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Domenica delle Palme – Seguire Gesù dal suo essere servo a tavola fino alla sua morte in croce

Palme
“Eccoci prossimi alla Grande Settimana. Non possiamo vedere avvicinarsi l’inizio della grande sofferenza di Gesù senza offrirci a lui, nostro grande ed unico amico, che ha sofferto nella sua anima e nel suo corpo in un modo che non potremo mai capire, e senza cercare con tutta la delicatezza del nostro cuore di offrirgli un po’ d’amore gratuito, come il vaso di alabastro di Maddalena, un po’ di coraggio nella preghiera con lui al Getsemani, un po’ più di generosità nel desiderare e nell’accettare la sofferenza e la croce incominciando  con il rinnegarci, un po’ più di annientamento del nostro orgoglio, nel mistero dell’obbedienza che ha spezzato la sua anima …
Prego Dio che ognuno riceva, insieme con una illuminazione sulla sofferenza di Gesù, anche un desiderio efficace di penetrarvi più a fondo.
 Giovedì e venerdì sera, anche se avete lavorato tutta la giornata, non abbiate paura di stancarvi andando ad inginocchiarvi a lungo davanti a Gesù Eucaristia o davanti alla sua croce. In un tale anniversario sappiate  appartarvi dalla folla per essere soli con Gesù. Andate con Lui ne deserto per pregare”   (dagli scritti di René Voillaume)
Nella Domenica delle Palme viene letta una pagina tratta dal vangelo secondo Giovanni: «La grande folla che era venuta per la festa» – la festa della Pasqua ebraica – «udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele! Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: “Non temere, figlia di Sion! / Ecco, il tuo re viene, / seduto sopra un puledro d’ asina”. Sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che questo era stato scritto di lui e questo gli avevano fatto» (12, 12-16).
Può sembrare strano cominciare con un’acclamazione a Cristo come vincitore e come re, ma la liturgia non conosce la malinconia. L’evento della passione è di fatto una vittoria, perché ormai Gesù ha vinto la morte e ne ha superato la paura. Ciò spiega perché lo contempliamo mentre entra deliberatamente e coraggiosamente nella città che trama contro di lui.. ( C. M. Martini )
Gesù entra a Gerusalemme per morire sulla Croce. Ed è proprio qui che splende il suo essere Re secondo Dio: il suo trono regale è il legno della Croce!….
Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con  l’amore di Dio. ….. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di fare un “pochettino” quello che ha fatto Lui quel giorno della sua morte  (Papa Francesco).
Nella nostra Settimana Santa veniamo chiamati a “fare memoria” di quanto è accaduto in quella prima Settimana Santa. Con tutto il rispetto e l’apprezzamento per le “Via Crucis” viventi e per le rievocazioni storiche della Passione, è nella liturgia, sobria e solenne, del Triduo pasquale che riviviamo autenticamente quanto il Signore ha fatto per noi.
 C’è molta differenza tra una celebrazione liturgica e le tante e lodevoli rappresentazioni rievocative.
 Nella liturgia facciamo “memoria”, o meglio “memoriale” (lo ziqqaron ebraico), molto più di un semplice “ricordo”. La “memoria” liturgica, infatti, rende attuale ciò che si celebra e, al tempo stesso, rende noi contemporanei e partecipi all’evento di cui facciamo “memoria”. Da oggi, dunque, per tutta la Settimana Santa, la Chiesa ci invita a vivere in più tappe il “racconto d’amore” di Dio, il cui unico obiettivo è renderci creature nuove attraverso il dono della sua vita in Gesù! ( N. Galantino )
Nella prima domenica di Quaresima, alla fine del racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto abbiamo ascoltato questa precisazione lucana: «dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da Gesù fino al tempo fissato» (Lc 4,13).
Ed eccoci giunti al tempo fissato, l’ora della passione, l’ora in cui Gesù è nuovamente tentato dal demonio ed è sottoposto a una prova terribile angosciosa: restare fedele al Padre, anche al prezzo di subire una morte violenta in croce, oppure percorrere altre vie, quelle suggerite dal demonio, che portano come promessa sazietà, potere, ricchezza, successo? La passione secondo Luca è davvero l’ora della grande tentazione non solo di Gesù, ma anche dei discepoli, dunque della chiesa…
Proprio durante la cena pasquale, quando Gesù anticipa con dei gesti sul pane e sul vino e con delle parole ciò che gli sarebbe accaduto nelle ore successive, proprio quando svela che la sua è una vita donata, spesa, offerta fino all’effusione del sangue per i discepoli, questi mostrano di entrare in tentazione e di essere sedotti. Innanzitutto uno di loro tradisce l’alleanza della comunità, la nuova alleanza sancita dal sangue di Gesù, consegnandolo nelle mani dei nemici; Luca ricorda poi che, mentre Gesù a tavola serve i suoi stando in mezzo a loro, questi litigano per sapere «chi poteva essere considerato sopra di loro il più grande»; infine Pietro, la roccia, proclama a Gesù una fedeltà che smentirà per tre volte con un rinnegamento. Sì, nell’ora della tentazione i discepoli soccombono alla prova, mentre Gesù lungo tutta la passione si mostra fedele a Dio e ai discepoli…
Venuto al monte degli Ulivi, durante la lotta spirituale decisiva Gesù invita i discepoli a «pregare per non entrare in tentazione»; lui stesso dà loro l’esempio e prega il Padre, restando pienamente sottomesso alla sua volontà, fino ad accogliere l’arresto senza difendersi, senza opporre violenza a violenza, senza mutare il suo stile e il suo comportamento di mitezza e di amore, ma rimanendo fedele alla verità che aveva contraddistinto la sua vita. Pregando, Gesù è entrato nella sua passione, e pregando ha fatto della morte violenta in croce un atto: ha chiesto al Padre di perdonare i suoi crocifissori e, infine, ha invocato Dio dicendogli: «Padre, nelle tue mani consegno il mio respiro» (cf. Sal 31,6). Davanti a Dio, da lui chiamato e sentito come Padre, Gesù ha posto noi uomini e tutta la sua vita, e così è morto: in piena fedeltà a Dio, agli uomini, alla terra da cui era stato tratto come uomo, «figlio di Adamo» (Lc 3,38).
Quella di Gesù è stata una fedeltà a caro prezzo, perché anche in croce è stato nuovamente tentato, simmetricamente alle tentazioni da lui subite nel deserto, all’inizio della sua vita pubblica. Nell’ora conclusiva della sua vita terrena riecheggiano da parte degli uomini parole simili a quelle di Satana: «sei tu sei il re dei Giudei, se tu sei il Cristo, se hai salvato gli altri… salva te stesso!». Ma Gesù non vuole salvare se stesso; al contrario, vuole compiere fedelmente la volontà di Dio, continuando a comportarsi fino alla morte in obbedienza a Dio, ossia amando e servendo la verità. Questo è causa di morte per lui, ma causa di vita per gli uomini tutti!
Quanto a noi che ascoltiamo questo racconto della passione, Luca ci invita a seguire Gesù dal suo essere servo a tavola fino alla sua morte in croce. Allora potremo vedere in lui «l’uomo giusto», riconosciuto tale anche da Pilato, che per tre volte è costretto a proclamare che Gesù non ha mai commesso il male. Guardando a lui, il crocifisso che invoca il perdono per i suoi persecutori e si affida a Dio, entreremo nell’autentica contemplazione, come «le folle che, accorse a quella contemplazione–spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano battendosi il petto». E con il centurione faremo un’autentica confessione di fede: «Veramente quest’uomo era giusto». Sì, Gesù è il Giusto perseguitato, il Figlio di Dio (cf. Sap 2,10-20); è colui che il Padre ha richiamato dai morti in risposta alla vita da lui vissuta, segnata da un amore più forte della morte. (Enzo Bianchi)

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