III DOMENICA DI PASQUA . – Nella vita siamo sempre in cammino… e diventiamo ciò verso cui andiamo.
Nella PRIMA LETTURA c’è una parola di Pietro che ci lega, in maniera immediata, a un sentimento morale che io ritengo come preliminare, necessariamente, alla nostra fede. «Dio lo ha resuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere ». . La resurrezione di Gesù, per noi, è il punto in cui si è manifestata la responsabilità di Dio.
Dio si fa responsabile della storia dell’uomo.
È la nostra certezza.
Una responsabilità che proietta le proprie scadenze, i propri adempimenti nel futuro ma che si è attuata, come una primizia, in Gesù di Nazareth.
Resuscitato da morte Egli è entrato nella gloria. La gloria non è che l’armonia la contraddizione saldata, il «delinquente» diventato signore; la vittima diventata gloriosa; il povero diventato ricco. Il capovolgimento si adempie in Gesù. ( E. Balducci )
La SECONDA LETTURA , ribadisce che possiamo chiamare Dio Padre, ma questo non basta ad avere assicurata la salvezza. Lo stesso errore lo avevano fatto i giudei che dicevano “nostro padre è Abramo ” (cf. Gv 8,39).
Chiamandolo “Padre nostro” fin d’ora siamo chiamati a vivere, con Gesù e come Gesù, da figli suoi!
Per noi non c’è un “discorso su Dio” se non a partire dalla Persona del Figlio; in Lui noi abbiamo conosciuto Dio.
Non è opportuno per noi un ragionare intorno a Dio che non parta dalla persona e dall’opera del Signore Gesù, per condurci alla conoscenza e alla comunione con Dio Padre.
… Questo Padre non fa preferenze tra uomo e uomo (diversamente da come noi facciamo abitualmente), ma guarda alla realtà delle persone, alla concretezza delle “loro opere”.
Gesù è il fine della storia, e quindi, meravigliosamente, la fine dei tempi. Oltre Lui, non si va, perché tutto è chiamato a convergere in Lui e a trovare in Lui la salvezza e la pace.
Il nostro stesso “credere in Dio” è opera del Signore Gesù. Dio Padre, infatti, lo ha risuscitato dai morti perché la sua presenza per sempre accanto al Padre sia la fonte e la garanzia della nostra fede e della nostra speranza.
Il Vangelo di oggi, ambientato nel giorno di Pasqua, racconta l’episodio dei due discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35). È una storia che inizia e finisce in cammino. C’è infatti il viaggio di andata dei discepoli che, tristi per l’epilogo della vicenda di Gesù, lasciano Gerusalemme e tornano a casa, a Emmaus, camminando per circa undici chilometri. È un viaggio che avviene di giorno, con buona parte del tragitto in discesa. E c’è il viaggio di ritorno: altri undici chilometri, ma fatti al calare della notte, con parte del cammino in salita dopo la fatica del percorso di andata e tutta la giornata. Due viaggi: uno agevole di giorno e l’altro faticoso di notte. Eppure il primo avviene nella tristezza, il secondo nella gioia. Nel primo c’è il Signore che cammina al loro fianco, ma non lo riconoscono; nel secondo non lo vedono più, ma lo sentono vicino. Nel primo sono sconfortati e senza speranza; nel secondo corrono a portare agli altri la bella notizia dell’incontro con Gesù Risorto.
I due cammini diversi di quei primi discepoli dicono a noi, discepoli di Gesù oggi, che nella vita abbiamo davanti due direzioni opposte: c’è la via di chi, come quei due all’andata, si lascia paralizzare dalle delusioni della vita e va avanti triste; e c’è la via di chi non mette al primo posto sé stesso e i suoi problemi, ma Gesù che ci visita, e i fratelli che attendono la sua visita, cioè i fratelli che attendono che noi ci prendiamo cura di loro. Ecco la svolta: smettere di orbitare attorno al proprio io, alle delusioni del passato, agli ideali non realizzati, a tante cose brutte che sono accadute nella propria vita. Tante volte noi siamo portati a orbitare, orbitare… Lasciare quello e andare avanti guardando alla realtà più grande e vera della vita: Gesù è vivo, Gesù mi ama. Questa è la realtà più grande. E io posso fare qualcosa per gli altri. È una bella realtà, positiva, solare, bella! L’inversione di marcia è questa: passare dai pensieri sul mio io alla realtà del mio Dio; passare – con un altro gioco di parole – dai “se” al “sì”. Dai “se” al “sì”. Cosa significa? “Se fosse stato Lui a liberarci, se Dio mi avesse ascoltato, se la vita fosse andata come volevo, se avessi questo e quell’altro…”, in tono di lamentela. Questo “se” non aiuta, non è fecondo, non aiuta noi né gli altri. Ecco i nostri se, simili a quelli dei due discepoli. I quali passano però al sì: “sì, il Signore è vivo, cammina con noi. Sì, ora, non domani, ci rimettiamo in cammino per annunciarlo”. “Sì, io posso fare questo perché la gente sia più felice, perché la gente migliori, per aiutare tanta gente. Sì, sì, posso”. Dal se al sì, dalla lamentela alla gioia e alla pace, perché quando noi ci lamentiamo, non siamo nella gioia; siamo in un grigio, in un grigio, quell’aria grigia della tristezza. E questo non aiuta neppure ci fa crescere bene. Dal se al sì, dalla lamentela alla gioia del servizio.
Questo cambio di passo, dall’io a Dio, dai se al sì, com’è accaduto nei discepoli? Incontrando Gesù: i due di Emmaus prima gli aprono il loro cuore; poi lo ascoltano spiegare le Scritture; quindi lo invitano a casa. Sono tre passaggi che possiamo compiere anche noi nelle nostre case: primo, aprire il cuore a Gesù, affidargli i pesi, le fatiche, le delusioni della vita, affidargli i “se”; e poi, secondo passo, ascoltare Gesù, prendere in mano il Vangelo, leggere oggi stesso questo brano, al capitolo ventiquattro del Vangelo di Luca; terzo, pregare Gesù, con le stesse parole di quei discepoli: “Signore, «resta con noi» (v. 29). Signore, resta con me. Signore, resta con tutti noi, perché abbiamo bisogno di Te per trovare la via. E senza di Te c’è la notte”.
Cari fratelli e sorelle, nella vita siamo sempre in cammino. E diventiamo ciò verso cui andiamo. Scegliamo la via di Dio, non quella dell’io; la via del sì, non quella del se. Scopriremo che non c’è imprevisto, non c’è salita, non c’è notte che non si possano affrontare con Gesù. ( Papa Francesco )
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