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Omelia del nostro Vescovo Vincenzo nel 50° dell' ordinazione sacerdotale 26° anniversario ordinazione episcopale.

In questa solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo ho la gioia di innalzare al Signore il mio inno di lode e di ringraziamento nel ricordo dei miei cinquant’anni di ordinazione sacerdotale e dei ventisei di ordinazione Episcopale. In continuità con la Chiesa nascente che rivolge incessantemente a Dio la preghiera per i suoi apostoli (cfr At 12,3), è per me una grazia particolare poter celebrare questo mio giubileo sacerdotale con voi, venerati confratelli nell’episcopato, con voi carissimi compagni di ordinazione. Saluto tutti affettuosamente e vi ringrazio per avere accolto l’invito a unirvi alla mia preghiera.
La vostra presenza è per me motivo di conforto e di gioia.
Saluto voi carissimi presbiteri e diaconi, religiosi, religiose, seminaristi, popolo santo di Dio e amici giunti da ogni parte, da Palermo, da Casteldaccia, da Termini  Imerese, da Caltagirone.
Saluto le gentili autorità civili e militari, il Sig. Sindaco della nostra Città, e vi ringrazio per avermi voluto onorare con la vostra presenza.
Somma gratitudine al Santo Padre per il telegramma di augurio che ha voluto farmi giungere e per i sentimenti che mi esprime.
Con il salmista mi piace ripetere: “Insegnaci Signore, a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Sal 89,12).
Se mi abbandono all’onda dei ricordi, tante emozioni che affiorano da un passato lontano li rivivo con la forza e la freschezza di oggi.
C’è un tempo nella vita in cui i ricordi prevalgono sul presente e i sentimenti che provi ti fanno rivivere un viaggio percorso e non ancora compiuto.
Ogni viaggio ha un tragitto, una meta, un orizzonte: dal giorno del mio ingresso in Seminario a Palermo, quanti volti, quanti compagni di viaggio, quanti educatori, formatori, maestri di vita e poi il dono degli amici, quelli  sin qui avuti e quelli che si sono aggiunti strada facendo e che hanno reso più facile il cammino.
Come non pensare con gratitudine i miei genitori, i Vescovi che hanno profondamente segnato la mia vita: il Vescovo Aglialoro, Vescovo ausiliare di Palermo, che mi ha ordinato sacerdote il 1° luglio del 1967, il Cardinale Francesco Carpino e in particolar modo il Cardinale Pappalardo a cui devo molto perchè molto ha inciso nella mia vita. Il privilegio di averlo collaborato come segretario ha favorito il processo di crescita della mia vita sacerdotale.
Pur sapendo che ogni vocazione sacerdotale è un grande mistero, un dono che supera infinitamente l’uomo, la storia della mia vocazione l’ho sempre letta e vissuta nella più grande normalità, come se tutto fosse scontato; sin da bambino mi sono sentito attratto dal fascino dell’altare come se fossi nato chierichetto.
A otto, nove anni servivo messa, a dieci anni sono entrato in Seminario. Crescendo si va capendo che la vocazione è il mistero di una elezione divina: “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16) ci dice il Signore.
 Cominciai ad ascoltare le parole del profeta Geremia e pensavo che potevano essere rivolte anche a me: “prima di formarti nel grembo materno, io già ti conoscevo; prima che tu venissi alla luce ti avevo consacrato” (Ger 1,5).
L’autore della Lettera agli Ebrei afferma: “Nessuno può attribuirsi questo onore se non chi è chiamato da Dio” (5,4).
Mi rivedo sul pavimento della Cattedrale di Palermo, disteso per terra, durante il canto del Veni, creator Spiritus e delle litanie dei Santi aspettando il momento dell’imposizione delle mani.
In seguito ho avuto modo di presiedere questo rito come Vescovo. Penso alle tante ordinazioni sacerdotali nella Cattedrale di Caltagirone proprio nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Non c’è dubbio: la prostrazione con tutto il corpo sul nudo pavimento mi ha accompagnato come segno di totale abbandono e disponibilità a intraprendere il ministero anche come consegna di me stesso a Cristo e alla Chiesa.
Oggi abbraccio con un pensiero di gratitudine tutti i miei superiori e professori del Seminario e delle Università Pontificie che hanno contribuito alla mia formazione.
 Non posso non esprimere profonda gratitudine al Parroco della mia prima esperienza pastorale, il carissimo Mons. Giovanni Muratore, Parroco del Santo Curato d’Ars a Falsomiele in Palermo; come dimenticare la sua accoglienza, la sua generosità, il suo incoraggiamento e sopratutto il suo esempio di pastore zelante e infaticabile. Grazie carissimo padre Muratore per il bene che mi ha voluto e la fiducia che mi ha manifestato, e ringraziando Lei, ringrazio tutta la comunità di allora.
Non posso non esprimere gratitudine verso tutta la Chiesa Palermitana all’interno della quale è nato e maturato il mio sacerdozio: l’esperienza pastorale a Santa Croce, a Termini Imerese come parroco, gli anni dell’insegnamento scolastico, gli anni del Seminario come Rettore, li ho vissuti tutti come un sol giorno sia per l’intensità con cui si sono snodati davanti a me sia per la ricchezza di esperienza che andavo maturando. In questi giorni ho pensato pure a tutti i laici che ho incontrato lungo il mio cammino di sacerdote e Vescovo. Sono stati per me un dono singolare per il quale non cesso  di ringraziare il Signore, li porto tutti nel cuore, perchè ciascuno di loro ha offerto il proprio contributo alla realizzazione del mio sacerdozio e del mio ministero episcopale.
Dopo gli anni intensi di Caltagirone il Signore mi ha condotto qui a Cefalù per continuare a servire questa porzione di Chiesa sull’esempio di Paolo, “con tutta umiltà… non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile” e può ancora giovare al popolo santo di Dio affidatomi (cfr. At 20,19-20. 34-35)
Ma non posso fare a meno di andare oltre il ricordo degli eventi e delle persone, per fissare lo sguardo più in profondità, quasi per scrutare il mistero che da cinquant’anni mi accompagna e mi avvolge.
Che significa essere sacerdote?
Secondo San Paolo significa sopratutto essere amministratore dei misteri di Dio (cfr 1 Cor 4,1-2).
L’amministratore non è il proprietario ma colui al quale il proprietario affida i suoi beni, affinchè li gestisca con giustizia, con responsabilità e fedeltà.
Il sacerdote è amico di un Dio che non si cura solo degli  angeli.
È un uomo vinto dalla grazia che si vede trasformato nel mistero che celebra.
Nella dinamica della vocazione sacerdotale esiste un paradosso ben visibile anche nella chiamata degli apostoli da parte del Signore: chi è chiamato non è mai un uomo perfetto o una persona che ha doni straordinari, ma al contrario Gesù si ferma sulla riva del mare per chiamare alcuni pescatori come è capitato all’apostolo Pietro o al crocicchio di una strada come è capitato a Matteo, esattore di tasse, o sulla via di Damasco come è capitato a Paolo.
Ha dato le chiavi del Regno a un uomo che lo avrebbe rinnegato.
Ha affidato il suo gregge a un uomo che di gregge ben poco conosceva perchè era un pescatore.
Ha affidato l’evangelizzazione dei popoli a un persecutore di cristiani: le assurdità di Dio! Pietro e Paolo: uomini imperfetti eppure pilastri su cui si fonda l’intero cammino della Chiesa attraverso i secoli.
Un prete, un vescovo sperimenta tutto questo durante tutta la sua vita e sa che il Signore viene in aiuto alla sua debolezza e alla sua fragilità e sperimenta ogni giorno di  essere apostolo non per meriti personali ma perchè scelto e inviato dal Signore.
Per dirla con Papa Francesco non possiamo truccarci per essere “vasi d’oro” ma, al contrario dobbiamo accettare di essere vasi di creta per lasciarci modellare dall’unico vasaio che è Dio e perchè meglio risplenda la potenza di Dio.
A cinquant’anni dall’Ordinazione io non so se sono stato sempre all’altezza del compito e del dono ricevuto, né so fare bilanci, affido tutto alla misericordia di Dio. Quello che ho capito è che il dono è sempre più grande dell’uomo che lo riceve e proprio perchè più grande può essere anche naturale che un uomo possa ammettere di non aver pienamente risposto al dono.
Cinquant’anni di sacerdozio non sono pochi, in mezzo secolo di storia acqua sotto i ponti ne è passata. Sono convinto che è il Signore che conduce la storia. Io non mi ritengo migliore o più bravo dei miei compagni. Mi sono sentito come trasportato e guidato in questi cinquant’anni di sacerdozio da un filo conduttore da me percepito come un tassello dopo l’altro.
Mi ha sempre  accompagnato la certezza del salmista: “In te Domine speravi non confundar in aeternum”.
Mi ha sempre sostenuto la consapevolezza che nella Bibbia per ben trecentosessantacinque volte è ripetuta un’esortazione che è un programma di vita: “non temere”. Trecentosessantacinque volte significa una volta al giorno per tutto l’anno. Il brivido della vita è cercare l’equilibrio.
Ho provato a lasciarmi sempre attraversare da questo brivido alla ricerca di un equilibrio umano in primo luogo. Ringraziando il Signore per il dono del sacerdozio desidero rivolgermi a tutti i fratelli nel sacerdozio: a tutti senza eccezioni. Lo faccio con le parole di San Pietro: “Fratelli, cercate di rendere sempre più sicura la vostra vocazione e la vostra elezione. Se farete questo non inciamperete mai” (2 Pt 1,10).
Voglia Iddio tenere desta in noi sacerdoti la coscienza grata e operosa del dono ricevuto e voglia suscitare molte e sante vocazioni al sacerdozio. Sul far della sera, quando il crepuscolo della vita si tinge  in maniera irreversibile, vorrei poter far mie le parole dell’Apostolo Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione”. (2 Tm 4,6-9).
Per il futuro non mi resta che guardare avanti e in alto cercando il coraggio di sognare l’impossibile e la fede per realizzarlo. A Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, a Lui onore, gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen (cfr. Ap 7, 9-12). 10

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