XVI DOMENICA DEL T.O. – La sapienza di Dio si manifesta come pazienza che avvolge la ,storia.
La PRIMA LETTURA ci ricorda che Dio si prende cura di ogni cosa. Prendersi cura di tutte le cose, della sua intera creazione è essenza della verità del nostro Dio. Di nessuno si dimentica. Egli agisce solo per purissimo amore, si prende cura di tutte le creature e mai può essere accusato di ingiustizia. L’ingiustizia è assenza di amore. La giustizia è invece amore purissimo. Rendere giustizia è applicare la legge con amore, secondo verità, con pietà e misericordia, con grande compassione. Dio può essere giusto perché forte. Se fosse debole mai potrebbe essere giusto. Il Signore è padrone della forza.
Non è per la sua forza la regola della sua giustizia. La regola della giustizia del Signore è la sua mitezza. Dio governa l’uomo con molta indulgenza. Il Signore è indulgente, misericordioso proprio perché vuole che la pena sia l’ultimo rimedio .La vera essenza di Dio è misericordia e giustizia. La sapienza dona la regola come usare la giustizia con misericordia e la misericordia con giustizia. La sapienza fa sì che Dio sia sempre giusto e sempre misericordioso L’uomo è ad immagine di Dio. Sempre a sua immagine deve vivere. Se Dio è giusto ed indulgente anche l’uomo deve essere giusto ed indulgente .Se Dio ama sempre gli uomini, anche l’uomo, il giusto, deve amare gli uomini.
La SECONDA LETTURA sottolinea che anche in noi e per noi la preghiera vera, al di là di tutte le nostre pretese di chiarezza, di consapevolezza, di attenzione, ma anche di purezza, di sapienza…è l’intercessione dello Spirito “con gemiti inesprimibili”. Non credo si debba qui pensare a eventi e modi speciali della preghiera come quel “parlare in lingue” di cui si dice al cap.14 della Prima Lettera ai Corinti, preghiera che lo stesso Paolo considera con attenta prudenza… La nostra preghiera è ben più grande di noi! E’ quindi preghiera che solo Dio intende, perché solo Lui sa “che cosa desidera lo Spirito”. Infatti (lo Spirito) intercede per i santi (cioè per noi) secondo i disegni di Dio”(ver.27). Per questo la nostra preghiera è sempre sostanzialmente “ascolto”. ( G. Nicolini )
Il VANGELO di oggi ci presenta la concorrenza spietata tra il buon grano e la zizzania. Grano e zizzania tendono ambedue a vivere e la zizzania tenta di soffocare il buon grano. L’esistenza cristiana non va intesa come un semplice cammino educativo che procede da luce in luce sempre maggiore; è conflittuale, è una lotta incessante tra luce e tenebre, tra bene e male, una lotta dura e faticosa che mette a prova la nostra fede, speranza e carità. La parabola, poi, ci insegna che non sta a noi giudicare, bensì accettare tale situazione pazientando, resistendo, sopportando. Non c’è tregua, non c’è armistizio tra luce e tenebre: si affrontano notte e giorno, dal mattino alla sera e dalla sera alla mattina. (+ Carlo Maria Martini )
In termini più comprensibili: ogni qual volta noi vediamo nella nostra esperienza realtà che sono segno dell’assenza di Dio, noi non le dobbiamo scansare, ma dobbiamo proprio interrogare Dio perché non è presente, perché ci abbandona.
Ed è lo Spirito di Dio, allora, che restaura in noi la fede, ma non una fede dicibile, traducibile in concetti, in articoli di giornali, ma una fede che ama il silenzio, che adora un Dio che si manifesta attraverso le forme di una assenza che rimandano alla sua infinita pazienza. …. La pazienza nasce anche dalla comprensione dei processi umani. Ebbene su di noi c’è una pazienza infinita perché è infinita sapienza. Credere significa anche far credito a questa sapienza di Dio.
Certo, ci sono momenti negativi nella storia collettiva, il cui svolgimento con ogni probabilità sorpassa la mia parabola esistenziale: momenti che io non vedrò superati perché ci morrò dentro. La pazienza di Dio si libra sulla storia degli uomini connettendo al suo disegno (che noi non conosciamo ma che è disegno di amore) anche quei momenti negativi che per me rimangono irrimediabilmente tali. La sapienza di Dio si manifesta come pazienza che avvolge la ,storia.
Questa pazienza di Dio, diventa, nell’uomo di fede, mitezza, la grande mitezza di cui il Signore ci ha dato testimonianza.
Il Dio che amo non è il Dio che fa giustizia secondo le mie pretese. La sua giustizia sorpassa il diritto e il torto e avvolge tutto in una conciliazione che ci porta oltre i nostri limiti di creature. … Il mio vero modo di onorare Dio è di combattere per l’uomo e di esser mite con l’uomo. Questa mitezza non è dunque ignavia né inerzia interiore, perché è una mitezza dialettica, drammatica, che rinasce costantemente. ( Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 1)
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