XXVIII Domenica del T.O. – LA SALVEZZA NON È NEL RITORNARE AI SACERDOTI, NELL’AVER TUTTI I CRISMI, È NELLA DISPONIBILITÀ A RICONOSCERE IL DONO RICEVUTO.
Nella PRIMA LETTURA Naaman, uomo potente che di tutto può disporre tranne che della propria vita, contagiato dalla lebbra ( che porta segregazione, isolamento, che minaccia non solo il suo corpo ma la sua posizione sociale ) nella nuova condizione più che fidarsi dei riti magici dei potenti, attraverso un percorso di umiliazione, si fida di una povera schiava ebrea che lo conduce da Eliseo. Il suo orgoglio è sconfitto, e lui deve fare come i suoi servi e quella giovane schiava: semplicemente ubbidire, e affidarsi alla Parola di Dio.
Questa guarigione, che poi avverrà, viene operata attraverso tutta una rete di relazioni, persone capaci di intervenire per correggere il cammino, suggerire, indirizzare. La Parola di Dio non è soltanto nell’invito del profeta a bagnarsi nel fiume. E’ anche nel suo intervento presso il re. E’ nella fiducia piena della giovane schiava. E’ nella capacità dei servi di Naaman di insegnargli il senso dell’obbedienza e dell’umiltà. La Parola di Dio attraversa tante parole umane per arrivare a guarire un uomo.
Nella SECONDA LETTURA Paolo esorta il suo discepolo ad essere coraggioso testimone dell’annuncio cristiano, anche se ciò dovesse comportare inimicizia, e perfino il carcere. L’impedimento del carcere, però, non riuscirà a imprigionare la «parola» di Dio, non solo perché Paolo continuerà ad annunciarla anche in prigione, ma soprattutto perché nella sofferenza sarà anche più unito a Cristo, … e la sofferenza di Paolo celebra in lui la Pasqua di Gesù, per la salvezza di tutti coloro che Dio ha scelto, e tra essi anche noi!
Negli ultimi versetti un frammento di un antico inno cristiano, in cui si esalta la comunanza di vita e di destino del credente con il suo Signore, per cui soltanto il nostro rinnegamento della salvezza, da lui apportataci, potrebbe portare anche lui a rinnegarci … ma alla nostra infedeltà, Lui non potrà rispondere che con la sua misericordia, appunto perché Lui, che è la misericordia del Padre, “non può rinnegare se stesso”!!.
Nel VANGELO un monito: lasciamoci turbare dagli altri … dai diversi.
Se io incontro Dio nel mio rapporto con l’altro e con l’altro che è diverso e mi obbliga a spodestarmi, a liberarmi di me, a sentire la mia iniquità e la mia angustia, allora in quel momento io sono nel sentiero giusto per capire l’incomprensibile Dio.
Questo Dio mette all’aria le fortezze della nostra sicurezza psicologica, irride le nostre filosofie e le nostre teologie ed i nostri riti ed i nostri sacrifici. Noi vorremmo averlo imprigionato, vorremmo poterci dire che quando siamo qui raccolti per la messa, Dio è con noi. Ma non è così. … Dio è fuori, ci aspetta, diserta gli appuntamenti che gli diamo, perché ogni altro appuntamento è subordinato a questo. Non che non abbiano valore gli altri, ma quello dirimente è l’incontro con l’altro, con il diverso.
Ciascuno di noi si muove sul crinale tra la sicurezza – che nel popolo ebraico è rappresentato dalla legge – e l’avventura verso l’altro verso la novità che viene attraverso la diversità.
È il crinale che io vedo simboleggiato dai nove lebbrosi che vanno come Gesù aveva detto, ad eseguire le leggi, a presentarsi ai sacerdoti: entrano finalmente nella città della sicurezza. Erano espulsi ed attraverso l’osservanza della legge rientrano nella città. Si sono soltanto integrati, non hanno percepito la novità, perché non sono stranieri del tutto. Invece un samaritano – che oggi potrebbe essere chiamato ateo professo – non si inserisce nei meccanismi della legge per trovar la sicurezza che aveva aveva perduto in quanto espulso. Egli va verso il suo benefattore con sentimento di gratitudine.
Gesù vede in questo moto di gratitudine la novità della salvezza.
LA SALVEZZA NON È NEL RITORNARE AI SACERDOTI, NELL’AVER TUTTI I CRISMI, È NELLA DISPONIBILITÀ A RICONOSCERE IL DONO RICEVUTO…
Io penso che tutte le nostre tristezze sono dovute alla incapacità di percepire la novità, l’evento non previsto dalla legge e non sottoposto a nessuna garanzia se non a quella della coscienza.
Questo Samaritano solitario, che si sottrae al gruppo e va per gratitudine verso chi lo aveva salvato, è il simbolo della creatura che Gesù predilige perché appartiene alla grande schiera delle beatitudini. È povero di spirito, umile. è un puro di cuore, è pacifico, vive cioè in questo mondo come uno straniero… ( Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” vol. 3)
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