V Domenica di Quaresima – L'agire di Dio non è mai condanna ma perdono.
La Quaresima volge alla conclusione. Anche per questo le letture di oggi ci guidano a comprendere in pienezza il dono della misericordia che, se autentica, comporta sempre una “novità” radicale. Così per il popolo d’Israele (prima lettura) che, in una situazione di sbandamento, sperimenta ancora l’intervento nella sua storia da parte di Dio, capace di “aprire una strada nuova”.
Anche Paolo (seconda lettura) conosce nella sua vita l’irruzione di Dio, che capovolge il suo modo di esistere e di giudicare, tanto da ritenere un “guadagno” persino l’abbandono della posizione di prestigio che gli spettava. ( N. Galantino )
Dio non compie cose nuove se non una cosa sola nuova: Gesù…. (D. G. Dossetti, appunti di omelia, Gerico, 23.3.1980).
«Questa cosa nuova che il Signore fa è la Pasqua. Vanità delle vanità tutto è vanità, non c’è niente di nuovo sotto il sole, dice il Qohelet. Finalmente il Signore crea questa nuova creatura: Cristo Risorto. Egli non appartiene più al passato, alla corruzione, alla morte, alla umiliazione, al peccato. Questa vita nuova di Cristo Risorto scorre nelle nostre vene per mezzo dello Spirito, noi siamo morti alle cose di prima, siamo già con sepolti con Cristo nella vecchia creatura, uomo vecchio,siamo risorti con lui e sedenti con lui alla destra» (appunti di d. Pierluigi Castellini).
Una “strada nuova” e insperata si apre anche nella storia compromessa della donna adultera (Vangelo), quando nulla ormai sembra poterla sottrarre alla pena della lapidazione. ( N. Galantino )
La pagina dell’incontro tra Gesù e la donna sorpresa in adulterio ha conosciuto una sorte particolarissima, che attesta il suo carattere “scandaloso”: è assente nei manoscritti più antichi, è ignorato dai padri latini fino al IV secolo e non è commentato dai padri greci del primo millennio. ( E. Bianchi )
Agostino, nel IV secolo che scriveva : Per timore di concedere alle loro mogli l’impunità di peccare, tolgono (i componenti delle comunità cristiane) dai loro codici (cioè il testo del vangelo) il gesto di indulgenza che il Signore compì verso l’adultera, come se colui che disse “d’ora in poi non peccare più” avesse concesso il permesso di peccare.
Quindi erano gli uomini, i mariti, che non volevano questo brano, perché l’indulgenza di Gesù verso la donna adultera sembrava mettesse in pericolo la loro famiglia, la loro unità coniugale. ( A Maggi )
Va detto che questo brano presenta somiglianze con il vangelo secondo Luca, quello più attento all’insegnamento di Gesù sulla misericordia, e potrebbe essere agevolmente collocato dopo Lc 21,37-38: “Durante il giorno Gesù insegnava nel tempio; la notte, usciva e pernottava all’aperto sul monte detto degli Ulivi. E tutto il popolo, al mattino, andava da lui nel tempio per ascoltarlo”. Noi però, in obbedienza al canone delle Scritture, lo leggiamo dove la redazione finale lo ha posto, nel contesto di una discussione sul rapporto tra Legge e peccato.
Mentre Gesù, seduto nel tempio, annuncia la Parola, “scribi e farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio”, per “metterlo alla prova”. Spesso i vangeli annotano che gli avversari di Gesù tentano di metterlo in contraddizione con la Legge, per poterlo accusare di bestemmia. Ma questa volta il tranello non riguarda interpretazioni della Legge, bensì una donna – o meglio, quella che è “usata” come un caso giuridico – sorpresa in adulterio e trascinata con la forza davanti a lui da quanti vigilano sull’altrui compimento della Torah invece che sul proprio. ( E. Bianchi )
Notiamo il disprezzo per questa creatura per la quale la pena richiesta è la lapidazione, pena che ci fa comprendere che questa donna è nella prima fase del matrimonio.
Il matrimonio in Israele avveniva in due tempi. Il primo quando la ragazza aveva dodici anni e il maschio diciotto, era la fase dello sposalizio; con il secondo tempo, dopo un anno, cominciava la convivenza : erano le nozze.
Se la donna commetteva adulterio nella prima fase, quella dello sposalizio, veniva lapidata. Se, al contrario, l’adulterio era commesso nella seconda fase, veniva strozzata.
Il fatto che chiedono per questa ragazza, per questa ragazzina, la lapidazione, significa che è una ragazzina tra i dodici e i tredici anni. ( A. Maggi )
La durezza della pena prevista si spiega con il fatto che l’adulterio è una smentita della promessa creazionale di Dio e una grave ferita all’alleanza stipulata dalla coppia umana (cf. Ml 2,14-16) . Ecco dunque che i gelosi custodi della Legge, irreprensibili in apparenza e ritenuti dalla gente “uomini religiosi” per la loro visibilità ostentata (cf. Mt 23,5) , chiedono a Gesù: “Tu che ne dici?”.
Tale domanda mira a coglierlo in contraddizione: se Gesù non conferma la condanna e non approva l’esecuzione, può essere accusato di trasgredire la Legge di Dio ( E Bianchi ) Se invece dice: “Bene ubbidiamo alla legge divina”, tutto questo popolo che ha seguito Gesù, perché ha sentito in lui un afflato diverso, ha sentito l’eco dell’amore e della misericordia di Dio, rimarrà deluso e lo lascerà. ( A Maggi )
Sostiamo sulla scena descritta nel brano di oggi.
Alcuni hanno portato a Gesù una donna, perché sia condannata. Discepoli e ascoltatori sono distanti: qui c’è solo Gesù di fronte a questi uomini religiosi – giudici ingiusti, nemici – e, in mezzo, una donna in piedi, nell’infamia.
Non c’è spazio per considerare la sua storia, i suoi sentimenti: per i suoi accusatori ella non ha solo commesso il peccato di adulterio, è un’adultera, tutta intera definita dal suo peccato.
Ma Gesù si china e si mette a scrivere per terra: in tal modo si inchina di fronte alla donna che è in piedi davanti a lui! Il tutto senza proferire parola, in un grande silenzio…
Ma cosa significa il gesto di Gesù?
Egli scrive i peccati degli accusatori della donna, come pensa Girolamo? Oppure scrive frasi bibliche, secondo l’opinione di alcuni esegeti?
Non è facile interpretare questo gesto: a mio avviso va inteso in quanto azione dotata di una forte carica simbolica. Credo che si debbano vedere da un lato gli scribi e i farisei che ricordano la Legge scolpita su tavole di pietra; dall’altro Gesù il quale, scrivendo per terra, la terra di cui siamo fatti noi figli e figlie di Adamo, il terrestre (cf. Gen 2,7), ci indica che la Legge va inscritta nella nostra carne, nelle nostre vite segnate dalla fragilità e dal peccato. Non a caso Gesù scrive “con il dito”, così come la Legge di Mosè fu scritta nella pietra “dal dito di Dio” (Es 31,18; Dt 9,10) e fu riscritta dopo l’infedeltà idolatrica del vitello d’oro e la rottura dell’alleanza (cf. Es 34,28).
Poiché però gli accusatori insistono nell’interrogarlo, Gesù si alza e non risponde direttamente, ma fa un’affermazione che è anche una domanda: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Poi si china di nuovo e torna a scrivere per terra. Ma chi può dire di essere senza peccato? Gesù conferma la Legge, secondo cui il testimone deve essere il primo a lapidare il colpevole (cf. Dt 13,9-10; 17,7), ma dice anche che il testimone deve essere lui per primo senza peccato!
( … ) Solo Gesù, lui che era senza peccato, poteva scagliare una pietra, ma non lo fa.
La sua parola, che non contraddice la Legge e nel contempo conferma la sua prassi di misericordia, appare efficace, va al cuore dei suoi accusatori i quali, “udito ciò, se ne vanno uno per uno, cominciando dai più anziani”: più si avanza in età, più numerosi sono i peccati commessi; questa coscienza dovrebbe impedire la nostra inflessibilità verso gli altri… Così una sola parola di Gesù, incisiva e autentica, una di quelle domande che ci fanno leggere in profondità noi stessi, impedisce a quegli uomini di fare violenza in nome della Legge che credono di interpretare con rigore
Solo Dio, e quindi solo Gesù, potrebbe condannare quella donna. Ma Gesù sceglie di narrare in altro modo l’agire di Dio, che non è mai condanna ma sempre perdono.
Potremmo dire che Gesù “evangelizza Dio”, cioè rende Dio Vangelo, buona notizia. “Dio, nessuno l’ha mai visto” (Gv 1,18), ma molti pensano di interpretarlo e di agire in nome suo; e così raccontano l’immagine di un Dio perverso, mettendo una maschera sul suo volto. Gesù invece, l’unico uomo che ha narrato in pienezza di Dio, che ne è stato esegesi vivente (cf. ibid.), afferma che di fronte al peccatore Dio ha un solo sentimento: non la condanna, ma il desiderio che si converta e viva (cf. Ez 18,23; 33,11).
Solo quando tutti se ne sono andati, allora Gesù si alza in piedi e sta di fronte alla donna, finalmente restituita alla sua identità di essere umano, nel faccia a faccia con lui. È la fine di un incubo, perché i suoi lapidatori si sono dileguati e perché chi doveva giudicarla ora sta in piedi, come colui che assolve. Adesso è possibile l’incontro parlato, che si apre con l’appellativo rivoltole da Gesù: “Donna”, lo stesso riservato a sua madre (Gv 2,4), alla samaritana (Gv 4,21), alla Maddalena (Gv 20,15).
Rivolgendosi a lei in questo modo, Gesù la fa risaltare per quella che è: non una peccatrice, ma una donna, restituita alla sua dignità. A lei Gesù domanda: “Dove sono i tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella, rispondendo: “Nessuno, Signore (Kýrie)”, fa una grande confessione di fede. Colui che si trova di fronte a lei è più di un semplice maestro, “è il Signore” (Gv 21,7)!
Infine, Gesù si congeda con un’affermazione straordinaria, gratuita e unilaterale: “Neanch’io ti condanno. Va’ e non peccare più”.
Il testo non è interessato ai sentimenti della donna ma rivela che, quando è avvenuto l’incontro tra la santità di Gesù e il peccato di questa donna, allora “rimasero solo loro due, la misera e la misericordia” (Agostino).
Ecco la gratuità di quell’assoluzione: Gesù non condanna, perché Dio non condanna, ma con il suo atto di misericordia preveniente le offre la possibilità di cambiare.
E si faccia attenzione: non viene detto che ella cambiò vita, si convertì, né che divenne discepola di Gesù. Sappiamo solo che, affinché tornasse a vivere, Dio l’ha perdonata attraverso Gesù e l’ha inviata verso la libertà: “Va’ verso te stessa e non peccare più”…
Le persone religiose vorrebbero che a questo punto Gesù avesse detto alla donna: “Ti sei esaminata? Sai cosa hai fatto? Ne comprendi la gravità? Sei pentita della tua colpa? La detesti? Prometti di non farlo più? Sei disposta a subire la giusta pena?”. Queste omissioni nelle parole di Gesù scandalizzano ancora, oggi come ieri!
Ma Gesù non condanna né giudica – come dirà poco dopo: “Io non giudico nessuno” (Gv 8,15) – e annuncia la misericordia, fa misericordia eseguendo fedelmente e puntualmente la giustizia di Dio, perché la conosce come giustizia giustificante (cf. Rm 3,21-26).
Chiamato a scegliere tra la Legge e la misericordia, Gesù sceglie la misericordia senza contraddire la Legge. Quest’ultima è essenziale quale rivelazione della vocazione umana che Dio ci rivolge; ma una volta che il peccato ha infranto la Legge, a Dio resta solo la misericordia, ci insegna Gesù. Nessuna condanna, solo misericordia: qui sta la grandezza e l’unicità di Gesù. Infatti, ogni volta che egli ha incontrato un peccatore lo ha assolto dai suoi peccati e non ha mai praticato una giustizia punitiva. Ha anche pronunciato i “Guai!” in vista del giudizio, ma non ha mai castigato nessuno, perché sapeva ben distinguere tra la condanna del peccato e la misericordia verso il peccatore. ( E. Bianchi )
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