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Domenica della Palme e della Passione del Signore

La liturgia di questa domenica della Passione del Signore, detta anche delle Palme, prevede la lettura del racconto della passione secondo Matteo. L’evangelista non ci consegna innanzitutto una “cronaca”, ma ci fornisce l’interpretazione, scaturita dalla fede della chiesa, di quei fatti che hanno costituito la fine della vita di Gesù il Cristo. ( E. Bianchi )

L’annuncio della Passione del Signore, visto nella sua globalità, richiede che lo si accosti con linee scelte d’interpretazione.

Una di queste è il puntuale adempiersi delle Scritture. Tutto il testo è infatti costruito sulla trama dei testi scritturistici, soprattutto di quei testi che costituiscono il riferimento messianico più esplicito e la cui lettura nella Chiesa non ha bisogno di commento perché si sono attuati con evidenza in Gesù, quali il Salmo 21.

Un’altra linea di lettura è quella che suggerisce la «drammatizzazione» liturgica del racconto della Passione.

Attorno alla persona di Gesù si snodano i vari personaggi che vengono rivelati nella loro interiorità: i discepoli, tra cui spicca Pietro; Giuda; le donne (le donne al seguito di Gesù, le serve, la moglie di Pilato); i capi del popolo; Pilato; i soldati, il centurione, Giuseppe d’Arimatea. In ciascuno di loro vi è qualcosa di nostro, che si rivela soprattutto nell’annuncio della Passione del Signore.

Nella ricchezza del testo quindi ciascuno può essere colpito da questo o quel personaggio o dall’atteggiamento che assume nei confronti di Gesù.

Gesù, come segno di contraddizione, non lascia nessuno in una posizione neutrale.

Dalle posizioni più coinvolte in una spirale omicida quale quella dei capi del popolo, di Giuda e infine di Pilato stesso, noi vediamo nei discepoli la fuga e la sequela di Pietro, che si conclude nel rinnegamento.

La purezza della vittima sacrificale e la sua santità divengono rivelazione delle dinamiche che portano ciascuno di noi entro la spirale del peccato e quindi del rinnegamento di Gesù.

 Ma è tempo che lasci la parola a don Giuseppe Dossetti nella sua omelia nella domenica delle Palme del 26.3.1972 (essa è tratta da registrazione).

«E mi ha colpito stamani, mentre ascoltavo la lettura e il racconto del cronista, una frase del capitolo 26 al v. 58 e 59 che poi adesso ho riscontrato e vedo che è proprio di Matteo; mi sembrava così a orecchio ma non ne ero sicuro, adesso la vedo che è propria di Matteo.

Dice dunque al versetto 58, in comune con Marco e con Luca, che Pietro seguiva il Signore da lontano fino dentro all’atrio del sommo sacerdote ed entrando dentro – fin qui è comune – si sedette con i ministri per vedere la fine. Questo è solo di Matteo.

Gli altri dicono che si scaldava perché aveva freddo ecc… Questo atteggiamento di Pietro è bellissimo anche perché poi dopo si capisce tutto il resto. Stava a guardare la fine … come andavano le cose!

E mi ha colpito più di tutti gli altri atteggiamenti e tutti gli altri modi di partecipazione di tutti i partecipanti di questo momento.

In fondo non è Giuda;.. non è i capi della sinagoga, non è Pilato, non fa niente di tutto quello che questa gente fa, ma sta lì a guardare la fine.

Poteva anche avere, in fondo, tutto considerato, una certa onesta intenzione nello stare lì a guardare la fine. Però è stato quello che lo ha rovinato, perché dopo, tutto quello che segue e che abbiamo ascoltato di Pietro, non è altro che una progressione inevitabile! Ed è terribile perché il testo anche qui, in modo molto preciso, nel racconto di Matteo, segna in una maniera veramente terribile drammatica, la successione degli atti, dei comportamenti di Pietro fino all’ultimo: questi scongiuri e questi giuramenti: «che lui non aveva niente a che fare con quell’Uomo e manco Lo conosceva».

[…]

Ma se proprio non ci sentiamo permanentemente addosso queste parti o porzioni di esse, certo che l’atteggiamento di Pietro all’inizio – stava lì a guardare la fine – è quello che in fondo nessuno di noi può declinare, quello che in fondo in tantissime cose, proprio nel tessuto continuo della nostra esistenza portiamo addosso …

…  Stare a vedere vuol dire finire con gli scongiuri e i giuramenti falsi di Pietro il meno che possa capitare, vuol dire finire così!

Non si può! È talmente una cosa immensa e onnipresente, nell’esistenza di ogni singolo, nell’esistenza di ogni comunità, nell’esistenza di ogni famiglia, di ogni nazione, è talmente tutto, che nessuno può neutralizzarsi di fronte ad Esso.

 E non è possibile stare a vedere la fine perché si sta a vedere la fine di qualche cosa che è fuori di noi, mentre questo è dentro di noi o meglio noi siamo ormai invincibilmente dentro di esso!

E non è possibile, e guardate bene, io me ne vado sempre più persuadendo, più la nostra esperienza, la mia personale esperienza di vita che vorrebbe essere cristiana – ma poi non lo riesce ad essere – e l’esperienza di chi mi sta intorno, si sviluppa e cresce nel tempo e nella difficoltà da un lato, nelle meraviglie della Misericordia di Dio dall’altra, più mi vado persuadendo che ciò che ci gioca è sempre una piccolissima cosa.

Iddio non ci prende per così dire in trappola o con le mani in fragrante per il fatto che noi commettiamo delle cose grosse o non sappiamo compiere le cose più grosse che Egli sembra esigere da noi. Iddio ci coglie, invece, in piccolissime cose che sono i nostri rifiuti, in apparenza, insignificanti, modesti, semplici, ma che sono poi veramente le cose in cui noi decidiamo la nostra sorte, perché sono le cose che potremmo non fare o che potremmo fare – a seconda che sono azioni od omissioni – piccolissime e alla portata di ogni uomo, cioè quel tanto di forza vitale, di consistenza spirituale e di grazia che il Signore dà ad ogni uomo

 Pietro avrebbe potuto fare un piccolo segno, anche minimo; non l’ha voluto fare. È stato lì a vedere la fine, e lì si è lasciato giocare! Altri che avevano una parte più grossa della sua, invece, dalla grazia del Signore sono stati presi dentro e in qualche modo salvati da quella sconfitta, da quella caduta cosi grossa che invece ha caratterizzato il capo degli Apostoli. Il rinnegamento, il giuramento contro una piccolissima cosa!

E questo perché il Signore è Giusto, è Santo, e non può condannarci per quello che non possiamo fare, che è al di sopra delle nostre forze; quello ce lo regala!

Mentre invece da noi vuole i piccoli segni, il filo d’erba, la cosa da niente nella quale non possiamo essere neutrali e nella quale dobbiamo cedere al Mistero che è sopra di noi, che è dentro di noi, che ci domina tutti».

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