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IV Domenica di Quaresima – Affermare che l’uomo è figlio di Dio è facile …è invece più faticoso dire che l’uomo è « mio fratello »

Figlio prodigoL’itinerario quaresimale che in questo anno liturgico C compiamo attraverso l’ascolto del vangelo secondo Luca è tutto teso all’annuncio della nostra conversione e della misericordia di Dio
… Di questa misericordia infinita si fa interprete Gesù con azioni, comportamenti, parole e parabole suscitate alcune volte da quanti non sono giunti a tale conoscenza di Dio, preferendo fermarsi al culto, ai sacrifici, alla liturgia come mezzi per avvicinarsi a lui (cf. Os 6,6).
Eccoci così all’inizio del capitolo 15, dove Luca racconta che i pubblicani, cioè coloro che erano manifestamente peccatori, gente perduta, venivano ad ascoltare Gesù, fuggendo dai sacerdoti e dai fedeli zelanti ( dai quali non si sentivano cercati, amati, ma giudicati e disprezzati ).
 Gesù aveva un altro sguardo: quando vedeva un peccatore pubblico, lo considerava come un uomo, uno tra tutti gli uomini (tutti peccatori!), uno che era peccatore in modo evidente, senza ipocrisie né finzioni.
A questa vista Gesù sentiva com-passione: non giudicava chi aveva di fronte, non lo condannava, ma andava a cercarlo la dov’era, nel suo peccato, per proporgli una relazione, la possibilità di fare un tratto di strada insieme, di ascoltarsi reciprocamente senza pregiudizi (cf. Lc 19,10).
Così i peccatori fuggivano dalla comunità giudaica e si recavano da Gesù, il che scandalizzava gli uomini religiosi per mestiere, i quali “mormoravano dicendo: ‘Costui accoglie i peccatori e addirittura mangia con loro!’”.
Gesù è dunque costretto a “difendersi”, e lo fa non con violenza e neppure con un’apologia di se stesso, ma raccontando a questi farisei e scribi delle parabole, per l’esattezza tre: quella della pecora smarrita (cf. Lc 15,4-7), quella della moneta smarrita (cf. Lc 15,8-19) e quella che ascoltiamo nella liturgia, la famosa parabola dei due figli perduti e del padre prodigo d’amore.  ( E. Bianchi )
La parabola racconta la storia di due figli (fratelli) che, per aspetti diversi, non sanno riconoscere l’amore del padre, finendo per prendere le distanze da lui. Ma questo non cambia l’orientamento del suo cuore paterno che, radicato nell’amore e nel perdono, mira solo al ricupero dei †figli “perduti”. ( N. Galantino )
[ Contempliamo i tre personaggi della parabola.]
Il figlio minore che, in cerca della sua autonomia, sceglie la via peggiore, andandosene da casa e allontanandosi dall’amore del padre ( N. Galantino )
. ….Questo figlio minore, dopo aver dissipato tutto, trovandosi nel bisogno (érxato hystereîsthai), -[spinto non dal  rimorso ma dal  morso della fame]  – pensa a come poter tornare indietro, convincendo il padre a dargli da mangiare. Ritorna, dunque, imparando a memoria la scena da recitare al padre, per placare la sua collera, la sua giusta ira, … invece trova il padre che gli corre incontro,  che lo veste con l’abito del figlio,  che imbandisce per lui un banchetto, che  lo abbraccia e lo bacia, che non lo lascia parlare, lo abbraccia stretto, impedendogli  gesti penitenziali ed espiatori, mostrandogli  il suo perdono gratuito. Proprio come aveva profetizzato Osea: Dio continua ad amare il suo popolo mentre questi si prostituisce, e, appena può, lo riabbraccia e lo riprende (cf. Os 1,2; 11,8-9) ( E. Bianchi )
Il figlio maggiore: fisicamente non si è mai allontanato da casa, ma vive lì quasi come un estraneo, senza riuscire a cogliere la grandezza del cuore del padre! ( N. Galantino )
Il Padre … immagine di qualcuno a cui affidarci senza riserve. …. La sua figura ha al tempo stesso tratti paterni e materni: se ne può parlare come del Padre nelle cui braccia si è sicuri e come della Madre a cui ancorare la vita che da essa riconosciamo.
E’ pertanto evocazione dell’origine, del grembo, della patria, della casa, del focolare, del cuore a cui rimettere tutto ciò che siamo, del volto a cui guardare senza timore. Il bisogno del Padre è quindi equiparabile al bisogno di un riferimento e di un rifugio paterno e materno e può essere espresso indifferentemente con metafore maschili e femminili. ….
 Il rifiuto del padre di non pochi nostri contemporanei ci deve rendere guardinghi riguardo a un uso troppo facile dell’immagine paterna …  Quando parliamo di un “ritorno al Padre” non vogliamo intendere una sorta di regressione alla dipendenza infantile, né tanto meno rievocare conflittualità profonde che hanno segnato alcune personalità.
Il Padre-Madre di cui parliamo qui è metafora dell’Altro misterioso e ultimo, a cui affidarci senza paura, nella certezza di essere accolti, purificati e perdonati. … Questo Altro che si offre a tutti come Padre-Madre nell’amore , è quello che ci è stato rivelato in Gesù Cristo. …. Lì dove l’uomo si chiude in se stesso o pretende di abbracciare l’intero universo nel corto orizzonte dei suoi progetti, trionfano l’angoscia, il non senso, la solitudine.
Lì dove la persona accetta di mettersi in ricerca e di aprirsi a un orizzonte più grande, la figura di un Padre ci viene incontro e ci chiama. …..  ( Tratto da: C.M. Martini: Ritorno al Padre di Tutti )
… La nostra vicenda  è orribile mescolanza di figlio maggiore nelle pretese, presunzione e giudizio sugli altri e figlio minore perché ne facciamo di tutti i colori»  (d. G. Dossetti, appunti di omelia, Gerico, 16.3.80).
I peccatori sono invitati, dalla prima parte della parabola,  a conoscere il vero volto di Dio e quindi a sentirsi perdonati a tal punto da convertirsi; ma i giusti, o meglio quelli che si credono giusti e buoni, come il figlio maggiore che è restato fedelmente in casa, che ne è di loro?
La parabola contiene un insegnamento anche per loro, cioè per il figlio maggiore.
… Questo figlio, pur essendo restato accanto al padre, non lo aveva mai conosciuto, non aveva mai letto il suo cuore, non aveva mai creduto nel padre. Era rimasto in una casa che, come per suo fratello, era una prigione; era rimasto accanto a un uomo, suo padre, che mai aveva conosciuto in verità.
È il padre a doverglielo svelare: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo, potevi liberamente prenderti un capretto per fare festa con i tuoi amici. Perché non l’hai fatto? Ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
Questa è davvero la parabola dell’amore frustrato di quel padre che ha amato fino alla fine (cf. Gv 13,1) , totalmente, gratuitamente, e che invece è apparso un padre-padrone in virtù delle proiezioni che entrambi i figli hanno fatto su di lui.
Capita sempre così quando il Padre è Dio, sul quale proiettiamo le nostre immagini; capita così a volte anche nei rapporti tra i padri e i figli di questo mondo. L’unica differenza è che l’amore di Dio è preveniente, sempre in atto, mai contraddetto, fedele e misericordioso, il nostro invece…
Per il fratello maggiore resta il compito di non dire più al padre: “questo tuo figlio”, bensì: “questo mio fratello”.
È un compito che ci attende tutti, ogni giorno.
Affermare che l’uomo è figlio di Dio è facile, e tutti gli uomini religiosi lo fanno, perché hanno cara la teologia ortodossa.    È invece più faticoso dire che l’uomo è “mio fratello”, ma è esattamente questo il compito che ci attende.
Dio, il Padre, resta fuori dalla festa, accanto a ciascuno di noi, e ci prega: “Di’ che l’uomo è tuo fratello, e allora potremo entrare e fare festa insieme”.  (E.Bianchi)
 

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