XIV Domenica del T.O. – Divenire operai della sua messe è un invito rivolto a tutti
Anche in questa domenica, le letture della liturgia ci aiutano a comprendere la vera identità del discepolo di Gesù. Al centro del Vangelo odierno la chiamata e la missione da parte del Signore di settantadue nuovi discepoli. Si tratta di un numero simbolico, che richiama l’insieme di coloro che sono destinati a rendere testimonianza al Signore su tutta la terra. ( N. Galantino )
Le parole di Gesù sono un invito a prendere coscienza che c’è bisogno della collaborazione di tutti. Purtroppo nella tradizione religiosa queste parole sono state limitate, riservate, quindi facendo loro perdere tutta la sostanza, alle vocazioni religiose.
Come se Gesù avesse pensato a chiedere di inviare preti, frati e suore. Nulla di tutto questo. Divenire operai della sua messe è un invito rivolto a tutti. Tutti devono collaborare all’annunzio della buona notizia di Gesù. Non ci sono categorie speciali, non ci sono categorie riservate ( A Maggi )
«Mancano operai del bello, mietitori di speranza, contadini che sappiano far crescere germogli di un mondo più giusto, di un’umanità più positiva, più umana» (E. Ronchi).
Gesù manda i discepoli a due a due, perché vivano innanzitutto in comunione e siano l’uno sostegno per l’altro, l’uno regola all’altro nelle tentazioni; due a due affinché la missione non sia un’azione di uomini singolari e individualisti. Li invia come pecore tra i lupi, cioè inermi, deboli, fragili, consapevoli di stare in mezzo a coloro che si oppongono al Vangelo di Gesù Cristo; pecore tra i lupi anche per testimoniare che così gli inviati preparano quel giorno escatologico in cui “il lupo dimorerà insieme con l’agnello” (Is 11,6).
Gesù si ferma a spiegare in modo particolare lo stile del discepolo inviato da lui, il Signore, e da lui totalmente dipendente. Non sarà come alcuni missionari farisei, né come i filosofi itineranti, né come i rabbini visitatori. Sarà piuttosto come il levita del salmo 16, che nella sua povertà proclama: “Il Signore è mia porzione e mio calice” (v. 5), perché confiderà solo nel Signore. Sarà povero, non misero, ma senza denaro con sé, senza assicurazioni per il viaggio, e attuerà innanzitutto un contatto cellulare, entrando nelle case, incontrando sulle strade quelli che cercano la vita piena. A costoro, “figli della pace”, della vita in pienezza, gli inviati augureranno lo shalom, la pace….. ( E Bianchi )
In qualunque casa entriate non domandate di che idea sono, se credono in Dio o non ci credono, se sono del vostro partito, ma dite «Pace a questa casa». Se c’è un figlio della pace rimanete, altrimenti la pace ritornerà a voi.
Vorrei dire: la condanna c’è ma non è una condanna estrinseca, è già nell’ essere senza pace.
Questo modo pacifico di vivere il messaggio del Vangelo non ha confini, non ha discriminazioni perché ovunque c’è un figlio della pace. …. I figli della pace sono dovunque. ( Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – Vol. 3 )
… Ciò che stupisce in questo invio dei discepoli è che Gesù non chiede di compiere grandi cose, portenti, … ma di vivere come Lui che, “da ricco che era, si è fatto povero per noi” (cf. 2Cor 8,9); come Gesù che, da santo che era, è andato ad alloggiare presso i peccatori (cf. Lc 19,7); come Gesù, che annunciò lo shalom quale buona notizia (cf. At 10,36).
… Questa pagina evangelica può sembrarci radicale, severa nelle richieste relative allo stile missionario, ma in verità per ogni inviato si tratta di essere figlio nel Figlio, vivendo la missione che il Figlio stesso ha ricevuto dal Padre quando è stato da lui inviato nel mondo. Basta riferirsi alla missione di Gesù e non inventarci noi delle missioni, soprattutto in un clima come quello attuale: si è così tesi all’evangelizzazione degli altri che non si guarda più se l’inviato è evangelizzato o no, se assomiglia al suo Signore o se invece è preoccupato del numero degli ascoltatori e del risultato della sua propaganda del prodotto… (Enzo Bianchi )
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