e dare gloria. Chi agisce così, rispetterà ogni essere umano, riconoscendo nel volto d’altri, di ogni altro, un’esigenza infinita d’amore, il diritto inalienabile di ciascuno ad essere riconosciuto nella propria dignità di figlio di Dio, fatto a immagine del Creatore e Signore del cielo e della terra, un fratello per cui Cristo è morto.
Impegnarsi per la giustizia, averne fame e sete, vuol dire tendere in ogni scelta e comportamento alla piena realizzazione di ogni essere umano secondo il disegno di Dio e quindi al bene maggiore possibile per ognuna delle Sue creature. Chi agisce con giustizia e per la giustizia riconosce nell’altro non un avversario o un pericolo, ma un appello e un dono, specialmente se non può darti nulla in cambio. Ha fame di giustizia chi ama il povero, chi vede nel volto del misero il volto di Gesù ed è pronto a pagare di persona perché il diritto dell’umile non sia calpestato e la sua dignità sia sempre rispettata e promossa. Se veramente chi ha fame e sete di giustizia sarà saziato, come assicura il Maestro, possiamo essere certi che il Dio del Vangelo è un Dio “di parte”, vindice dei poveri e degli oppressi, dalla parte dei deboli e dei senza speranza. L’umile non sarà dimenticato dal Padre che è nei cieli, e chi si impegna per garantirne il diritto conoscerà la beatitudine anche nell’apparente sconfitta, in ogni prova e fatica, al di là di ogni calcolo o evidenza umana. Pagare il prezzo dell’amore per la giustizia è già essere partecipi della vittoria di Dio, difensore dei poveri e dei deboli.
Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia.
Misericordioso è chi ha un cuore compassionevole, che ama non a motivo dei meriti dell’altro, ma per il solo fatto che l’altro c’è. L’immagine più trasparente della misericordia è quella dell’amore di una madre per la sua creatura: amore viscerale, che non fa il calcolo del dare e dell’avere, ma dà senza motivazione e senza misura.
In ebraico – lingua in cui batte particolarmente il sangue caldo della vita – il termine per dire misericordia è “rahamim”, che vuol dire “viscere”, “grembo” di donna che custodisce e genera la vita. Dio ama così: è Padre e Madre nell’amore.
Saperlo è sorgente di pace, perché ci libera da tutto l’affanno di cercare motivi – sempre improbabili – per meritare il Suo amore. Chi anche una sola volta nella vita ha fatto esperienza della misericordia divina, sa quanto è bello esserne avvolti, lasciarsene inondare e trasformare, e come essa ci chieda di non metterci mai sul trono del giudice riguardo a gli altri, ma sempre e solo nell’atteggiamento di chi accoglie, comprende e ama. La misericordia genera misericordia: chi l’ha conosciuta, impara ad essere per l’altro porto e sorgente di misericordia e di perdono, a prescindere da ogni merito e da ogni reciprocità. E chi offre misericordia, amando senza attendersi alcun ritorno per sé, entra sempre più negli abissi trasfiguranti delle divina misericordia: è dando che si riceve; è morendo a se stessi, che si resuscita a vita eterna, immersi nell’infinita misericordia di Dio. “
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
È puro di cuore chi non considera assoluto ciò che è relativo, chi sa riconoscere il penultimo e valutarlo nell’orizzonte dell’ultimo, che è solo Dio e la Sua gloria.
Impuro è il cuore attaccato alle cose che passano, che cerca di goderne illudendosi che esse possano dare la gioia e la felicità che non passano. In un mondo che assolutizza ciò che è relativo e giustifica ogni mezzo per possedere il bene fugace e fragile come se dovesse restare per sempre, la purezza di cuore non sembra essere di moda, né attuale né attraente.
Eppure, sembra dirci Gesù, è questo l’abbaglio capace di rovinare il cuore e la vita! Solo chi ha un cuore puro potrà vedere Dio, oggi riconoscendone i segni e la presenza nei frammenti del mondo che passa, domani contemplandone senza veli il volto nella bellezza del mondo che non avrà fine.
La purezza del cuore è allora la condizione per la realizzazione del desiderio più profondo del nostro essere creature chiamate ad amare, il desiderio di vedere Dio e di poterlo amare essendone infinitamente amati. Il puro di cuore vive alla presenza di Dio e Dio vive in lui, negli abissi della sua anima assetata di luce, di bellezza, di amore. Custodire il cuore, vigilare perché nessuna sporcizia ed egoismo appannino gli occhi dell’anima, vuol dire aprirsi alla gioia grandissima che solo la visione di Dio può darci. In tutto ciò che sei e fai, che scegli o che rifiuti, non dimenticare di cercare e realizzare la condizione decisiva della felicità, che nasce dal vedere accanto a Te e per Te la presenza dell’Amato e dal cogliere il senso e il valore di tutto nella Sua luce. “
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
La pace non potrà mai venire dalla paura del più forte o dalla fiducia nella potenza delle armi: quanti sono stati nella storia i giganti dai piedi di argilla, per i quali è bastato un sassolino a far crollare la macchina impressionante del loro potere!
Opera per la pace non chi pone la sua fiducia nello spettro della guerra, ma chi segue sempre e fino in fondo la via del dialogo, della giustizia per tutti e del perdono.
Non si risolveranno i conflitti chiudendosi all’ascolto dell’altro, accecati dalle proprie ragioni: solo chi si sforzerà di capire le ragioni dell’altro potrà costruire la pace con lui.
Solo chi si impegnerà a rispettare la giustizia per tutti, aprirà la strada all’incontro e alla riconciliazione delle parti in gioco. Solo chi saprà chiedere e offrire perdono, sarà un costruttore di pace.
Chi vuole servire la pace dovrà imparare a riconoscere nell’altro il compagno in umanità, figlio dell’unico Padre Signore della terra e del cielo, il fratello per cui Cristo è morto.
Ecco perché gli operatori di pace saranno riconosciuti come figli dell’unico Padre, figli che generano altri figli per Dio costruendo ponti di pace nella comune obbedienza alla verità che libera e salva.
La gioia di chi edifica la pace è la felicità di chi si scopre amato dall’Altissimo e reso in questo medesimo e unico amore fratello universale, fratello di tutti al servizio del bene di ciascuno e dell’intera famiglia umana. “
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Chi veramente ama è pronto a pagare il prezzo perché nessuno sia calpestato e offeso. Il Signore crocifisso ne è la prova luminosa e perfino conturbante: Gesù non ha mai fatto violenza a nessuno, preferendo piuttosto consegnarsi alla morte per amore di tutti, perfino dei suoi persecutori.
Chi vuol seguire il Maestro sa che non c’è altra strada per essere felici e rendere gli altri felici: preferire di essere perseguitati per la giustizia, piuttosto che fare del male a qualcuno o ricorrere a mezzi ingiusti per far trionfare la propria causa.
Chi crede in Gesù, crede nella potenza della debolezza.
Il discepolo del Dio crocifisso sa che nessuna giustizia potrà essere costruita sull’ingiustizia, nessuna riconciliazione sulla vendetta, nessuna pace sulla violenza e la sopraffazione.
A che servirebbe guadagnare il mondo intero, se poi si dovesse perdere la propria anima? Beato è chi soffre per causa della giustizia, accettando di amare anche chi lo perseguitasse. L’impotenza di Dio è più forte della potenza degli uomini!
La debolezza dell’amore, vissuto in unione all’offerta del Figlio abbandonato, è la sola vittoria che vincerà il mondo. Saperlo è già profondissima pace.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.
Gesù si rivolge ora direttamente a noi, suoi discepoli.
Non ci pensa come trionfatori, ma come l’umile Chiesa della Croce che porta a tutti il Suo Vangelo e che per questo trova incomprensioni, offese, persecuzioni e calunnie.
Il Maestro sa che il Suo messaggio è scomodo, perché capovolge la logica del mondo: e le beatitudini ne sono prova evidente! Sovvertire la gerarchia dei valori e dei gusti, anteporre a tutto l’obbedienza a Dio e il dono di sé fino alla fine, non solo appare a molti follia, ma dà anche fastidio, perché smaschera le false verità del mondo e inchioda i potenti alle loro responsabilità, mentre esalta il diritto dei poveri e dei deboli e il loro primato nella gerarchia del cielo.
Seguire Gesù non è mai stato facile, come prova la vita dei santi. Eppure, è veramente bello: chi, come Lui, potrà darci la gioia di cui il nostro cuore inquieto ha tanto bisogno?
Chi ci darà l’amore di cui abbiamo fame e sete, o chi riconoscerà la dignità del nostro povero essere, se non Lui che ci ha amati e ha consegnato se stesso alla morte per noi? Cristo non è solo la verità che illumina e il bene che riscalda, ma è anche l’infinita bellezza che salva, fonte di gioia e di pace.
Perciò il Maestro ci dice: “Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. E ci assicura che, seguendo Lui, entriamo nella grande schiera dei profeti e dei santi e partecipiamo sin da ora alla bellezza che un giorno ci sarà data senza misura nella città celeste.
L’uomo nuovo delle beatitudini, il discepolo amato, non sarà mai solo e proprio così vincerà il Maligno e le potenze della morte.
La sua gioia non avrà mai fine: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi”.
Il santo è chi ha compreso e vissuto tutto questo: è l’uomo o la donna delle beatitudini. Egli vive la gioia promessa da Gesù alle condizioni indicate da Gesù.
Perciò, chi vuol tendere alla santità – umanità piena e felice, in cui il progetto di Dio è portato a compimento – chiederà pregando con cuore umile e fiducioso che si realizzi sempre più in lui la verità delle beatitudini: “O Signore, fa’ di me uno strumento della Tua Pace. Dove c’è odio, ch’io porti l’amore, dove c’è offesa, ch’io porti il perdono, dove c’è discordia, ch’io porti l’unione, dove c’è dubbio, ch’io porti la fede, dove c’è errore, ch’io porti la verità, dove c’è disperazione, ch’io porti la speranza, dove c’è tristezza, ch’io porti la gioia, dove ci sono le tenebre, ch’io porti la luce. O Maestro, fa’ ch’io non cerchi tanto di essere consolato, quanto di consolare; di essere compreso, quanto di comprendere; di essere amato, quanto di amare. Poiché è dando che si riceve, è perdonando che si è perdonati, è morendo che si risuscita a vita eterna. Amen! Alleluja!”. ( Bruno Forte )
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