Festa di Tutti i Santi – Se voi trovate nel mondo uomini che potete chiamare miti, misericordiosi, puri di cuore, facitori di pace… voi avete conosciuto la santità.
La parole “beati” costituisce un’antropologia, una descrizione di che cosa è davvero l’uomo felice, vero, autentico.
Le beatitudini sono la proclamazione del modo di essere uomini evangelici, discepoli autentici di Gesù, uomini e donne fortunati e felici.
Esse rivelano un misterioso capovolgimento antropologico che consiste nel passare dall’avere all’essere, dall’essere al dare, dall’avere per sé all’essere per gli altri. Cogliendo la dinamica di questo guado, che è importantissimo per l’uomo, possiamo raggiungere il segreto di Dio, e insieme il vero segreto dell’uomo: donarsi. ( card. Martini )
“Beati” non è un aggettivo, è un invito alla felicità, alla pienezza di vita, alla consapevolezza di una gioia che niente e nessuno può rapire né spegnere (cf. Gv 16,23). “Beati” ha anche il valore di “benedetti” (cf. Mt 25,34), in opposizione ai “guai” (cf. Mt 23,13-32; Lc 6,24-26), ma indica qualcosa che non è soltanto un’azione di Dio che rende giusti e salvati nel giorno del giudizio (cf. Sal 1,1; 41,2) , ma che già da ora dà un senso, una speranza consapevole e gioiosa a chi è destinatario di tale parola. Promessa e programma!
Nessuno dunque pensi alla beatitudine come a una gioia esente da prove e sofferenze, a uno “stare bene” mondano. No, la si deve comprendere come la possibilità di sperimentare che ciò che si è e si vive ha senso, fornisce una “convinzione”, dà una ragione per cui vale la pena vivere. E certo questa felicità la si misura alla fine del percorso, della sequela, perché durante il cammino è presente, ma a volte può essere contraddetta dalle prove, dalle sofferenze, dalla passione. (Enzo Bianchi)
… Chi sono i santi e cosa fanno di speciale per essere considerati tali?
Nel vivere questa festa, che li celebra tutti insieme, dobbiamo evitare il rischio di considerarli come dei puri simboli, degli “esseri umani alieni”, ammirevoli ma “irraggiungibili”, troppo diversi da noi e, quindi, estranei alla nostra quotidianità. Un rischio che deriva dalla convinzione, del tutto errata, che la santità consista in una specie di “abilità” che l’uomo può acquisire con le sue sole forze, a suon di “buone opere”, meglio ancora se realizzate con grandi sforzi e sacrifici. ( N. Galantino )
Se voi trovate nel mondo uomini che potete chiamare miti, misericordiosi, puri di cuore, facitori di pace… voi avete conosciuto la santità.
Questi sono i santi senza aureole (non importano le aureole!), sono i figli del regno, sono gli esseri beati, ma non nel senso edonistico della parola, in un senso pieno: essi si sono adempiuti veramente.
Nella nostra memoria carnale gli uomini di successo sono altri, e perfino i santi che nominiamo santi spesso sono troppo vicini agli altri uomini di successo.
Io sono convinto (enuncio una ipotesi rispettosa) che dinanzi agli occhi di Dio i santi non sono i nostri santi – che poi sono troppo vicini a noi, e sono sugli altari, li abbiamo messi in alto – ma gli anonimi, la turba che Gesù con i suoi occhi osservava, trapassando forse i secoli, quando diceva: «Beati i miti, i facitori di pace…».
….Ho la convinzione, non volontaristica ma motivata, che siano tanti coloro che rassomigliano ai santi descritti da Gesù, quelli delle beatitudini.
I santi, forse, sono là dove il nostro occhio non arriva perché il nostro occhio è telecomandato.
Noi abbiamo notizia soltanto di alcuni di loro solo perché rientrano nella cronaca maggiore della storia. […]
La turba di coloro che con mitezza e dignità difendono il volto divino dell’uomo è innumerevole.
Si tratta di una santità che non è molto diffusa in casa nostra, che non bazzica molto, forse, nelle nostre chiese. (Ernesto Balducci – “Il Vangelo della pace” vol 2 anno B)
Tutti siamo chiamati alla santità; … e il “ desiderio dell’altare” è – forse—solo una “umana esigenza” … perché l’aspirazione di chi è in cammino verso la santità è “ abitare nella comunione Trinitaria e contemplare il volto di Dio.. ( T&T)
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