XXIV Domenica del T. O. – È facile dire a Gesù che egli è il Cristo, il Messia, ma è impossibile accettare un “Messia al contrario”, un Messia sofferente sconfitto …!
Se il Vangelo di Marco, nel suo insieme, cerca di rispondere alla domanda «Chi è Gesù?», il brano odierno va direttamente al cuore della questione.
Dall’identità di Gesù, infatti, dipendono anche la relazione che bisogna stabilire con Lui e le esigenze conseguenti a questa relazione.
Ed è proprio Gesù che, attraverso una pedagogia graduale, conduce i discepoli ad affrontare la domanda di fondo sulla sua identità.
Prima li interroga alla lontana («La gente, chi dice che io sia?»), quasi a volerli introdurre con delicatezza al momento di verità che seguirà. Ma la rassegna delle opinioni altrui non è l’obiettivo di Gesù …
A chi sta con lui, Gesù non permette di rispondere alle sue domande con “frasi fatte” né con formule prese a prestito, magari da libri ben fatti: una fede fatta di formule o ridotta a esse è la tomba della fede stessa. Quello che il Signore vuole, invece, è che i suoi discepoli – allora come oggi – vivano con lui una relazione interpersonale autentica, senza accontentarsi del parere o del racconto di altri. ( N. Galantino )
Gesù però non si ferma a questa prima domanda, e pone loro quella seria e decisiva: “E voi, ciascuno di voi, chi dite che io sia?”.
Questa domanda esige che i discepoli si chiedano se anche loro seguono l’opinione comune, ciò che quasi tutti pensano, oppure se hanno un proprio pensiero.
Certamente tra i discepoli gli stessi Dodici non la pensavano tutti allo stesso modo. Per Marco è però importante la dichiarazione di Pietro, colui che tra i Dodici teneva il primo posto.
È lui – e non a nome di tutti, o come portavoce, ma personalmente – a proclamare: “Tu sei il Cristo, il Messia!”.
Pietro dice che Gesù è più di un profeta, è l’inviato di Dio, unto dal Signore per stabilire il regno di Dio.
…. Nel vangelo più antico questa confessione è accolta da Gesù nel silenzio e con l’imposizione del silenzio, perché era vera, ma poteva essere insufficiente, dunque doveva essere messa alla prova.
Ed è ciò che puntualmente avviene subito dopo.
Non appena Pietro ha confessato la sua fede di giudeo credente, in attesa del compimento della promessa di Dio, ecco che Gesù può iniziare un insegnamento nuovo rispetto a quello della tradizione.
Per questo “incominciò” (érxato) a dire che egli, Messia sì, ma – come amava definirsi – Figlio dell’uomo, “doveva soffrire molte cose, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere”. Ecco l’insegnamento nuovo e scandaloso, ma fatto apertamente da Gesù.
E allora Pietro che, insieme agli altri Undici, stava dietro a lui (opíso autoû), secondo l’usanza dei discepoli nei confronti del loro rabbi, accelera il passo, gli si pone davanti, lo precede e lo rimprovera.
Per Pietro è impossibile un Messia che non trionfi, che non sia vittorioso sui nemici, un Messia rigettato dalle autorità legittime della comunità dei credenti di Israele, un Messia che subisca una morte violenta.
E poi, cosa significa questo rialzarsi il terzo giorno?
Gesù allora può solo rispondergli: “Passa dietro a me (opíso mou), alla mia sequela, al tuo posto di discepolo”, e lo definisce “Satana”, cioè oppositore, avversario: a Pietro viene dato il nome del demonio!
È facile dire a Gesù che egli è il Cristo, il Messia, ma è impossibile accettare un “Messia al contrario”, un Messia sofferente sconfitto; si tratta davvero di un insegnamento nuovo, e Pietro non è pronto ad accoglierlo…
Mosè era morto “sulla bocca di Dio” (Dt 34,5), Elia era stato da Dio assunto in cielo (cf. 2Re 2,1-18), e invece proprio il Messia deve subire violenza, condanna, rifiuto? Non può essere, pensa Pietro… E invece è così – dice Gesù – e in effetti così è stato.
Un abisso separa il piano, la volontà di Dio dai pensieri degli umani (cf. Is 55,8-9), anche dai nostri, dai miei! In verità è tanto facile acclamare Gesù come Cristo, cantarlo e invocarlo; ma accettarne la fine ignominiosa, il fallimento della missione, è scandalo, inciampo, è quasi impossibile per le nostre attese religiose.
E poi, al pensiero che dietro a un tale Messia, maestro e profeta si è coinvolti nella sua vicenda, allora siamo presi da paura e preferiamo non credere, non conoscere la vera identità di Gesù.
E così siamo cristiani non del Vangelo, ma del campanile; cristiani culturalmente, non perché seguiamo Gesù; cristiani pii e devoti, ma lontani dall’ombra della croce. ( E. Bianchi )
Il vizio mentale di Pietro era quello ereditato dal messianismo temporale.
Poco prima, alla domanda di Gesù, aveva detto: «Tu sei il Cristo», cioè il Messia, e quindi voleva dire: «Tu sei colui che porta a riscatto il nostro popolo». ( E. Balducci )
Gesù in questo Vangelo è stato presentato come ‘Messia’, non ‘il Messia’.
L’articolo determinativo ‘il’ indica che è il Messia atteso dalla tradizione, quello che verrà a restaurare la monarchia, quello che imporrà la legge.
Gesù è Messia, ma non il Messia della tradizione. Quindi Pietro non ha risposto bene. ( A Maggi )
La speranza dei secoli confluiva nella passione di Pietro per il Maestro.
Non era un individuo, era un popolo che parlava con lui. Invece il Maestro prospetta il fallimento e una vittoria, ma al di fuori dei quadri previsti.
C’è una frattura profonda.
[…] Ci troviamo in un tempo messianico.
Chiamiamo messianico il tempo in cui le speranze, che spesso vanno, come torrenti o fiumi, in letti tranquilli, a volte si trovano dinanzi a grandi barriere.
Siamo dinanzi a queste grandi barriere ed ecco perché siamo portati a ripiegarci per interrogarci.
Che cosa vuoi dire aver fede, una volta che questa parola sia tolta alla cattura religiosa e spiritualistica?
In quest’ottica, la fede vuoi dire sperare in Dio, nel paradiso, nell’aldilà. Così svuotata la fede diventa crisalide, manipolabile a tutti gli usi, anche a quello delle, guerre, come la storia ci dimostra.
La fede di cui parlo, e che vuole opere conseguenti, è la fede della non-violenza.
È la non-violenza che apre la via alla realizzazione del mondo secondo il cuore di Dio e il cuore dell’uomo, che sono un solo cuore.
Un mondo di pace, senza violenze, senza discriminazioni, senza sperequazioni.
Questa aspirazione è il segno messianico iscritto nelle fibre carnali dell’uomo… ( Ernesto Balduci- da “Il Vangelo della pace” – volume 2 anno B)
Lascia un commento