XXIII Domenica del T.O. – Prendere la croce è abbracciare un progetto universale il cui segno è l’amore per l’umanità, la liberazione dell’umanità da tutte le schiavitù in cui essa langue.
Nella Prima lettura l’affermazione che la Sapienza di Dio è dono .. e non una conquista del pensiero umano!
.. Il corpo corruttibile e la tenda d’argilla che appesantiscono l’anima e gravano sulla mente piena di preoccupazioni, accrescono il bisogno di sapienza.
Se l’uomo cammina nella luce splendente di Dio ed ha bisogno della luce della sapienza, molto di più ne ha di bisogno chi cammina nelle tenebre.
Dio ha dato il suo Cristo, lo ha dato nella sua Parola e nella sua Croce. Con lo Spirito Santo l’uomo deve essere condotto alla piena conoscenza di di Lui.
Bisogna porre molta attenzione perché non si confonda la sapienza, finalizzata alla comprensione della Parola e della natura e la Parola stessa.
Dio personalmente si rivela, parla, dice, profetizza. Poi dona il suo Santo Spirito, la sua Divina Sapienza perché l’uomo giunga a tutta la verità. Questa distinzione è fondamentale. Senza questa distinzione mancheremmo del dato oggettivo.
Ognuno potrebbe costruirsi il suo dato oggettivo. Il dato oggettivo è creato e rivelato da Dio e offerto all’uomo.
Anche l’uomo stesso è dato oggettivo offerto a se stesso. La Parola ci rivela il dato oggettivo e ce lo dona.
La Parola ci dona Cristo come dato oggettivo. Lo Spirito Santo ci aiuta a comprenderlo.
Per comprendere il brano della Seconda lettura forse è opportuno precisare che la lettera di Paolo a Filemone ha come tema il problema della liberazione di uno schiavo.
Paolo scrive a Filemone, nella cui casa sembra si raduni la comunità ecclesiale, perché accolga Onesimo ( schiavo dello stesso Filemone dal quale era scappato per sfuggire alla punizione per un furto che aveva commesso e poi a servizio di Paolo conosciuto nello stesso carcere e da Lui “ generato” alla libertà) “.. non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo,”.
Tutto questo Paolo lo “ invoca” non col ricorso alla semplice autorità ma con l’autorevolezza superiore della carità, autorevolezza che viene ulteriormente confermata e accresciuta dalla sua autopresentazione come “vecchio” e “ora anche prigioniero di Cristo Gesù“, che gli dà assoluta libertà da ogni altro vincolo per una vita tutta dedicata e offerta al Signore.
È meraviglioso l’invito a considerare come la liberazione di Onesimo accade anche e soprattutto per il bene di Filemone, che dagli eventi verrebbe arricchito dalla relazione nuova che la conversione di Onesimo crea : nasce una relazione ben più profonda di dedizione e di diaconìa di come stabiliva la sua condizione di schiavitù.
Ma tutto questo immenso progresso esige da Filemone la totale libertà della sua scelta! di Dio che crea il mondo e poi si ritira dalla sua totale onnipotenza per fare posto alla creatura
Nel brano del Vangelo Gesù dice una parola che è scandalosa, e nel suo suono immediato, anche inaccettabile: Chi non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Odiare qui vuol dire spezzare gli affetti che ci fanno schiavi.
Gesù indica come orizzonte ideale dell’esistenza non certo quello in cui uno entra quando si libera della moglie e dei figli, ma quello in cui entra quando supera il legame degli interessi e degli affetti più profondi.
Gli affetti sono la grande ricchezza e la terribile prigionia della vita.
L’invito che Gesù fa è quello di superare questo orizzonte e la sua proposta fondamentale è la sua croce.
E quando Gesù invita a prendere la sua croce, non invita a prendere su di sé le mortificazioni, a compiere ascetiche punitive che sono spesso espressioni di morbosità della psiche.
Indica una scelta di vita, l’abbracciare un progetto universale il cui segno è l’amore per l’umanità, la liberazione dell’umanità da tutte le schiavitù in cui essa langue. Se la sapienza della prima lettura ci soccorre, ci fa capire che queste schiavitù non sono solo quelle che si possono misurare all’ interno del sistema produttivo.
Ci sono schiavitù più profonde, che accompagnano l’uomo in tutta la sua lunga storia e appaiono in sé insuperabili. Pensiamo alla solitudine, alla malattia, alla morte … a queste cadenze negative che ci circondano e spezzano in maniera brutale il tessuto della nostra vita.
Gesù non ha fatto il predicatore della morte come liberazione dalla vita. Tutt’altro! Ne ha sentito la negatività e l’ha presa su di sé entrandovi col suo amore e perciò vincendola.
Se dovessi dire, ad una coscienza che mi interroga, che significa essere cristiani, io risponderei: prendere la croce e cioè sfidare le sapienze costituite che sono mortali, la cultura dominante che è una struttura ideologica di consenso al potere costituito, gli interessi che attraverso la lubrificazione degli affetti mi stringono in modo troppo vincolante alla famiglia cui appartengo . Scegliere vuol dire rompere tutti questi legami… ( Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 3.)
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