III Domenica di Pasqua – Una nuova economia di salvezza si apre con il Cristo presente non più di persona, ma nei segni sacramentali e nella testimonianza della comunità.
Come ogni testo del Nuovo Testamento, Emmaus è un testo dove la Chiesa si racconta e quindi al tempo stesso si espone e si giudica, dove la Chiesa dice ciò che è e si misura su ciò che dovrebbe essere.
Nessun esegeta dubita ormai che questo episodio sia impastato dall’esperienza che i primi cristiani facevano in quelle forme embrionali di liturgia che tuttavia già racchiudevano l’essenziale del culto cristiano: la lettura delle Scritture alla luce della morte di Cristo e la frazione del pane, cioè l’eucaristia.
Al contempo, in questa pagina di Luca la Chiesa si è data da sé stessa la norma della sua pratica, così che potrà sempre tornare a Emmaus come al canone della sua liturgia e lì valutarla. …
Nell’episodio dei discepoli di Emmaus la prima generazione di cristiani ha raccontato il cammino che ha compiuto per giungere alla fede pasquale. Emmaus mostra come si diventa cristiani e come si rimane cristiani. (Boselli Goffredo, monaco di Bose)
[ Il brano dei ” Discepoli di Emmaus” ] ha sempre affascinato.
È un racconto dove fede ed emozione, ragione e sentimento, dolore e gioia, dubbio e certezza si fondono, toccando le corde più profonde del lettore, sia esso credente o soltanto in ricerca, creando profonde risonanze al desiderio di mettersi in cammino verso Colui che offre la pienezza della felicità.
[…] Gli avvenimenti a Gerusalemme si sono svolti vorticosamente e crudelmente: il processo, l’agonia, la morte, la sepoltura.
Due dei discepoli di Gesù, che hanno assistito a tutto ciò, se ne vanno da Gerusalemme verso un villaggio di nome Emmaus e parlano di tutti gli avvenimenti che si sono susseguiti davanti ai lori occhi… hanno subito lo scacco delle loro proiezioni…
E’ la fuga dal crocifisso.
[…]Per loro la croce è ancora un incomprensibile scandalo. Sulla croce è svanito il sogno di poter realizzare con Gesù un cambiamento concreto nel loro paese (“noi speravamo che fosse lui a liberare Israele”).
E’ vero, continua il racconto, che si è sparsa la voce, alimentata da alcune donne, che egli è vivo, ma i discepoli, in fin dei conti, Gesù non lo hanno visto…
I due hanno dato sfogo a tutto quello che avevano dentro. In loro si vede la differenza tra il sapere ed il credere: hanno proclamato un perfetto credo in Gesù di Nazareth, riconoscendone la qualità di profeta, fino alla affermazione: “
Egli è vivo”….ma restano nell’incomprensione.
Tutto è stato detto, ma tutto resta oscuro. Tutto è razionalmente raccontato, ma di tutto sfugge il senso profondo.
La pietra d’inciampo dei discepoli era la croce. Con essa sembravano morte tutte le loro speranze.
Allora Luca inserisce in bocca a Gesù un verbo tipico di tutta la teologia lucana della croce: “Non bisognava che….”.
Cosa vuol farci capire l’evangelista?
[…] Il verbo “bisognava” sottrae la morte di Gesù alle leggi del fato, della natura o della politica per assumerla direttamente nella decisione libera, sovrana, gratuita di Dio.
Quello che era il punto di inciampo, lo scacco insormontabile, ora è rivissuto in termini salvifici: la morte è il massimo momento rivelativo di Dio, è il passaggio obbligato per poter entrare nella gloria del Padre.
E’ ora Gesù stesso che spiega ciò che nelle letture si riferisce a lui e si pone come senso, compimento, chiave di lettura della storia di Israele.
Non una minuziosa ricerca di possibili anticipazioni del futuro, ma una rilettura dell’intero destino umano alla luce del progetto di Dio, come manifestatosi nella persona di Gesù.
Questa “catechesi biblica” segna profondamente l’esperienza dei due discepoli. Il groviglio inestricabile nel quale si dibattevano inizia a districarsi.
Dopo la Parola, il Pane: siamo al secondo, grande segno rivelatore del Signore Gesù.
I due discepoli insistono con il Signore: “Resta con noi…”, ed egli entra “per rimanere con loro”.
I due discepoli di Emmaus riconoscono nel pasto un Gesù che ben conoscevano: il Gesù che si dona nella comunione della mensa, il Gesù del pane donato a tutti che mangia con i peccatori, con i farisei, con gli amici, che chiede al Padre il pane quotidiano, che si consegna alla memoria degli amici nel pane spezzato.
Nel segno della frazione del pane, Gesù si rende riconoscibile ai discepoli; e non solo riconoscibile, ma sacramentalmente presente nella comunità cristiana.
Il verbo utilizzato da Luca per la frazione del pane è un imperfetto e non un passato ed andrebbe pertanto tradotto non “lo diede loro”, ma “lo dava loro”. Un modo in più, per Luca, di indicare che la promessa di Gesù di entrare “per rimanere con loro” viene mantenuta oltre ogni aspettativa. L’imperfetto, indicando una azione continuata, evoca il Cristo che siede alla mensa degli uomini di tutti i tempi.
Gli occhi si aprono, il cuore è ardente, ma Gesù sparisce dalla vista.
Nella magistrale architettura di Luca, gli occhi dei discepoli prima della frazione del pane non riuscivano a “vedere” Gesù che pure era presente, mentre lo riconoscono proprio ora che lui sparisce dalla loro vista.
E’ una nuova economia di salvezza che si apre, con il Cristo presente non più di persona, ma nei segni sacramentali e nella testimonianza della comunità.
La decisione è immediata: si rimettono in cammino su quella stessa strada che li aveva visti sconfitti.
E Luca sottolinea “Partirono senza indugio”.
E’ il momento della missione: il Cristo risorto si è consegnato ai discepoli ed essi ne divengono i testimoni: “Di questo voi siete testimoni” (Lc. 24,48).
Tutti i racconti di resurrezione terminano con l’invio in missione. I due discepoli volevano fermarsi ad Emmaus, ma il risorto li ha condotti sulla strada della missione.
Torneranno a Gerusalemme e da Gerusalemme la missione continuerà finché ad ogni uomo sia annunciato il Vangelo : Avrete la forza dello Spirito Santo che scenderà si di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra. ( Card. Carlo Maria Martini )
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