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XIII Domenica del T.O. – Diventare discepoli significa accettare la povertà, l’insicurezza, il fardello del fratello o della sorella da portare, la sottomissione reciproca, l’insicurezza e poi anche il fallimento..

Pro XIII rLe letture di oggi, a partire dalla vocazione di Eliseo (prima lettura), contribuiscono a definire l’identikit del discepolo di Gesù, esposto a tanti pericoli e tentato da atteggiamenti sbagliati. Gli stessi con cui ovane Eliseo ha una sua vita, le sue proprietà, anche noi, spesso, dobbiamo fare i conti. Il gii suoi progetti. Attraverso il profeta Elia il Signore irrompe e sconvolge tutti i suoi piani. Quando il Signore entra nella vita di una persona, cambia il suo orizzonte, invitandola ad uscire dal perimetro dei propri “terreni” (idee, progetti, aspettative) e proiettandola verso orizzonti nuovi. E spesso lo fa attraverso circostanze, persone, storie che bisogna imparare a intercettare e accogliere nella propria vita, con grande libertà interiore. Quella stessa libertà alla quale – ci ricorda Paolo (seconda lettura) – noi tutti «siamo stati chiamati». Anche il Vangelo richiama le esigenze che comporta il vivere la sequela di Gesù.
Nella prima parte del brano, di fronte al rifiuto di un villaggio di Samaritani, si fa strada l’eterna tentazione dei discepoli: imporre la verità con la forza e, talvolta, anche con arroganza. Atteggiamenti tipici di chi interpreta il servizio del discepolo come impegno “contro” qualcuno, e non come un mettersi pazientemente “accanto” a qualcuno. Ma a questa modalità errata, Gesù oppone il suo secco rimprovero. E poi, invita a rimettersi «in cammino verso un altro villaggio», perché c’è sempre un altro paese da attraversare, altre persone da incontrare, un altro cuore a cui annunziare la bontà e l’amore del Padre. Essere discepoli di Gesù, dunque, è saper stare sempre “in cammino”. Chi vuol vivere tranquillamente all’interno dei suoi schemi e nelle sue comode sicurezze è lontano mille miglia dalla logica del discepolato. ( N. Galantino )
Gesù proclama con chiarezza le difficoltà del cammino del discepolo, perché non vuole fare un “reclutamento”, un’“incetta” di discepoli. Diventare discepoli significa accettare la povertà, l’insicurezza, il fardello del fratello o della sorella da portare, la sottomissione reciproca, l’insicurezza e poi anche il fallimento, quella fine verso cui il Signore cammina con il volto indurito. Sì, peggio della sorte degli animali selvatici! E così quella auto-vocazione non ha neppure il tempo della prova…
…… Quando Gesù chiama, non si può preferire un comandamento, seppur santo, al suo amore: o si sceglie lui radicalmente o si continua a stare insieme ai morti!
Di fronte a queste nette affermazioni di Gesù, come ci poniamo noi? Le assumiamo come una necessitas, oppure le leggiamo volentieri come iperboli massimaliste, oppure facciamo come la chiesa di oggi, che ha paura di chiedere la rottura con la famiglia a causa di Cristo e continua a beatificare la famiglia come se fosse la realtà ultima ed essenziale per la vita eterna?
Infine nella sequela non c’è tempo per una dilazione …. se uno che ha in mano l’aratro guarda indietro, non solo scava male il solco, ma non sa concentrarsi sulla meta, mostrando così di non essere adatto per il regno di Dio.
Concludo questi cenni di commento con una certa tristezza. Innanzitutto perché non siamo noi stessi capaci di questa radicalità, perciò non dobbiamo giudicare gli altri. Ma tristezza anche perché ormai la voce della chiesa, sì la voce della chiesa, non sa più ripetere le parole del Vangelo con il prezzo che esse esigono. Nell’angoscia dovuta alla mancanza di vocazioni per le opere che essa decide, la chiesa abbellisce la chiamata, come chi fa pubblicità per un prodotto senza indicarne i costi: questa è mondanità, non radicalità evangelica! ( E. Bianchi )
 
 
 
 

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