SS. CORPO e SANGUE di CRISTO – Carne da masticare e sangue da bere sono la condizione in cui Gesù si consegna a noi, in cui Dio si dà a noi, raggiungendoci là dove siamo e non chiedendo a noi di salire alla sua condizione divina
La parte iniziale della PRIMA LETTURA sembra voler collegare il “ricordo” alla grande “pedagogia” con la quale il Signore ha fatto crescere e ha condotto il suo popolo nel deserto, che è il simbolo e l’orizzonte di una storia dove tutto quello che siamo e abbiamo viene a noi dalla bontà di Dio e dal suo amore per noi. La seconda parte esamina la pericolosità della dimenticanza e in maniera del tutto esplicita ci rivela la forma più profonda e insidiosa di idolatria, che è l’autoidolatria. Essa può affermarsi nella sua forma più istintiva a livello individuale, e può dilatarsi in forme di autoidolatria collettiva, come l’esaltazione di una nazione, o di una ideologia, o di una razza.( G. Nicolini)..
L’espressione della SECONDA LETTURA « il calice e il pane spezzato come “comunione con il sangue e con il corpo di Cristo» riempie di significato quello che la terminologia consueta rischia di banalizzare con quel “fare la comunione” che sembra ridurre a qualcosa che “facciamo” noi. Qui invece splende tutta la bellezza del dono di Dio, dell’evento da Lui creato per donarci la comunione con il sacrificio d’amore di Gesù. E il ver.17 dilata e sviluppa l’immagine cogliendo nella comunione con il Signore la fonte e la custodia della comunione tra noi: noi, i molti, partecipando all’unico pane, siamo un solo corpo! Quella che per i padri ebrei è la comunione con l’altare sul quale si celebrano i sacrifici, diventa per noi la comunione con Gesù e con l’unico suo sacrificio d’amore di cui siamo resi partecipi. ( G. Nicolini)..
La pagina del VANGELO secondo Giovanni è tra le più scandalose di tutti i vangeli, può addirittura risultare ripugnante a chi non sta nello spazio “dentro” (éso), lo spazio dell’intimità con il Signore. […] Gesù aveva detto: “Io sono il pane vivente, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Questo annuncio appariva una pretesa intollerabile, un’affermazione irricevibile e, come tale, aveva suscitato mormorazione e discussione (cf. Gv 6,41-42). […]Perché questo linguaggio proprio nel vangelo che non ricorda l’istituzione eucaristica, ma la sostituisce con il racconto della lavanda dei piedi (cf. Gv 13,1-17)? […] Ciò che questo linguaggio duro tenta di farci comprendere è … che Dio si è fatto uomo in Gesù affinché lo cercassimo e lo trovassimo, per quanto ci è possibile, nella condizione umana. Dio ha voluto condividere con noi proprio la nostra umanità, la nostra stessa carne, perché noi potessimo realmente conoscere il suo amore, non come qualcosa da credere, ma come qualcosa che comprendiamo e sperimentiamo attraverso e nella nostra carne. Gesù è questa carne che possiamo incontrare nella nostra carne, è questo corpo che possiamo incontrare solo nella nostra corporeità. Perché noi potessimo partecipare alla vita di Dio – “diventare Dio”, come si esprimevano gli antichi padri della chiesa d’oriente – era necessario che Dio diventasse uomo e che carne e carne, corpo e corpo si incontrassero realmente.
Nella nostra povera carne, nel “corpo di miseria” (Fil 3,21) che noi siamo, proprio lì noi incontriamo Dio, perché in Gesù “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). Carne da masticare e sangue da bere sono la condizione in cui Gesù si consegna a noi, in cui Dio si dà a noi, raggiungendoci là dove siamo e non chiedendo a noi di salire alla sua condizione divina, azione per noi impossibile. Entrando in noi, la carne e il sangue di Cristo ci trasformano, per partecipazione in carne e sangue di Cristo, producendo ciò che a noi è impossibile: diventare il Figlio di Dio in Cristo stesso, l’Unigenito amato dall’amante, il Padre, con un amore infinito, lo Spirito santo. Chi mangia la carne e beve il sangue di Cristo conoscerà la resurrezione, vivrà per sempre, in una salda comunione con Cristo per la quale rimane, dimora (verbo méno) in Cristo, così come Cristo rimane, dimora in lui: corpo nel Corpo e Corpo nel corpo!
[…] Non dobbiamo isolare l’eucaristia come fosse un principio di riferimento, una realtà autosufficiente cui attribuire un potere proprio. L’eucaristia non è un secondo Gesù Cristo, non c’è un Cristo eucaristica separato dal Cristo della storia che è nato, è vissuto, è morto ed è risorto! Gesù Cristo è unico, e nell’eucaristia è totalmente presente, e se non si è capaci nella fede di cogliere questa unica soggettività, allora si cosifica l’eucaristia, la si riduce a cosa, a oggetto, attentando all’unica vita di Gesù Cristo! Ricevendo dunque l’eucaristia, , al cristiano è data la possibilità di vivere la vita come l’ha vissuta Gesù perché non vive più lui ma Cristo vive in lui (cf. Gal 2,20). ( E. Bianchi)
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OMELIA DI PAPA FRANCESCO
«Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere» (Dt 8,2). Ricordati: con questo invito di Mosè si è aperta oggi la Parola di Dio. Poco dopo Mosè ribadiva: “Non dimenticare il Signore, tuo Dio” (cfr v. 14). La Scrittura ci è stata donata per vincere la dimenticanza di Dio. Quanto è importante farne memoria quando preghiamo! Come insegna un Salmo, che dice: «Ricordo i prodigi del Signore, sì, ricordo le tue meraviglie» (77,12). Anche le meraviglie e i prodigi che il Signore ha fatto nella nostra stessa vita.
È essenziale ricordare il bene ricevuto: senza farne memoria diventiamo estranei a noi stessi, “passanti” dell’esistenza; senza memoria ci sradichiamo dal terreno che ci nutre e ci lasciamo portare via come foglie dal vento. Fare memoria invece è riannodarsi ai legami più forti, è sentirsi parte di una storia, è respirare con un popolo. La memoria non è una cosa privata, è la via che ci unisce a Dio e agli altri. Per questo nella Bibbia il ricordo del Signore va trasmesso di generazione in generazione, va raccontato di padre in figlio, come dice un bel passaggio: «Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che cosa significano queste istruzioni […] che il Signore, nostro Dio, vi ha dato?”, tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi […] – tutta la storia della schiavitù – e il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi”» (Dt 6,20-22). Tu darai la memoria a tuo figlio.
Ma c’è un problema: se la catena di trasmissione dei ricordi si interrompe? E poi, come si può ricordare quello che si è solo sentito dire, senza averne fatto esperienza? Dio sa quanto è difficile, sa quanto è fragile la nostra memoria, e per noi ha compiuto una cosa inaudita: ci ha lasciato un memoriale. Non ci ha lasciato solo delle parole, perché è facile scordare quello che si ascolta. Non ci ha lasciato solo la Scrittura, perché è facile dimenticare quello che si legge. Non ci ha lasciato solo dei segni, perché si può dimenticare anche quello che si vede. Ci ha dato un Cibo, ed è difficile dimenticare un sapore. Ci ha lasciato un Pane nel quale c’è Lui, vivo e vero, con tutto il sapore del suo amore. Ricevendolo possiamo dire: “È il Signore, si ricorda di me!”. Perciò Gesù ci ha chiesto: «Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11,24). Fate: l’Eucaristia non è un semplice ricordo, è un fatto: è la Pasqua del Signore che rivive per noi. Nella Messa la morte e la risurrezione di Gesù sono davanti a noi. Fate questo in memoria di me: riunitevi e come comunità, come popolo, come famiglia, celebrate l’Eucaristia per ricordarvi di me. Non possiamo farne a meno, è il memoriale di Dio. E guarisce la nostra memoria ferita.
Guarisce anzitutto la nostra memoria orfana. Noi viviamo un’epoca di tanta orfanezza. Guarisce la memoria orfana. Tanti hanno la memoria segnata da mancanze di affetto e da delusioni cocenti, ricevute da chi avrebbe dovuto dare amore e invece ha reso orfano il cuore. Si vorrebbe tornare indietro e cambiare il passato, ma non si può. Dio, però, può guarire queste ferite, immettendo nella nostra memoria un amore più grande: il suo. L’Eucaristia ci porta l’amore fedele del Padre, che risana la nostra orfanezza. Ci dà l’amore di Gesù, che ha trasformato un sepolcro da punto di arrivo a punto di partenza e allo stesso modo può ribaltare le nostre vite. Ci infonde l’amore dello Spirito Santo, che consola, perché non lascia mai soli, e cura le ferite.
Con l’Eucaristia il Signore guarisce anche la nostra memoria negativa, quella negatività che viene tante volte nel nostro cuore. Il Signore guarisce questa memoria negativa, che porta sempre a galla le cose che non vanno e ci lascia in testa la triste idea che non siamo buoni a nulla, che facciamo solo errori, che siamo “sbagliati”. Gesù viene a dirci che non è così. Egli è contento di farsi intimo a noi e, ogni volta che lo riceviamo, ci ricorda che siamo preziosi: siamo gli invitati attesi al suo banchetto, i commensali che desidera. E non solo perché Lui è generoso, ma perché è davvero innamorato di noi: vede e ama il bello e il buono che siamo. Il Signore sa che il male e i peccati non sono la nostra identità; sono malattie, infezioni. E viene a curarle con l’Eucaristia, che contiene gli anticorpi per la nostra memoria malata di negatività. Con Gesù possiamo immunizzarci dalla tristezza. Sempre avremo davanti agli occhi le nostre cadute, le fatiche, i problemi a casa e al lavoro, i sogni non realizzati. Ma il loro peso non ci schiaccerà perché, più in profondità, c’è Gesù che ci incoraggia col suo amore. Ecco la forza dell’Eucaristia, che ci trasforma in portatori di Dio: portatori di gioia, non di negatività. Possiamo chiederci, noi che andiamo a Messa, che cosa portiamo al mondo? Le nostre tristezze, le nostre amarezze o la gioia del Signore? Facciamo la Comunione e poi andiamo avanti a lamentarci, a criticare e a piangerci addosso? Ma questo non migliora nulla, mentre la gioia del Signore cambia la vita.
L’Eucaristia, infine, guarisce la nostra memoria chiusa. Le ferite che ci teniamo dentro non creano problemi solo a noi, ma anche agli altri. Ci rendono paurosi e sospettosi: all’inizio chiusi, alla lunga cinici e indifferenti. Ci portano a reagire nei confronti degli altri con distacco e arroganza, illudendoci che in questo modo possiamo controllare le situazioni. Ma è un inganno: solo l’amore guarisce alla radice la paura e libera dalle chiusure che imprigionano. Così fa Gesù, venendoci incontro con dolcezza, nella disarmante fragilità dell’Ostia; così fa Gesù, Pane spezzato per rompere i gusci dei nostri egoismi; così fa Gesù, che si dona per dirci che solo aprendoci ci liberiamo dai blocchi interiori, dalle paralisi del cuore. Il Signore, offrendosi a noi semplice come il pane, ci invita anche a non sprecare la vita inseguendo mille cose inutili che creano dipendenze e lasciano il vuoto dentro. L’Eucaristia spegne in noi la fame di cose e accende il desiderio di servire. Ci rialza dalla nostra comoda sedentarietà, ci ricorda che non siamo solo bocche da sfamare, ma siamo anche le sue mani per sfamare il prossimo. È urgente ora prenderci cura di chi ha fame di cibo e dignità, di chi non lavora e fatica ad andare avanti. E farlo in modo concreto, come concreto è il Pane che Gesù ci dà. Serve una vicinanza reale, servono vere e proprie catene di solidarietà. Gesù nell’Eucaristia si fa vicino a noi: non lasciamo solo chi ci sta vicino!
Cari fratelli e sorelle, continuiamo a celebrare il Memoriale che guarisce la nostra memoria – ricordiamoci: guarire la memoria, la memoria è la memoria del cuore –, questo memoriale è la Messa. È il tesoro da mettere al primo posto nella Chiesa e nella vita. E nello stesso tempo riscopriamo l’adorazione, che prosegue in noi l’opera della Messa. Ci fa bene, ci guarisce dentro. Soprattutto ora, ne abbiamo veramente bisogno.
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