XXVI Domenica del T.O. – Gli uomini ricordano i nomi dei potenti e dei grandi, Dio ricorda il nome dei piccoli e dei poveri.
La parabola del vangelo di questa domenica XXVI del T.O. è narrata in una sezione in cui il tema di fondo è la Legge, quindi il rapporto tra l’Evangelo e la Legge unita ai Profeti.
Il cuore della Legge è l’amore di Dio e l’amore del prossimo con un particolare riferimento al povero.
La parabola rivela il disprezzo e l’indifferenza del ricco di fronte alla Parola di Dio e all’evidente povertà posta incessantemente davanti ai suoi occhi.
Poiché il povero si chiama Lazzaro, vi è un rovesciamento delle categorie umane.
Gli uomini ricordano i nomi dei potenti e dei grandi, Dio ricorda il nome dei piccoli e dei poveri. La stessa barriera che il ricco aveva creato in terra la ritrova rovesciata nell’al di là. ( G.B.)
I ricchi, nel vangelo di Luca, sono considerati malati terminali di egoismo per i quali non c’è alcuna speranza. …. E’ la terza volta che appare un uomo ricco in questo vangelo e l’immagine è’ sempre negativa …. [ Il ricco ] e’ povero interiormente con la necessità di mostrare la ricchezza esteriormente: ecco perché veste firmato da capo a piedi. …. Il ricco viene rimproverato e condannato non perché si è comportato male nei confronti del povero Lazzaro, ma semplicemente perché lo ha ignorato. Erano vicini fisicamente (sedeva alla sua porta), ma erano due mondi diversi, c’era un abisso tra di loro.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. ….
Nel mondo farisaico era in auge un libro apocrifo, chiamato il libro di Enoch, in cui la vita dopo la morte è rappresentata come un’enorme caverna, chiamata appunto “il seno di Abramo”, dove, nella parte più profonda, quindi quella più buia, più scura, ci stavano le persone che si erano comportate male, nella parte più alta, quindi più vicina alla luce, le persone che si erano comportate bene.
Ebbene il povero muore e viene portato accanto ad Abramo, cioè nella parte più luminosa. Lui che era considerato un castigato invece viene presentato come un benedetto.
[ Anche il ricco morì e – come ben corregge la nuova traduzione della CEI – ] va negli inferi ( non all’inferno ) , cioè nella parte inferiore della terra. ( A Maggi )
Il ricco viene condannato non per la sua ricchezza, né per il suo far festa, ma per la sua indifferenza. Il suo vero peccato è l’indifferenza! Egli non vuole accorgersi che davanti alla sua porta, a un passo dalla sua tavola traboccante di ogni bene, c’è un povero, Lazzaro, che lo interroga con la sua presenza, fatta di piaghe ben visibili e di fame altrettanto evidente. ( N Galantino )
Il mondo dei ricchi, di cui facciamo parte anche noi, rischia di avvolgerci dentro rappresentazioni del mondo che evaporano dal cuore, il quale ha radici nel nostro modo di vivere in rapporto alle cose.
È quasi inevitabile – tanto che gli Apostoli dissero: «ma allora chi può salvarsi?» – che un ricco, che ha dimestichezza con l’avere, fino a vivere con un senso di sicurezza come gli «spensierati di Sion» di cui parla Amos, si crei un sistema di giustificazioni tali che ci possano essere non Lazzaro ma diecimila Lazzari davanti alla porta di casa sua, e lui nemmeno sa che ci sono.
Il mio epulone anni 80, costruisce un giardino con cancellata, fa elargizioni per i poveri, prevede un fondo per il Terzo Mondo, pur di non avere il fastidio dei Lazzari alla porta. La cultura che nasce dalla consorteria dei ricchi è una cultura che legittima la separazione.
Dicono le statistiche […] che l’80 % delle risorse del mondo sono consumate dal 25% e che questo 25% abita nei paesi in cui la religione è il cristianesimo. Sono dei dati bruti ma che servono a darci in chiaroscuro la situazione.
In tutte le chiese cattoliche del 25% si legge la parabola del Ricco Epulone ma state sicuri che domani Lazzaro sarà come oggi. Non cambia nulla. E questo perché queste parole – là dove esse sono accolte con fede – sono state imprigionate in un’armatura complicata di interpretazioni che l’hanno rese del tutto innocue, senza nessuna efficacia sul piano reale.
Questo è l’abisso che si è creato.
… È finita l’epoca delle elemosine. L’elemosina, invece di abolire l’abisso, lo giustifica in quanto rende tranquilli gli epuloni che attraverso elargizioni, fatte per lo più anche in maniera vistosa e proclamata, si sentono sulla buona strada, hanno la coscienza tranquilla.
Le elemosine sono certo necessarie per far fronte a chi, accanto a noi, o lontano da noi, vive nell’estrema necessità, ma noi dobbiamo abituarci a pensare che non è questa la via risolutiva.
Ecco una prima conclusione: la creazione di un’altra mentalità, nella scuola, nella formazione familiare, nell’annuncio evangelico, di una mentalità che integri in sé una specie di sospetto pregiudiziale per tutte le parole che ci scendono dagli uomini responsabili i quali, in quanto responsabili del potere, sono costretti ad usare il codice dei ricchi epuloni.
Abbiamo visto, in poco tempo, gli uomini di intenti rivoluzionari diventare tranquilli gestori del Club degli epuloni: è la meccanica del materialismo biblico di cui vi dicevo prima. Dobbiamo costruirci un cuore immune dagli elementi del mondo, con intransigente solidarietà con i lazzari, con l’intento di abolire l’abisso. È la soluzione che Dio attende da noi. Finirà allora l’inferno.
Io non so cosa ci sia dopo la morte, io penso ad una infinita misericordia di Dio, mentre non mi piace pensare all’inferno. Ma so che l’inferno c’è ed è qui e so che quello che ci viene chiesto da Dio non è di diffondere la paura dell’inferno dell’al di là ma di diffondere la volontà di abolire l’inferno di qua. ( Ernesto Balducci – da: “ Il Vangelo della pace” vol. 3)
Questa parabola ci scuote, scuote soprattutto noi che viviamo nell’abbondanza di una società opulenta, che sa nascondere così bene i poveri al punto di non accorgersi più della loro presenza.
Ci sono ancora mendicanti sulle strade, ma noi diffidiamo delle loro reale miseria; ci sono stranieri emarginati e disprezzati, ma noi ci sentiamo autorizzati a non condividere con loro i nostri beni. Dobbiamo confessarlo: i poveri ci sono di imbarazzo perché sono “il sacramento del peccato del mondo” (Giovanni Moioli) , sono il segno della nostra ingiustizia. E quando li pensiamo come segno-sacramento di Cristo, sovente finiamo per dare loro le briciole, o anche qualche aiuto, ma tenendoli distanti da noi. Eppure nel giorno del giudizio scopriremo che Dio sta dalla parte dei poveri, scopriremo che a loro era indirizzata la beatitudine di Gesù, che ripetiamo magari ritenendola rivolta a noi. ….. (E.Bianchi)
Lascia un commento