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Omelia nel 750° anniversario della Dedicazione della Basilica Cattedrale – Cefalù, 28 aprile2017

A tutti il più caloroso benvenuto e la mia gratitudine per la vostra presenza. Saluto tutti e ciascuno in particolare. Saluto i sacerdoti, i diaconi, le autorità civili e militari.
Tra luci, ombre e chiaroscuri sono trascorsi settecentocinquant’anni da quando la nostra maestosa Basilica Cattedralefu consacrata e dedicata alla Trasfigurazione del Signore.
Il 7 giugno del 1131, re Ruggero fondava in questo luogo “la Chiesa in onore del SS. Salvatore e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo”, ricostituendo l’antica Diocesi di Cefalù, già esistente ab immemorabili.
Il Sovrano fondatore ha inteso legare in maniera indissolubile questa Cattedrale, al suo luogo di sepoltura, e ai suoi successori ma varie vicissitudini hanno cambiato il corso della storia.
Oggi, di questa Basilica, celebriamo solennemente l’anniversario della Dedicazione, avvenuta per mano del cardinale vescovo di Albano RadulfoGrosparmi, il 10 aprile 1267, mentre era vescovo di Cefalù il romano Giovanni di Stefano.
In una qualunque commemorazione c’è sempre uno sguardo retrospettivo che ci interroga per fare memoria del passato, c’è una lettura attuale per avere il coraggio del presente e c’è sempre un auspicio che si fa speranza per il futuro.
Chiesa di Cefalù da dove vieni? Come stai vivendo e dove stai andando?
San Pietro nella I lettera (2,4-9) ci ha svelato un profondo significato simbolico della Chiesa-edificio: essa, con le sue pietre poste una sull’altra e distribuite in pareti intorno all’altare, è l’immagine di un altro tempio, quello invisibile formato da pietre vive che sono i battezzati, edificati nella pietra angolare, scelta, pregiata che è Gesù Cristo. In lui (cioè in Gesù Cristo) – scrive S. Paolo – ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo del Signore, in lui anche voi insieme con gli altri, venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2, 21).
Scriveva Paolo ai Corinti (1 Cor 3,16): “Non sapete che voi siete il tempio di Dio?”. Il vero tempio è il cuore dell’uomo.
Il Concilio Vaticano II definisce la famiglia cristiana “Chiesa domestica” (LG 11), cioè un piccolo tempio di Dio, appunto perché grazie al sacramento del matrimonio essa è per eccellenza il luogo in cui la famiglia è riunita nel suo nome.
Il Salmo 84 celebra la gioia del ritrovarsi nella casa del Signore, ospiti del suo tempio: “quanto sono amabili le tue dimore, Signore… beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi… per me un giorno nei tuoi atri e più che mille altrove”.

  1. Agostino commentando alcuni testi biblici riguardanti il tempio nel sermone 336, ha sviluppato questa metafora: “mediante la fede gli uomini diventano materiale disponibile per la costruzione; mediante il battesimo e la predicazione sono come sgrossati e levigati, ma solo quando sono uniti insieme dalla carità divengono davvero casa di Dio. Se le pietre non aderissero tra di loro, se non si amassero nessuno entrerebbe in questa casa”.

La Chiesa dunque va vista principalmente come “popolo di Dio” (LG), come comunità concreta di persone inserita nei ritmi della storia umana per rendervi presente la salvezza portata da Cristo.
La cattedrale porta i segni essenziali e inconfondibili di questo popolo. Nella cattedrale vive il successore degli apostoli che guida e raduna questa Chiesa, che garantisce con la sua presenza l’unità e la verità della dottrina che ha ricevuto dalla tradizione e che conserva, consegna e trasmette alle nuove generazioni.
La cattedrale è la casa di un popolo che custodisce gelosamente un passato, che vive il presente della Chiesa, il presente della nostra fede e riscopre ogni giorno la storia della misericordia nei confronti di questa nostra Chiesa che se pur proiettata in un futuro di speranza non è esente da qualche affanno e da qualche fatica. Non siamo né romantici né nostalgici. Siamo qui per scommetterci più che mai sul futuro di una storia, la nostra storia lunga mille anni.
Ma mentre viviamo questo presente non possiamo ignorare le sfide del nostro tempo e della storia di oggi.
Il documento conciliare, Lumen Gentium, ci presenta la Chiesa anche come “sacramento universale di salvezza”, non è quindi solo un’istituzione da dedicare ma è lievito e fermento, segno e strumento di speranza.
Le maestose cattedrali e basiliche, con i campanili che svettano al di sopra dei tetti delle nostre città, sono certamente un’immagine imponente, un forte richiamo, un luogo di convocazione dove ci sia posto per tutti e dove ci si possa ritrovare come a casa propria per esprimere la propria fede e la propria appartenenza ma soprattutto per poter pregare: “la mia casa è casa di preghiera” (Mc 11,17), così ci insegna Gesù.
Noi amiamo questa casa che consideriamo tempio di Dio, nobilitato dall’arte, ricco di storia, evocatore di sante memorie; noi amiamo questo luogo sacro e oggi particolarmente vogliamo onorarlo con questa solenne liturgia che ci richiama il giorno in cui il Signore ha riempito della sua presenza questo spazio a lui dedicato.
Noi sogliamo ripetere sempre che per costruire il futuro dobbiamo conoscere il passato; è vero, ma è anche vero che a volte facciamo retorica e ci trastulliamo in elucubrazioni mentali quasi per sfuggire i veri e propri problemi, ci giriamo attorno, cominciamo a distinguere, a fare analisi, siamo bravi ad individuare la diagnosi, ma quando arriviamo alla cura da praticare non sempre riusciamo a fare il salto di qualità.
Questa Chiesa è in cammino da oltre settecentocinquant’anni,non può dunque non sapere da dove viene, dove deve andare e cosa deve fare; questa Chiesa sa bene che l’unico cammino da percorrere è il cammino della perfezione cristiana, della santità cioè.
Non c’è dubbio che abbiamo la piena consapevolezza di essere in continuità con la prima comunità cristiana descritta dagli Atti degli Apostoli: i primi cristiani erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, nella frazione del pane, nella comunione fraterna e nella preghiera… erano perseveranti, non cristiani di circostanza ma avevano acquisito un modo di essere, uno stile stimmatizzato nella perseveranza.
Questa Chiesa come tutte le Chiese devono camminare tenendo fisso lo sguardo su Gesù e tendere fortemente alla santità. La pastorale della santità è l’unica pastorale vincente; la pastorale delle opere di misericordia sono la cartina di tornasole di una comunità cristiana.
In questi quasi mille anni di cammino, chi è in grado di misurare i fiumi di grazia e di misericordia che hanno irrorato questo territorio?
Un inno di lode e di ringraziamento salga al Signore per tutti i benefici concessi, e laddove non abbiamo saputo riconoscere la sua presenza invochiamo i doni del suo Spirito, lo spirito di intelligenza e di sapienza per conoscere la sua volontà e i suoi progetti.
Non è poco impegnativo il richiamo alla trasfigurazione. La trasfigurazione ci riporta sul Tabor ma Gesù non garantisce una permanenza prolungata sul monte.
Gesù e gli apostoli, scesi dal monte, si trovarono immediatamente immersi nella trama della vita di ogni giorno: miserie, sofferenze, meschinità. Potremmo parlare del dramma della pianura.
Dalla contemplazione bisogna scendere alla vita di ogni giorno, con le solite occupazioni, la solita routine capace di insinuare la sottile tentazione di cedere, di assuefarsi, di uniformarsi.
Chi ama l’ideale lo serve, chi vuole andare avanti lo fa anche se percepisce che ci si espone.
Chi è stato sul Tabor e ha respirato a pieni polmoni l’aria della montagna non può rinunciare a quella luce che ha contemplato trasformando la sua vita.
Un po’ di luce è capace di diradare certe zone d’ombra.
La trasfigurazione del Signore esige la nostra trasfigurazione, in qualche modo ci obbliga a saperci trasfigurare nella lotta continua che siamo chiamati a sostenere ogni giorno.
Chi è grande non si arrende e sa che solo nella perseveranza salverà la sua anima (cfr. Lc 21,19).
Nel segno di questa perseveranza vogliamo proseguire il nostro cammino affidandoci a Cristo Salvatore e andando avanti con serenità e con fiducia.
 
 

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