XXXII Domenica del T.O. – La vigilanza è la matrice di ogni virtù umana e cristiana, è il sale di tutto l’agire, è la luce del pensare, ascoltare e parlare di ogni umano
Oggi l’attenzione è centrata sul tempo dell’attesa delle “realtà ultime”: un tempo di per sé ambiguo, come ambiguo è il tempo che viviamo. Esso infatti può essere valorizzato, ma può anche scorrere banalmente, come capita alle dieci vergini che, nell’attesa dello sposo, si addormentano. ( N. Galantino )
Quella di oggi non è una parabola isolata; si colloca infatti, nel Vangelo di Matteo, come la seconda di quattro parabole che esprimono lo stesso pensiero e si trovano l’una di seguito all’altra: la parabola del servo fedele e prudente e di quello malvagio; poi la parabole delle dieci vergini, successivamente la parabola dei talenti affidati ai servi…e in Mt 25,21 – 46 il giudizio finale quando saranno premiati coloro che hanno dato da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, etc..
In ciascuna viene approvata una categoria di persone e respinta un’altra, dove l’accento è piuttosto sulla seconda. Il tema centrale è perciò quello della messa in guardia, della vigilanza, come appare dalla conclusione della nostra parabola: “Vegliate, dunque, perché non sapete nè il giorno ne l’ora”.
Si veglia perché si è in attesa e l’attesa è comunitaria; si aspetta in gruppo, in comunità: è la Chiesa che aspetta ma non sta ferma perché in cammino >> «Ecco lo sposo, andategli incontro!»
Di tale grido, che si leva nel cuore della notte, troviamo eco intensissima nell’ultimo libro della Bibbia: colui che la sposa e lo Spirito invocano: “Vieni!”, e che ha detto: “Verrò presto” (Apocalisse 22,17.20) …
Ci troviamo dunque nel segno dell’amore nuziale, così caro alla predicazione dei profeti dell’antica alleanza (Osea 1-3; Ezechiele 16; Isaia 54 e 62; ecc.) e cantato in modo meraviglioso dal Cantico dei Cantici: la relazione d’amore di due sposi è vista come la via più luminosa per definire il legame intimo e personale che si instaura e viene vissuto tra Dio e l’uomo.
In questa nostra parabola però lo sposo assume un volto “strano”, o almeno eccezionale: “Si fa attendere, cosa del tutto rara; giunge in un’ora importuna e, ciò che è più sorprendente, imprevista. Dovrebbe essere accompagnato da un corteo, preceduto da musiche e suono di tamburi, invece è annunciato da una voce anonima. La sua intransigenza e severità non si addicono alla sua persona e alla particolare circostanza. Invece di lasciarsi prendere dalla gioia dell’incontro con le vergini (la sposa) si improvvisa portiere, sbarra le porte e tiene tutti lontani. Proprio in quel giorno avrebbe dovuto essere remissivo, è invece inesorabile” (O. da Spinetoli).
Collocata in questo contesto nuziale ed escatologico e letta nella sua globalità, nella parabola risaltano:
Le vergini (le ragazze) nella loro identità antitetica, come sagge e stolte, mentre si preparano all’arrivo dello sposo (vv. 2-4). La distinzione antitetica ( sagge-stolte) percorre tutto il racconto e costituisce una parte integrante della teologia del vangelo di Matteo.
L’olio. – A leggere con attenzione la parabola si deve dire che la linea di differenziazione tra sagge e stolte non passa attraverso il sonno «Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono» (v.5). Comunque il sonno si presta a qualche riflessione, perché il sonno allude al torpore spirituale, alla freddezza, alla morte, e così veniamo sollecitati a stare svegli di fronte ai valori spirituali, secondo il ripetuto invito dell’apostolo Paolo: «Non dormiamo come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobri» (1 Tessalonicesi 5,6); «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti» (Romani 13,11).
Non il sonno, dunque, fa la linea di differenziazione tra i due gruppi di ragazze, ma l’olio.
Con la vite, l’ulivo è quasi lo stemma dell’Israele biblico, come ricorda esplicitamente Osea in un suo passo (14, 6). Dal frutto dell’ulivo attraverso la macinatura in un frantoio (tra parentesi Gesù passa la sua ultima sera terrena in un «getsèmani», termine comune che significa «frantoio di olive») fluisce l’olio, un altro solenne simbolo biblico:
•segno sacrale, usato per le consacrazioni regali e profetiche,
•segno di ospitalità («tu cospargi di olio il mio capo», si canta nel Sal 23, 5),
•segno di fraternità come nel caso dell’«olio profumato che scende sulla barba di Aronne» (Sal 133),
•raffigurazione della concorde comunità sacerdotale,
•segno di salute e di terapia medica («i discepoli ungevano di olio molti infermi e li guarivano», si legge in Ln Mc 6, 13 e il buon samaritano verserà olio e vino sulle ferite della vittima dell’incursione di banditi nell’omonima parabola).
L’olio è, quindi, un’immagine positiva. E la sua assenza è drammatica perché non indica solo carestia, bensì anche oscurità, freddo, paura. E’ questo il significato delle lampade spente delle vergini stolte. La tradizione giudaica identificava nell’olio le opere giuste che fanno sfavillare la lampada della fede. «Quanto paurosa è la notte della
vita non squarciata dal bagliore di una lampada tanto più è necessario avere con sé la riserva d’olio perché le nostre lampade risplendano. ( Ravasi )
Particolarmente interessante e profonda è la lettura dell’olio delle lampade in riferimento alla “grazia dello Spirito Santo” (Serafino di Sarov): “L’olio è lo Spirito santo, l’amore di cui arde Dio stesso, che il Figlio ci comunica, perché amiamo i fratelli. Questo ci fa luminosi: ci rende figli della luce, icona del Padre. Senza questo amore siamo stolti: andiamo contro la nostra realtà di figli” (S. Fausti).
Il ritardo dello sposo è la punta della parabola . … vero e proprio trauma per le prime generazioni cristiane. … l’ora di Dio non sempre coincide con la nostra ora. Ma il suo ritardare è grazia per noi. Con l’attesa può crescere e diventare più vivo il nostro desiderio di lui e la sua assenza può diventarci salutarmente insopportabile. Intanto, mentre aspettiamo, possiamo purificarci, prepararci meglio all’incontro: il tempo, vuoto di per sé, c’è dato proprio per questo. E possiamo anche, se è a una festa di nozze che dobbiamo andare, vestirci degli abiti della festa smettendo quelli logori della fatica e del pianto” (P. Mari).
Dobbiamo vivere in modo cristiano il tempo presente come tempo dell’attesa, come suggerisce l’apostolo Paolo: «Vigilate attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; profittando del tempo presente…» (Efesini 5, 15-16). E ciò avviene quando si coniugano assieme la prontezza e la costanza: la prontezza perché il Signore può giungere in ogni momento e la costanza perché il Signore può tardare a lungo. ( T&T)
E noi attendiamo ancora il Veniente oppure – come affermava Ignazio Silone – abbiamo per la sua venuta lo stesso entusiasmo di quelli che aspettano l’autobus alla fermata? “… … La vigilanza è la matrice di ogni virtù umana e cristiana, è il sale di tutto l’agire, è la luce del pensare, ascoltare e parlare di ogni umano. (E. Bianchi )
Il Signore potrà venire in qualunque momento, e anche il sonno della morte non ci spaventa, perché abbiamo la riserva di olio, accumulata con le opere buone di ogni giorno. ( Papa Francesco)
Al termine di questa riflessione le parole di S. Agostino : “«Le cinque vergini prudenti andarono (incontro allo sposo) ed entrarono (nella sala). Siete molti, fratelli miei, che vi chiamate cristiani; magari ci fossero fra voi quelle cinque prudenti, ma non dovete essere solo cinque di numero. Ci siano tra voi persone come le cinque vergini sagge, appartenenti cioè alla saggezza raffigurata dal numero cinque.” (Discorso 93, 10.17).
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