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III Domenica di Avvento – La grandezza di Giovanni: testimonia di essere un uomo "decentrato", perché sa che al centro c’è il Cristo, del quale è solo il precursore che lui indica, rivela, invita, senza mai chiedere di guardare alla sua persona.

Già da due settimane il Tempo di Avvento ci ha invitato alla vigilanza spirituale per preparare la strada al Signore che viene. In questa terza domenica la liturgia ci propone un altro atteggiamento interiore con cui vivere questa attesa del Signore, cioè la gioia. …
Il cuore dell’uomo desidera la gioia. Tutti desideriamo la gioia, ogni famiglia, ogni popolo aspira alla felicità. Ma qual è la gioia che il cristiano è chiamato a vivere e a testimoniare? E’ quella che viene dalla vicinanza di Dio, dalla sua presenza nella nostra vita…. Non occorre più cercare altrove! .. Gesù stesso è la nostra gioia … ( Papa Francesco )
E l’invito alla gioia risuona nel testo di Isaia, come risposta al lieto annuncio di liberazione: «Io gioisco pienamente nel Signore… perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza» (Is 61, 0).
Ma anche l’apostolo Paolo, nel testo proposto come seconda lettura, esortando a mantenersi «irreprensibili per la venuta del Signore», invita i credenti a «stare sempre lieti… in ogni cosa rendendo grazie» (1Ts 5,16). ( T&T)
[E poi, san Paolo] indica le condizioni per essere “missionari della gioia”: pregare con perseveranza, rendere sempre grazie a Dio, assecondare il suo Spirito, cercare il bene ed evitare il male (cfr 1 Ts 5,17-22). ( Papa Francesco )
Il brano del Vangelo della terza domenica è tradizionalmente dedicato al Battista.
In questa annata B – nella quale leggiamo Marco – il lezionario ricorre al quarto vangelo, che ci offre una presentazione “altra” del Battista. … Giovanni sta alla cerniera tra Antico e Nuovo Testamento, è l’ultimo dei profeti dell’antica alleanza e il primo a proclamare il Vangelo (cf. Lc 3,18): è lui il sigillo della continuità della fede, è lui il testimone della Legge e dei Profeti, e nel contempo l’annunciatore e il testimone di Gesù Cristo.
Tutto il Nuovo Testamento è concorde sulla sua identità e sulla sua missione di precursore, ma il vangelo “altro” ce lo presenta con tonalità particolari, peculiari.
Giovanni entra in scena nel prologo del quarto vangelo. Dopo aver rivelato colui che era fin dal principio rivolto a Dio e messo in evidenza la contrapposizione tra la luce e le tenebre (cf. Gv 1,1-5), in modo brusco e inatteso il testo annota: “Venne un uomo mandato da Dio. Il suo nome, Giovanni”. Un uomo: Giovanni è un uomo, senza alcuna qualifica di appartenenza sociale o religiosa. … Egli è un uomo presentato in modo spoglio, del quale importa solo dire che è “inviato da Dio” e, subito dopo, “testimone “.
Ecco la sua vera qualifica: un inviato, un profeta e un testimone, dunque servo solo di Dio. A lui spetta di testimoniare riguardo alla luce venuta nel mondo, questa è la sua missione: chiamare tutti a credere alla luce e a uscire dal dominio delle tenebre.
Inoltre, Giovanni si definisce ed è definito soprattutto in modo negativo, ossia in riferimento a ciò che non è: è inviato da Dio, ma non è la luce, bensì soltanto il testimone della luce.
Infatti, quando le autorità giudaiche gli inviano da Gerusalemme sacerdoti e leviti per interrogarlo Giovanni risponde  … “Io non sono il Messia”. …
Giovanni non pronuncia mai una frase affermativa che contenga l’espressione “Egó eimi”, “Io sono”, …. Sarà Gesù, a cominciare dal suo dialogo con la donna samaritana (cf. Gv 4,26), ad affermare a più riprese: “Io sono”,
… Vista questa sua modalità di rispondere, i suoi interlocutori lo incalzano con altre domande: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?”. Ed egli, di nuovo: “Non (lo) sono”. … Egli nega quello che molti gli riconoscevano e che gli riconoscerà lo stesso Gesù: “Io vi dico che Elia è già venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui” (Mc 9,13; cf. Mt 17,12).
Alla terza domanda: “Sei tu il Profeta?”. Ed egli, ancora: “No”. Non è neanche il Profeta, cioè quel profeta uguale a Mosè che Dio aveva promesso (cf. Dt 18,15) e che gli ebrei attendevano per gli ultimi tempi. .. In tal modo mostra chiaramente di essere un uomo decentrato, perché sa che al centro c’è il Cristo.
.. Evita persino di dire: “Sono”, perché non vuole che l’attenzione sia rivolta a lui. Dice semplicemente: “Io, voce di uno che grida nel deserto” (Is 40,3). In questo atteggiamento c’è la vera grandezza di Giovanni, che indica, rivela, invita, ma mai chiede di guardare alla sua persona. Come dirà più avanti, in riferimento a Gesù, lo Sposo: “Lui deve crescere; io, invece, diminuire” (Gv 3,30).
L’interrogatorio prosegue ad opera di alcuni farisei, i quali intervengono per chiedergli: “Perché dunque battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il Profeta?”. Battezzare, .. è un’immersione nell’acqua, un segno, un gesto che prepara un altro battesimo, definitivo, che sarà dato da colui che egli annuncia e precede. ( E Bianchi )
Che volete che significhi il battesimo?
Anch’esso è diventato un rito sterile, inutile in cui le buone famiglie si assicurano che anche i figli siano garantiti per la vita eterna.
Ma un battesimo di fuoco è un battesimo che brucia, come il fuoco nelle stoppie. Il battesimo di fuoco ci rende impazienti, ci rende incapaci di stare zitti; il battesimo di fuoco ci rende appassionati nella denuncia delle ingiustizie e pone questa passione al di sopra di ogni altra preoccupazione, anche dell’obbedienza, della docilità.
… L’annuncio evangelico è puro: esso è consegnato a coloro che lo vivono. Gesù è ancora uno sconosciuto, come lo annunciava il Battista: «C’è in mezzo a voi uno che non è conosciuto».
Noi abbiamo Cristo nei crocifissi, nei quadri, nei simboli, nelle croci pettorali dei vescovi, negli anelli ma in realtà egli è uno sconosciuto, perché la Sua Verità verrà dopo la giustizia, e la giustizia non c’è. In questo mondo, se Gesù viene, è crocifisso per necessità.
Dove più è acclamato, più è crocifisso. Bisogna essere fedeli a questa certezza, e bisogna certo, anche concedersi la gioia, ma sapendo che essa è parzialmente illegittima, e che essa è solo il pregustamento di ciò che sarebbe il mondo, qualora facessimo giustizia.
… Non ci sono due realtà: una il Regno di Dio e una il regno dell’uomo. La creazione è una sola; e il progetto di Dio è uno solo per tutti gli uomini. Avere questa certezza significa realizzare in noi l’attesa, l’avvento.
Questa attesa ci pone nel cuore dei problemi di tempo e ci suggerisce, con fantasia creativa, espedienti per lottare contro la meccanica di morte, dinanzi alla quale sta la predicazione del Vangelo di Giovanni il Battista.
I pubblicani, gli scribi, i farisei, Erode, tutti sono – dinanzi a Lui – condannati. Noi sappiamo che Cristo deve venire, viene dopo, ma è già presente anche in questo Vangelo di giustizia.
Basta avere queste certezze e poi aprire le pagine del giornale di stamani per sapere come si fa a vivere il Vangelo nella concretezza della storia, senza troppa teoria. Basta rifarsi a questi imperativi di fondo, illuminati dalla Parola di Dio di oggi, per sapere che non si può essere cristiani se non ci addossiamo – in modo concreto – le tribolazioni in cui vive l’umanità che sconta le proprie ingiustizie. (Ernesto Balducci – da “Il Vangelo della pace” vol. 3 – anno C )

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