XXI Domenica del T.O. – Questa Parola è davvero dura, e continuare ad ascoltarla è possibile soltanto se queste parole di Gesù continuano a parlarci e continuano ad essere ascoltate al di là dello scandalo
Le pagine del Vangelo di queste ultime domeniche provengono tutte dal discorso di Gesù sul “pane di vita”, un lungo insegnamento nato dal segno prodigioso della moltiplicazione dei pani e dei pesci, nel quale Gesù interviene in modo deciso e concreto in una situazione di necessità storica, cioè quella di una folla affamata nel deserto.
Tutto quello che Gesù dice in seguito è la rivelazione che Dio dall’alto dei cieli è sceso come un pane concreto dentro la storia umana e si è fatto segno visibile e “toccabile”. ( G. Berti )
Dopo aver ascoltato la Parola del Signore, il cristiano è chiamato a scegliere con decisione, abbandonando le mezze misure. Egli non è fatto per “tirare a campare”, nutrendosi di “pane raffermo” e di surrogati senza sostanza, ma è chiamato alla vita piena, nutrito e sostenuto dal Pane di vita. (N, Galantino)
Nel suo discorso Gesù aveva detto più volte: “Io sono il pane vivente disceso dal cielo” (Gv 6,51; cf. 6,33.38.41-42.58), ma proprio quelli che lo avevano acclamato come “il grande profeta che viene nel mondo” (cf. Gv 6,14) e che avevano voluto farlo re (cf. Gv 6,15), di fronte a queste parole si sentono scandalizzati nella loro fede.
Profeta sì, ma disceso dal cielo e corpo consegnato (verbo paradídomi) fino alla morte violenta, corpo da mangiare e sangue da bere (cf. Gv 6,51-56), questo proprio no: sono parole che suonano come una pretesa insopportabile, impossibili da ascoltare!
Gesù, che conosce queste mormorazioni dei discepoli contro di sé, a questo punto non ha paura di dire tutta la verità, a costo di causare una divisione tra i suoi e un abbandono della sua sequela. Potremmo dire che “attacca” i mormoratori: “Questo vi scandalizza? E quando vedrete il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?”. Cioè, “quando sarete messi di fronte alla realtà del Figlio dell’uomo che, attraverso l’innalzamento sulla croce, sale a Dio dal quale è venuto (cf. Gv 3,14; 8,28; 12,32); quando sarà manifestata la mia piena identità di colui che è disceso da Dio e che a Dio è risalito nella sua umanità assunta come condizione carnale, mortale, ‘simile alla carne del peccato’ (Rm 8,3), allora lo scandalo sarà più grande!”.
Gesù fa questo attacco soffrendo tutto il peso dell’incredulità, della non comprensione da parte di quelli che da anni erano coinvolti con lui e assidui alla sua parola.
[….] Per questo Gesù incalza: “Volete andarvene anche voi?”, rivolgendosi a quelli che sono rimasti, in realtà pochi.
Gesù non teme, anche se soffre, di restare solo, perché ha fede nella parola che il Padre gli ha rivolto, nella promessa di Dio che non verrà meno. Possono venire meno gli altri, ma Dio resta fedele!
A volte mi chiedo perché nella chiesa non si abbia il coraggio di far risuonare ancora oggi queste parole di Gesù, perché si insegni sempre il successo, si guardi al numero dei credenti, si compiano sforzi mirando alla grandezza della comunità cristiana e non alla qualità della fede. Siamo tutti genti di poca fede! [ E. Bianchi]
Ciò che dice è intollerabile. “Questa parola è dura!”.
Si, ciò che Gesù dice è scomodo, non lo dice per farci piacere, ma Gesù dice il vero. “Ho sempre parlato apertamente”(Gv 18,20).
Il Vangelo non è facile. Continueremo ad ascoltarlo?
Le opzioni sono due: continuare ad ascoltarlo oppure smettere di ascoltarlo quando diventa “troppo”. Ma se non facciamo l’esperienza di questo “troppo”, incontreremo mai la Parola di Dio che va oltre?
Ascoltare Gesù ci porta a vedere il suo punto di vista che è quello del Padre. Siamo capaci di spingere l’ascolto del Verbo fino alla croce?
Questa Parola è davvero dura, e continuare ad ascoltarla è possibile soltanto se queste parole di Gesù continuano a parlarci e continuano ad essere ascoltate al di là dello scandalo. Non è forse questa la Chiesa delle origini?
….. Ascoltare è accogliere un movimento, ricevere un respiro senza il quale niente può sopravvivere
(Frère Christophe Lebreton: “La table et le pain pour les pauvres”. Editions de Bellefontaine – omelia del 21 agosto 1994).
Nel discorso di Cafarnao, Gesù ha trattato precisamente delle condizioni per appartenere alla comunità messianica: Gesù e i suoi sono una comunità dedicata senza riserve al bene dell’uomo per cui l’adesione a lui si deve manifestare nel dono di sè agli altri fino all’estremo sacrificio della propria vita.
Molti discepoli – che lo seguivano spinti dall’ambizione e dal desiderio di potere e di prestigio sperando di condividere con lui il trionfo del Messia – rimangono delusi.
Ma Gesù non accetta compromessi: è disposto a restare senza discepoli piuttosto che rinunciare al suo programma di donazione totale della vita perché altri ricevano vita.
Stesse disposizioni che verranno poi nuovamente formulate in 12,24: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo. Se muore produce molto frutto”.
Non è possibile trasmettere vita senza dare la propria. Per questo Gesù non chiede tanto di trasmettere un messaggio ma di dimostrare amore perché la vita – frutto dell’amore – non si comunica se l’amore non arriva al dono totale.
E la morte (“e morte di croce”, cf Fil 2,8) è la condizione perché nell’uomo si liberi tutta la sua energia vitale e la vita, che stava rinchiusa e nascosta, si manifesti di una forma nuova perché soltanto nel dono totale di sé queste si liberano ed esercitano tutta la loro efficacia.
Naturalmente questa morte di cui parla Gesù non è un fatto isolato, e neanche puramente fisico (ci sono “morti molto più dolorose di quella fisica!) ma il culmine di un processo di donazione di se stesso, l’ultimo atto di una donazione costante. L’accettazione di Gesù e del suo messaggio vengono espresse e rinnovate dalla comunità dei credenti nell’eucarestia dove l’accettazione materiale del pane e del vino contenenti l’amore di Gesù ai suoi diventano norma per la vita dei discepoli come dono di sè all’umanità. ( A Maggi )
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