Lettura continua del libro ” Pregare la Parola” ( Quarto Capitolo)
IV° CAPITOLO : “Dalla Liturgia della Parola alla Lectio Divina “
XIII GIORNO
La parola di Dio rivolta agli autori biblici è stata fissata nello scritto non per fornire un codice della Parola di Dio ai credenti, ma perché la scrittura potesse sempre più diventare Parola.
E il luogo privilegiato in cui la Scrittura diventa Parola è la liturgia.
Abbiamo visto questo processo testimoniato nella pagina di Neemia e in quella di Luca che riguarda il culto sinagogale officiato da Gesù a Cafarnao.
La Parola nella liturgia ridiventa vivente ed efficace perché Cristo è presente ed impedisce, facendola risuonare con la sua stessa voce, che essa resti documento.
L’assemblea liturgica è molto più che una manifestazione dell’unità del popolo di Dio, è il sacramento visibile del Verbo, secondo una definizione di Agostino, è il sacramento del Verbo che si fa udire. E’ Cristo stesso infatti che parla quando nella chiesa si leggono le scritture, è Cristo stesso che agisce e opera con la sua Parola.
Con estrema intelligenza spirituale la liturgia ortodossa, alla proclamazione dell’Evangelo, vuole che il diacono, innalzando il testo, esclami: “ State attenti alla sapienza di Dio”, o: “ State attenti a Dio che parla”. E la Parola diventa così, in questa proclamazione, potenza di Dio, capacità creativa.
D’altronde, su questo è concorde tutta la testimonianza del Nuovo Testamento. Paolo scrive: «Nel ricevere la Parola di Dio da noi predicata, l’avete accolta come Parola di Dio, come essa è in realtà, e non come parola umana: essa è capace di esercitare la sua potenza in voi credenti» (lTs 2.13). La fede infatti, primo risultato dell’efficacia della Parola, nasce dalla liturgia della Parola e questa liturgia, a sua volta, nasce dalla Parola di Cristo (cf. Rm. 10.17).
Origene, nel commentare questo brano, metteva in evidenza che Cristo lo si può udire:
- direttamente come uomo – come successe ai testimoni oculari -,
- direttamente nella predicazione degli apostoli,
- direttamente nel cuore di ciascuno.
E tutti e tre questi modi sono vero ascolto del Signore.
L’assemblea liturgica è adunanza non solo di credenti, ma di credenti fatti sacerdoti e profeti, capaci cioè di leggere e ascoltare la Scrittura con lo stesso spirito che animò sacerdoti e profeti. Ogni membro della chiesa dunque, proprio in forza di questa sua qualità, rende viva la Parola per sé e per la chiesa.
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XIV GIORNO
La liturgia della Parola ha dunque un indiscutibile primato, perché «nessuna parola dalla Scrittura soggiace a privata interpretazione›› (2Pt 1.20), e ogni lectio divina personale deve trovare in essa il termine ultimo ed essere, nei confronti della liturgia della Parola, nello stesso tempo preparazione e prolungamento.
Pur se va sottolineato e rilevato il primato della liturgia della Parola su ogni contatto personale con la Scrittura, questo rimane essenziale e indispensabile per le seguenti ragioni.
Innanzitutto perché esiste una Parola diretta di Dio, implicita nelle Scritture, ma rivolta a noi personalmente fuori della Scrittura stessa. E una Parola di Dio che noi percepiamo in modo personale, che non diventerà parola scritta, ma che resta Parola di Dio. Unica condizione necessaria perché questo messaggio di Dio arrivi a noi personalmente è che noi possediamo la qualità di ascoltatori della Parola liturgica.
Quando Paolo scrive: «Per quanto riguarda la carità fraterna, non occorre che io vi scriva, perché avete imparato da Dio stesso ad amarvi gli uni gli altri» (1Ts 4.9), e quando Giovanni dice: «È scritto nei profeti: E saranno tutti istruiti da Dio» (Gv 6.45), essi rivelano che c’è la possibilità di una Parola di Dio rivolta direttamente all’uomo. Ebbene, il luogo privilegiato per questo ascolto non è forse la preghiera della Parola?
Certo, questa conoscenza è promessa a quanti conoscono la Scrittura, ma indubbiamente essa esce dallo schema della predicazione o della liturgia della Parola.
Un’altra ragione dell’importanza della lectio divina è la preparazione della liturgia. Se la Parola si riceve senza preparazione, senza fede, senza amore e senza conoscenza, essa non vivifica più, resta per noi parola morta.
Se l’interpretazione e l’ascolto della Parola devono essere dossologici, cioè devono avvenire con il criterio di commentare la Parola con la Parola, occorre conoscerla bene e profondamente, e ciò è possibile solo con l’amorosa assiduità alla Parola.
I brani scelti dalla chiesa per il lezionario sono il minimo per vivere di fede, ma occorre conoscere tutta la Parola per capirli in profondità. Alla loro proclamazione il credente dovrebbe saper vibrare ricordando tutti i testi e tutta la teologia richiamata dalla pericope liturgica. Insomma, il credente dovrebbe essere una summa vivente di concordanze.
Ma non è solo questione di allargamento, di estensione e di approfondimento della conoscenza della Scrittura, è anche questione di personalizzazione. Nella liturgia Dio parla al popolo, ma questo è solo l’inizio e la causa di quello che dev’essere un incontro personale con Dio.
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XV GIORNO
Nel testo Dio chiama Abramo o Mosè, ma questa vocazione deve diventare una voce che ripete il mio nome. Dio cambia il nome a un uomo, ma questo mutamento, suggeritomi dal testo, devo sentirlo in me stesso. Ciò che è dialogo con il popolo nella liturgia, deve diventare dialogo unico e personale nella lectio divina.
Si potrebbe dire, in termini un po’ riduttivi, che nell’ambito liturgico della Parola si verifica un annuncio teologico e catechetico, mentre nella lectio divina questo diventa personale e spirituale.
Con quale forza Origene sa fare questa personalizzazione! Con audacia egli arriva a chiamarsi chiesa, sposa: «lo chiesa», dice di sé, come farà più tardi Bernardo proclamando: «Ognuno di noi è chiesa!››”.
Un canone del concilio «in Trullo» prescriveva ai preti non solo di predicare la Parola nella liturgia, ma di abituare ed educare i fedeli all’intimità con la Scrittura, perché «per diventare cristiani adulti occorrono i mezzi che la Bibbia fornisce››.
La lectio divina non è quindi un fatto specialistico dei monaci, ma è di tutta la chiesa, è una condizione necessaria affinché la Parola fruttifichi in noi.
Non ci si illuda: chi vive solo della Parola di Dio proclamata liturgicamente è come il terreno della parabola che accoglie il seme, ma non lo porta a fruttificazione. Su di lui, terreno arido, gli uccelli mangeranno il seme, le spine lo soffocheranno, il calore farà seccare i germogli.
Giovanni Crisostomo insiste con molto vigore e richiama i fedeli con queste parole: «Alcuni di voi dicono: “Io non sono monaco”… Ma è qui che vi sbagliate, perché credete che la Scrittura riguardi solo i monaci, mentre essa è ancor più necessaria a voi fedeli che siete in mezzo al mondo. Vi è qualcosa di più grave e peccaminoso del non leggere le Scritture: ed è il credere che la lettura sia inutile e non serva››.
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XVI GIORNO
Chi vive senza la lectio, dice ancora il grande padre della chiesa, esercita una «pratica satanica». La Parola udita deve parlare incessantemente, e per questo dev’essere conservata e ridestata nel cuore. Come potrebbe esserci vita spirituale senza questo respirare la Parola giorno e notte?
Il Crisostomo, che fu un pastore responsabile della chiesa affidatagli e che sempre si batté contro la tentazione di demandare ai monaci l’esercizio e la pratica del radicalismo dell’Evangelo, ammoniva sovente i fedeli a prolungare nella lectio divina la liturgia della Parola: «Quando ritornate a casa dovreste rendere la Scrittura e con vostra moglie, con i vostri figli rileggere e ripetere insieme la Parola ascoltata (in chiesa)›› ; e ancora: «Ritornate a casa e preparate due tavole, una con i piatti del cibo, l’altra con i piatti della Scrittura; il marito ripeta ciò che è stato letto in chiesa… Fate della vostra casa una chiesa››“.
Il pericolo che sta sempre in agguato è l’ascolto superficiale della Parola di Dio. La Parola udita è come il seme gettato dal seminatore: occorre, dopo l’ascolto lottare contro il demonio che può venire a rubarci la Parola o a seminare la gramigna. Lotta dunque contro la superficialità dell’ascolto della Parola (seme sulla strada), contro la difficoltà del conservarla (seme tra le pietre), contro le paure del lasciarla crescere (seme tra le spine) (cf. Mt.13.18 ss. e 13.24 ss.).
Per poter dire: «Io chiesa», per avere cioè un’anima ecclesiale, occorre questa lettura che rende l’uomo, secondo l’espressione di Clemente Alessandrino, «teodidatta», istruito da Dio.
Soprattutto va tenuto presente che nella lectio divina l’orazione è personale ma non individuale, perché la «lectio» è «divina» solo se è lettura fatta con l’Altro, lettura dialogica, lettura fatta a due.
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XVII GIORNO
Se è vero che la Scrittura è un messaggio di Dio all’uomo, è altrettanto vero che essa o diventa colloquio con Dio o resta infruttuosa.
Quando leggo la Scrittura, Dio è «egli››; ma se la leggo nella fede e la prego Dio diventa un «tu››, cioè qualcuno che mi sta di fronte, che mi parla e a cui io rispondo.
Questo è anche il risultato Finale della lectio divina.
Ciò che è proclamato su Dio diventa messaggio per me, e nella preghiera su quel messaggio io parlo a lui.
Quando ascoltiamo la Parola ascoltiamo lui, quando preghiamo parliamo a lui.
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