XXVIII Domenica del T.O. – La grazia è il dono tra i doni, ma il suo prezzo è l’accoglierla liberamente e per amore
In questa domenica, ancora una volta, la Liturgia della Parola ci presenta un Dio che cerca l’uomo, che lo invita alla comunione con lui. Di fronte a questo invito, rimane per ciascuno di noi la libertà di rispondere «sì», oppure di opporre un rifiuto. La sala in cui «il re ha preparato il banchetto», infatti, può restare vuota, quel pane e quel vino sulla tavola imbandita possono rimanere lì, senza che alcuno se ne cibi. ( N. Galantino )
Che senso ha questo incontrarci [ la domenica ] per ascoltare il messaggio dei profeti e per partecipare all’Eucarestia?
Per lo più si tratta di un ossequio ad un abitudine tramandata dai secoli, sancita dai precetti severi della Chiesa ma, normalmente, non si percepisce la ragione profonda dell’appuntamento.
La ragione è stata coperta, velata anch’essa dalle forme sacrali, rituali, religiose, ma se appena noi liberiamo il senso di questo evento che accompagna la nostra esistenza, lo rendiamo esplicito, ci accorgiamo che esso ha a che fare con la nostra speranza.
Non è un rito religioso fatto per ossequio a Dio ma è un rito con cui noi ricordiamo «quale sia la speranza a cui siamo chiamati».
Questo è il simbolo del banchetto che, secondo l’immagine potente di Isaia, è il senso ultimo della storia degli uomini, come individui e come popoli.
Il banchetto eucaristico che Gesù celebrò prima che fosse consegnato ai suoi nemici, è un’anticipazione simbolica di questo evento.
È qui che noi dobbiamo accendere la luce della nostra speranza, capire le ragioni del nostro andare verso il futuro, vincere le pigrizie interiori, dissipare le nebbie che oscurano il nostro spirito, allargare i vincoli di solidarietà fino ai confini della terra. ( Ernesto Balduccì – “Gli Ultimi Tempi” vol.1 – anno A)
Il Vangelo di questa XXVIII domenica del T.O. è quello del banchetto per le nozze del figlio del re: gli invitati, che si sottraggono in modo stolto e vergognoso a questo invito, sono sostituiti dai poveri che si trovano per le strade della città.
È una maniera molto efficace per dire che il Vangelo è per i poveri; del resto, una tale affermazione è chiarissima in tutti e tre i Vangeli sinottici, a cominciare dal discorso delle beatitudini: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,20). Questo linguaggio di Gesù ci mette sempre un po’ a disagio, perché non sappiamo immaginare la povertà se non come povertà economica. Ci apre a nuove e più grandi prospettive, però, quando viene capito in tutta la sua forza e capacità di descrivere la situazione presente dell’uomo e il suo bisogno di aiuto. ( Carlo Maria Martini )
[ Ascoltando il brano ] siamo pronti a deprecare l’immensa stoltezza di chi non accetta gli inviti più allettanti e onorevoli, come può essere quello al banchetto nuziale del figlio del re: e ciò per le ragioni più futili ( “ andarono al proprio campo, chi ai propri affari” ) ( Mt 22,5), che si esprimono anche in gesti di maleducazione e addirittura di violenza ( “ altri poi presero i suoi servi, li in insultarono e li uccisero”, Mt 22,6). È qui descritta l’incredibile miseria dell’uomo che si pone in modo disattento e superficiale – stupidamente e perdutamente superficiale – di fronte alla grandiosità della promessa di Dio. È dunque una parabola che vuole scuoterci dalla pigrizia e dall’ignavia e farci leggere come in uno specchio la nostra insipienza. Con quelle ascoltate nelle domeniche precedenti è una parabola di “ minaccia”: “Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. “ ( Mt 22,7 ). Ma è anche una parabola di di misericordia perché chi parla così vuole che l’uomo sia attento al suo vero destino, vuole ricordargli la propria grandezza e offrirgli l’aiuto e la forza della redenzione. Per questo aggiunge: “ Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Il rifiuto di pochi si trasformerà nella chiamata di molti. ( C:M: Martini – Colti da stupore)
Una Chiesa esclusiva come un club non è la Chiesa di Gesù. La missione della Chiesa che parte proprio dalla messa domenicale, è quella di far sentire tutti parte di questo grande progetto di Dio per l’umanità intera, cioè creare un mondo nuovo, inclusivo, pacifico, solidale, misericordioso. La missione è quella di far sì che ogni angolo della terra, sia nelle terre di missione lontane come la Guinea Bissau, ma anche la casa del mio vicino che magari non conosco, diventino una “festa di nozze” come quella del Vangelo, dove al centro ci sta la felicità di tutti in un amore totale reciproco.
La parte della parabola che riguarda l’invitato non vestito adeguatamente è giustamente provocatoria. Non vestirsi adeguatamente per una festa, significa concretamente tirarsi fuori dalla festa e non essere in sintonia con gli altri. L’abito a cui fa riferimento Gesù non è quello di tessuto che copre il corpo, ma l’abito della vita, cioè le nostre azioni, abitudini, le nostre parole e scelte di vita. ( Gioba )
[ Dinanzi all’atteggiamento del Re verso “ l’uomo senza abito di cerimonia” – parabola che alcuni studiosi pensano sia incollata a quella del banchetto – ] la perplessità che proviamo è spontanea: una condanna così aspra è giustificata da una semplice mancanza di etichetta? Evidentemente no. Bisogna risalire al simbolismo, diffuso in tutte le culture, della veste. Essa non ha solo funzioni concrete nei confronti del clima o di decenza riguardo al pubblico, ma rivela anche un aspetto emblematico, estetico e sociale (si pensi solo alla funzione fin esasperata della moda ai nostri giorni). Anzi, l’abito da cerimonia è spesso indizio di una dignità civile o religiosa: è ciò che accade per i paramenti sacerdotali, la corona e lo scettro reale, la fascia del sindaco e così via, tant’è vero che per indicare l’accesso a una carica pubblica parliamo di “investitura”.
È chiaro, allora, che l’assenza di abito nuziale nel protagonista di questo secondo racconto è indizio ben più grave di una semplice carenza di educazione. È la privazione di quelle opere e qualità morali che possono ammettere al Regno di Dio e al suo banchetto. Non è sufficiente la vocazione a un compito (“i chiamati”), bisogna anche adempierlo con fedeltà e impegno così da diventare “eletti”, cioè ammessi alla festa finale. ( G. Ravasi)
Questa parabola, giocata sulla dialettica tra dono e responsabilità, ci svela una verità che non sempre sappiamo comprendere: la grazia è il dono tra i doni, ma il suo prezzo è l’accoglierla liberamente e per amore. L’abito donato ma rifiutato da quell’invitato significa nient’altro che il prezzo della grazia. Scriveva in proposito Dietrich Bonhoeffer: “Grazia a caro prezzo è il tesoro nascosto nel campo, per amore del quale l’uomo va a vendere con gioia tutto ciò che aveva; la pietra preziosa, per il cui valore il mercante dà tutti i suoi beni; … la chiamata di Gesù Cristo, per cui il discepolo abbandona le reti e si pone alla sua sequela. Grazia a caro prezzo è il Vangelo, che si deve sempre di nuovo cercare, il dono che si deve sempre di nuovo accogliere … È a caro prezzo, perché ci chiama alla sequela; è grazia, perché chiama alla sequela di Gesù Cristo; è a caro prezzo, perché l’uomo l’acquista al prezzo della propria vita; è grazia, perché proprio in questo modo gli dona la vita; è a caro prezzo, perché condanna il peccato, è grazia, perché giustifica il peccatore.” ( Enzo Bianchi )
La vita cristiana, è una storia d’amore con Dio, dove il Signore prende gratuitamente l’iniziativa e dove nessuno di noi può vantare l’esclusiva dell’invito: nessuno è privilegiato rispetto agli altri, ma ciascuno è privilegiato davanti a Dio. Da questo amore gratuito, tenero e privilegiato nasce e rinasce sempre la vita cristiana. ( Papa Francesco )
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