XVII Domenica del T. O. – Gesù ci invita a fare esperienza di preghiera, mettendoci direttamente in comunicazione con il Padre, suscitando in noi una profonda nostalgia per una relazione profonda e personale con lui.
La liturgia della Parola di questa domenica ci introduce nell’esperienza della preghiera. Cos’è la preghiera? Come pregare? I discepoli di Gesù – come ogni buon ebreo – sanno già pregare, recitando le preghiere della tradizione.
La loro domanda – «Signore, insegnaci a pregare » – va quindi molto al di là del problema delle formule da utilizzare nella preghiera.
I discepoli, in realtà, chiedono di poter vivere anche loro la stessa “qualità” del rapporto che Gesù vive con il Padre, chiedono di essere aiutati a superare il loro modo di pregare, che essi percepiscono come sterile e del tutto diverso da quello di Gesù.
…. Gesù non dà una definizione astratta della preghiera, né insegna un metodo infallibile per pregare e “ottenere”, quasi una tecnica efficace per strappare favori a un Dio sordo! Egli invece invita i suoi a fare esperienza di preghiera, mettendoli direttamente in comunicazione con il Padre, suscitando in essi una profonda nostalgia per una relazione profonda e personale con lui. Sta qui la novità della preghiera cristiana! Essa è dialogo tra persone che si amano, un dialogo basato sulla fiducia, sostenuto dall’ascolto e aperto all’impegno solidale. ( N Galantino )
L’unica preghiera insegnata da Gesù, il Padre Nostro, ci è giunta in tre versioni differenti tra loro. Questo perché gli evangelisti non intendevano trasmettere le parole esatte di Gesù, ma il suo profondo significato.
Del Padre Nostro abbiamo quindi una versione in Matteo, la più lunga, poi una versione più breve, questa di Luca e poi nel primo catechismo della chiesa che si chiama Didaché ( A Maggi )
Quella di Luca , la più breve, costituita innanzitutto da due domande che hanno un parallelo nella preghiera giudaica del Qaddish: la santificazione del Nome e la venuta del Regno. Seguono poi tre richieste riguardo a ciò che è veramente necessario al discepolo: il dono del pane di cui si ha bisogno ogni giorno, la remissione dei peccati e la liberazione dalla tentazione. Preghiera semplice quella del cristiano, senza troppe parole, ma piena di fiducia in Dio – invocato come Padre – nel suo Nome santo, nel suo Regno che viene. ( E. Bianchi )
…. Gesù ai discepoli che gli chiedono di insegnare loro a pregare dice: “Quando pregate, dite: “Padre …”
Verso Dio non si rivolge usando quei formulari cerimoniali liturgici in cui Dio veniva esaltato con tutti i suoi nomi (tipo “altissimo”). No. Gesù si rivolge a Dio chiamandolo Padre, perché questo è il rapporto che lui è venuto ad inaugurare con i suoi: la relazione di un padre con un figlio. E teniamo presente che in quella cultura il padre è colui che trasmette la vita, quindi è la fonte della vita.
E la prima richiesta che si fa è: “Sia santificato il tuo nome”.
Il verbo “santificare” ha il significato di consacrare, separare, ma quando è rivolto a Dio significa riconoscere quello che è. Allora la prima richiesta che la comunità dei credenti rivolge al Padre è “venga riconosciuto questo tuo nome”, cioè che la gente ti conosca come un Padre … Padre che va incontro ai bisogni dei suoi figli, che addirittura li precede perché il Padre ha a cuore la vita e la felicità dei suoi figli.
L’altra petizione è: “Venga il tuo regno”. …. Il regno di Dio non è l’aldilà, ma una società alternativa dove al posto di accumulare per sé si condivida generosamente con gli altri, dove al posto di comandare si serva. Attraverso la fedeltà alle beatitudini, la comunità chiede che si estenda questa esperienza del regno.
Poi ancora una richiesta “dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”. … Sembra quasi che si debba chiedere a Dio il pane da mangiare, il pane che nutre gli uomini. No, il pane che nutre gli uomini è compito degli uomini procurarlo e condividerlo con chi non ne ha. Questo è un pane speciale perché viene richiesto a Dio. … Questo pane è la presenza di Gesù al centro della comunità, … Gesù come alimento, come parola che alimenta la vita e come pane, il pane dell’Eucaristia che dona la forza di vivere questa parola.
Poi la clausola “e perdona”, cioè letteralmente cancella, “a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo” – cancelliamo – “a ogni nostro debitore”. Dio ci perdona, ma il suo perdono diventa efficace e operativo nel momento che si traduce in perdono per gli altri.
Per ultimo il famoso “non ci indurre in tentazione”! Ora la traduzione ha migliorato. “Non abbandonarci alla tentazione”, letteralmente alla prova.
Qual è questa prova alla quale la comunità chiede di non essere abbandonata? E’ la prova nella quale ha fallito. Gesù nell’orto degli ulivi aveva chiesto ai discepoli: “Pregate per non entrare nella prova, per non cedere alla prova”. La prova era quella di Gesù che veniva catturato come un malfattore, che finiva assassinato come un delinquente, come un maledetto da Dio, una prova che ha messo in crisi la comunità. Allora Gesù invita in questa preghiera alla comunità di chiedere di rimanere forti nel momento della prova, nel momento di questa tentazione. ( A Maggi )
Preghiera semplice quella del cristiano, senza troppe parole, ma piena di fiducia in Dio.
Dopo il “Padre nostro”, i brano di oggi prosegue con una parabola, riportata solo da Luca, che vuole presentare la preghiera di domanda come preghiera insistente, assidua, che non viene meno ma che sa mostrare davanti a Dio una determinazione e una perseveranza fedele.
… È vero che non si usa esplicitamente il verbo “pregare”, ma è evidente che Gesù si riferisce sempre alla preghiera, proprio in risposta alla domanda iniziale del discepolo. Chiedete – raccomanda Gesù – cioè non abbiate paura di chiedere a Dio che è Padre, chiedete con semplicità, sicuri di essere esauditi da chi vi ama, e chiedete senza stancarvi mai. Si tratta di cercare con la convinzione della necessità della ricerca, con la convinzione che c’è qualcosa che vale la pena di essere cercato, a volte faticosamente, a volte lungamente, ma occorre essere certi che prima o poi si giungerà a trovare. Dove c’è una promessa, si tratta di attendere vigilanti, di cercarne l’esaudimento. Si tratta anche di bussare a una porta: se si bussa, è perché c’è speranza che qualcuno dal di dentro apra e ci accolga, ma a volte occorre bussare ripetutamente …
Di conseguenza, ci poniamo subito la domanda: perché Dio ha bisogno di essere più volte supplicato, perché vuole essere cercato, perché vuole che bussiamo ancora e ancora? Ne ha così bisogno?
No, siamo noi che abbiamo bisogno di chiedere, perché siamo dei mendicanti e non vogliamo riconoscerci tali; siamo noi che dobbiamo rinnovare la nostra ricerca di ciò che è veramente necessario; siamo noi che dobbiamo desiderare che ci sia aperta una porta, in modo da poter incontrare chi ci accoglie.
Dio non ha bisogno della nostra insistente preghiera, ma siamo noi ad averne bisogno per imprimerla nelle fibre della nostra mente e del nostro corpo, per aumentare il nostro desiderio e la nostra attesa, per dire a noi stessi la nostra speranza.
Ma a questa parabola e al suo primo commento Gesù aggiunge un’altra applicazione, sempre breve e sempre in forma interrogativa:
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà forse una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà forse uno scorpione? O se gli chiede un pane, gli darà forse un sasso (quest’ultima aggiunta è presente solo in una parte della tradizione manoscritta)?
Ecco, questo non avviene tra un padre e un figlio, perché il legame di sangue impedisce un simile comportamento paterno, anche in caso di scarso affetto. A maggior ragione – dice Gesù – se questo non avviene tra voi che siete cattivi, eppure sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre che è nel cielo darà lo Spirito santo a quelli che glielo chiedono.
Quest’ultima parola di Gesù è stata meditata poco e con poca intelligenza dalla chiesa stessa negli ultimi secoli.
Gesù sa, e per questo lo dice con franchezza, che noi umani siamo tutti cattivi (poneroí), perché in noi c’è una pulsione, un istinto a pensare a noi stessi, ad affermare noi stessi, alla philautía, l’amore egoistico di sé.
Eppure, anche se questa è la nostra condizione, siamo capaci di azioni buone, almeno nel caso di un rapporto famigliare tra padre e figlio.
Ebbene, se noi, pur nella nostra cattiveria, diamo cose buone ai figli che ce le chiedono, quanto più Dio, che “è il solo buono” (agathós: Lc 18,19), darà cose buone a chi gliele chiede!
Ma come dimenticare che sovente abbiamo fatto di Dio un padre più cattivo dei nostri padri terreni? Scriveva Voltaire: “Nessuno vorrebbe avere come padre terreno Dio”, ed Engels gli faceva eco: “Quando un uomo conosce un Dio più severo e cattivo di suo padre, allora diventa ateo”.
È così, ed è avvenuto così perché la chiesa ha dato un’immagine di Dio come giudice severo, vendicativo e perverso, fino a spingere gli umani ad abbandonare un tale Dio e a negarlo!
Gesù invece ci parla di un Dio Padre più buono dei padri di cui abbiamo fatto esperienza, insegnandoci che sempre Dio ci dà cose buone quando lo invochiamo.
Ma in questo brano c’è una precisazione importante e decisiva a proposito della preghiera. Luca si discosta dalla versione di queste parole di Gesù fornita da Matteo, perché sente il bisogno di chiarirle e di spiegarle. Sì, è vero che Dio ci esaudisce con cose buone (cf. Mt 7,11), ma queste non sempre sono quelle da noi giudicate buone.
La preghiera non è magia, non è un “affaticare gli dèi” – come scriveva il filosofo pagano Lucrezio (La natura delle cose IV,1239) – o uno stordire Dio a forza di parole moltiplicate, dice altrove Gesù (cf. Mt 6,7-8).
Dio non è a nostra disposizione per esaudire i nostri desideri, spesso egoisti ma soprattutto ignoranti, in senso letterale: non sappiamo ciò che vogliamo!
Ecco perché – precisa la versione lucana – “le cose buone” sono in realtà “lo Spirito santo”.
Sempre Dio ci dà lo Spirito santo, se glielo chiediamo nella preghiera, e lo Spirito che scende nella nostra mente e nel nostro cuore, lui che si unisce al nostro spirito (cf. Rm 8,16), è la risposta di Dio. Ma è bene fare un esempio, a costo di essere brutali. Se io, affetto da una grave malattia, chiedo a Dio la guarigione, non è detto che questa si verifichi effettivamente, ma posso essere certo che Dio mi darà lo Spirito santo, forza e amore per vivere la malattia in un cammino in cui continuare ad amare e ad accettare che gli altri mi amino. Questo è l’esaudimento vero e autentico, questo è ciò di cui abbiamo veramente bisogno! (Enzo Bianchi )
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