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V Domenica del T.O. – Il momento in cui l'uomo si scopre peccatore è proprio il momento in cui il Signore gli va incontro e lo santifica.

pesca ritIn questa quinta domenica del Tempo ordinario, le storie della chiamata di Isaia, di Paolo e di Pietro…
Il profetà è chiamato a parlare in nome di Dio, egli è anzitutto uno che non fa conto sulle proprie qualità. ( N. Galantino )
[Più si esperimenta la presenza di Dio più si avverte di essere uomini peccatori e dalle labbra impure. ]
Appena conosciamo Dio sentiamo, come Isaia, di avere le labbra impure, sentiamo come Pietro di essere peccatori, o come Polo, di essere degli abortivi.
Questa confessione di indegnità non è la colpevolezza che la psicologia vede come un funesto processo della religione, è invece un’esperienza altamente liberante, perché ci mette fuori della scacchiera dove ci sono i quadrati bianchi e i quadrati neri, i buoni e i cattivi.
A livello della fede sappiamo che abbiamo un dovere di fedeltà che ci porta al di là del bene e del male. ( E. Balducci )
Nel momento in cui si scopre peccatore, l’uomo vuole fuggire perché si sente perduto, ma è proprio il momento in cui il Signore gli va incontro e lo santifica.
«Basta questa confessione perché Dio trasformi tutto l’essere del profeta. Il fuoco della santità di Dio ci fa riconoscere peccatori, ci rigenera: e allora si può annunciare. Ogni annuncio che non sia purificato dall’incontro con Dio, che non passi attraverso questa consapevolezza non può proclamare che Dio è santo. Per questo tutti gli apostoli sono passati per questa purificazione: quando chi annuncia è così, allora è possibile l’annuncio» (U. Neri, appunti di omelia, Monteveglio, 10.2.1974).
«Mi sono chiesto che cosa è successo a Pietro: egli si è sentito peccatore e ha sentito la santità di Dio in Gesù. Di fronte a un prodigio fatto da santi si sente solo di riflesso il peccato. Se non si ha esperienza sia pure iniziale di Dio non si sente neppure il peccato» (d. G. Dossetti, appunti di omelia 16.2.74).
Quando c’è un vero credente ve ne accorgete: non giudica gli altri perché ha giudicato se stesso, e quando si batte il petto e dice: «per noi peccatori» lo dice sul serio e non per fare una cerimonia.
Dobbiamo l’uno a l’altro pietà e misericordia e non durezza di cuore, perché noi saremo perdonati da Dio nella misura in cui perdoniamo ai fratelli.
Il nostro occhio deve essere buono con gli altri come è buono l’occhio di Dio con noi. Quando abbiamo sperimentato la misericordia di Dio non ci verrà mai sulle labbra il severo giudizio moralistico, questa lebbra di cui solo attraverso il fuoco della fede potremo liberarci. (Ernesto Balducci – da “Il Vangelo della pace” vol. 3 – Anno C (1979/80)
 L’altro messaggio emergente dalle letture è che lo “strumento” che il profeta deve avere sempre nel suo cuore, prima che sulle labbra, è la Parola di Dio. ( N. Galantino )
Gesù, terminato “quell’omelia” nella sinagoga, passa dalle parole all’evento: chiede a Simone di “prendere il largo” (“Duc in altum!”, nella Vulgata) – cioè di abbandonare con coraggio e speranza le acque quiete dell’insenatura per inoltrarsi in mare aperto – e di gettare le reti in mare. ( E. Bianchi )
«Sulla tua parola getterò le reti!», risponde Pietro a Gesù, che lo aveva invitato a “prendere il largo. [ N Galantino ] 
Gesù , uomo di paese, dell’entroterra, si permette di dare lezioni di pesca a uno che della pesca aveva fatto il suo mestiere, la sua vita, Simone appunto. [ A Maggi ]
[ Ma ] quel Gesù che ha parlato lo ha impressionato per la sua exousía; è un uomo affidabile – pensa ( Pietro ) –, che merita obbedienza, dunque gli risponde: “Maestro, … sulla tua parola getterò le reti”.
 Eccolo dunque avanzare verso le acque profonde, verso l’abisso (eis tò báthos), senza timore, munito solo della fiducia nella parola di quel profeta.
Il risultato è immediato, sbalorditivo: “Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. ( E Bianchi )
L’evangelista non vuole raccontarci soltanto un episodio di cronaca, ma una riflessione teologica.
Il termine che qui è tradotto con “quantità”, letteralmente significa “moltitudine” e indica la primitiva comunità cristiana.   Quindi, seguendo la parola del Signore, un invito a gettare le reti verso gli emarginati, gli esclusi, è lì che la pesca sarà abbondante.
E le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. ( A Maggi )
Non era bastata la loro competenza di pescatori, non era risultata feconda la loro fatica, ma tutto muta se è Gesù a chiedere, a guidare, ad accompagnare …
Questo segno stupisce Simone, che subito cade ai piedi di Gesù in atto di adorazione; nello stesso tempo, percependosi nella condizione di uomo peccatore, chiede a Gesù di stare lontano da lui.  Accade cioè nel cuore di Pietro la rivelazione che in Gesù c’è la santità, che Gesù è il Kýrios, il Signore, mentre egli è solo un misero, un peccatore, indegno di tale relazione con Gesù.
…È  la reazione di tanti profeti che hanno visto Dio entrare nelle loro vite, attraverso teofanie, manifestazioni grandiose di Dio stesso.
Qui c’è Gesù, un uomo, un profeta su una barca, eppure Pietro ha compreso la sua identità: Gesù è “il Santo di Dio” …. e quando dimenticherà di essere peccatore, il canto del gallo glielo ricorderà…
Stupore e tremore per Pietro, dunque, ma anche per i suoi compagni, di cui ora Luca svela i nomi: Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo. …   Si intravede già quel gruppetto di tre che saranno i più vicini a Gesù: erano discepoli amati, non prediletti, non amati più degli altri, perché l’amore, quando è vivo ed è in azione, non è mai uguale nel manifestarsi.
Certo, amati da Gesù come gli altri, ma partecipi all’intimità della sua vita in modo diverso, poiché muniti di doni diversi rispetto agli altri: non a caso saranno scelti da Gesù quali testimoni della resurrezione della figlia di Giairo (cf. Lc 8,51-55), testimoni della gloriosa trasfigurazione dell’aspetto di Gesù sull’altro monte (cf. Lc 9,28-29), testimone della sua de-figurante passione nel giardino degli Ulivi (secondo Mc 14,33 e Mt 26,37). Saranno coinvolti con Gesù nella sua gloria e nella sua miseria, dunque sempre in ansia, sempre chiamati alla vigilanza, di cui non sono capaci (cf. Lc 22,45-46 e par.), sempre chiamati a una fedeltà che però viene meno, a causa del rinnegamento (cf. Lc 22,54-62) o della fuga (cf. Mc 14,50; Mt 26,56).
Secondo Luca qui Gesù consegna a Pietro la vocazione: “Non temere, d’ora in poi tu prenderai, catturerai vivi degli uomini”. Ovvero, “d’ora in poi è tuo compito andare negli abissi, al largo, per salvare uomini preda del male, per salvarli da abissi infernali, da strade perdute. I pesci muoiono, gli uomini sono invece destinati alla vita eterna!”.
Non si pensi subito alla missione come a un causare la conversione, ma a un annuncio di salvezza, quello che Gesù aveva illustrato di sé nella sinagoga di Nazaret, leggendo un brano del profeta Isaia e dichiarando realizzata quella profezia: liberare i prigionieri, ridare la vista ai ciechi, redimere gli oppressi, annunciare ai poveri la buna notizia del Vangelo (cf. Lc 4,16-21; Is 61,1-2).
 La chiesa, quando va in missione, non va innanzitutto per fare cristiani, per aumentare il numero dei suoi membri, per battezzare, ma in primis per un’azione di liberazione dei bisognosi. Se fa questo, annuncerà il Signore Gesù e, se Dio vorrà, ci saranno conversioni e partecipazione ecclesiale. Attenzione però a non capovolgere la realtà determinata dal Signore, cercando risultati, opere visibili delle nostre mani. ( E Bianchi )
Il miracolo più grande compiuto da Gesù per quegli uomini, dunque, non è tanto la rete piena di pesci, quanto l’averli aiutati a non cadere vittime della delusione e dello scoraggiamento di fronte alle proprie sconfitte, e ad aprirsi alla sua chiamata. La risposta dei discepoli è stata pronta e totale («Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono»). E la nostra? ( N. Galantino )

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