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XVIII DOMENICA del T.O. –  Gesù celebrò il Suo banchetto in un prato con la turba seduta sull’erba. Noi vorremmo poterlo celebrare nelle officine, nelle piazze, nelle famiglie, nelle carceri, dovunque l’uomo ama e soffre…

La PRIMA LETTURA , innanzitutto,  mette  in evidenza la premessa fondamentale della Rivelazione sull’uomo: la povertà. Il profeta si rivolge agli uomini come “voi tutti assetati” e come “voi che non avete denaro”.

In secondo luogo, il carattere gratuito del dono di Dio: “comprate senza denaro, senza pagare”.

 In terzo luogo, Il dono di Dio è la sua Parola: “Ascoltatemi e mangerete … ascoltate e vivrete”.  

Con questa umanità povera e assetata Dio stabilisce una “alleanza eterna”, sul modello di quella stretta con il re Davide, tutta orientata al Messia, a Colui che deve venire, “testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni”.

 La speranza è dunque per tutti, anche per coloro che Israele non conosceva;  essi stessi non conoscevano il popolo eletto. Nessuno, né Israele, né le Genti sapevano, prevedevano e quindi potevano meritare: tutti sono sorpresi dall’iniziativa d’amore di Dio per l’umanità intera. ( Giovanni Nicolini e Francesco Scimè – Famiglie della Visitazione)

 

La SECONDA LETTURA ci ricorda che nessuno “ci separerà dall’amore di Cristo”(ver.35). Anche considerando le difficoltà e le prove della nostra vita, scopriamo con crescente evidenza che ormai tutto quello che ci accade non è estraneo, ma anzi è interno al nostro rapporto con Gesù. “La tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada”…tutto è “celebrazione”, nella nostra umile vita, della Persona e dell’opera di Gesù: “Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno…”come dice il Salmo 43(44),23. La nostra vita è la sua stessa vita in noi. Per questo “noi siamo più che vincitori” Nulla “potrà mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore”(ver.39).  ( G. Nicolini )

 

Questo pasto comunitario, descritto nel VANGELO,  nato dal miracolo di Gesù .. è una profezia eucaristica.

                L’Eucaristia non è un evento sacrale scisso dalle dinamiche stesse con cui l’umanità cresce facendosi se stessa, è un sacramento, cioè un che ha rapporti e col futuro ultimo e con le condizioni presenti. Quindi le nostre Eucaristie sono anticipazioni del futuro di Dio.   

Quando noi ci raccog1iamo per ascoltare, come fece la turba, e poi per cibarci, insieme, noi vogliamo anticipare nell’oggi il domani di Dio, quindi vogliamo ravvivare la nostra speranza, spezzare le stanche chiusure su noi stessi, i nostri individualismi, le nostre segregazioni individuali di classe, di popolo, in una specie di apertura, piena di respiro, sull’orizzonte di Dio.   

 La speranza apre le ali quando noi ascoltiamo e spezziamo il Pane Eucaristico.

E questa cena, su cui batte la luce del futuro ultimo di Dio, è anche un convivio i cui termini, i cui contenuti, i cui limiti, le cui ombre derivano dal presente, che non è affatto rassomigliante al futuro di Dio …        

     Qui, noi siamo una umanità divisa, omicida, disuguale, rapinatrice (che senso ha celebrare questo rito?). .. La risposta è semplice.    Noi viviamo questo conflitto in condizioni di peccato. Il peccato consiste nella disparità clamorosa, tangibile tra ciò che facciamo in fraternità e ciò che siamo realmente nella nostra vita feriale.           

       Allora, celebrare questo convivio vuol dire anche prendere coscienza del nostro stato d’illegittimità in vista di un progetto di cambiamento che elimini questa contraddizione, che ci permetta di compiere il rito eucaristico in autentica pace e amore.   Ecco perché il banchetto eucaristico provoca nel nostro interno non solo la speranza che apre le ali per volare verso il futuro, ma la volontà morale di cambiare il mondo, di far sì che il mondo sia davvero un’assemblea nella quale chiunque possa mangiare e bere, chiunque possa liberamente cantare, chiunque possa liberamente esprimere se stesso in una concordia discorde in cui si rifletta, nel finito, l’infinito di Dio.         

Questa coniugazione delicata, ma insieme vigorosa, tra le ragioni della speranza e le ragioni della lotta è il segreto del mistero che stiamo celebrando ed è qui che la vita cristiana ha le sue pulsazioni creative, fecondanti.

Ecco perché spesso la cornice del rito con le sue leggi rigorose, con la sua logica di reiterazioni immutabili spesso quasi ci fa soffrire.  

 Gesù celebrò il Suo banchetto in un prato con la turba seduta sull’erba. Noi vorremmo poterlo celebrare nelle officine, nelle piazze, nelle famiglie, nelle carceri, dovunque l’uomo ama e soffre. Perché solo allora le ragioni del camminare, dell’andare avanti si dischiudono all’interno delle effettive aggregazioni umane, dove invece si moltiplicano le ragioni della disperazione e della chiusura su di sé.   Celebrare i nostri riti al lato dell’uomo, fuori degli spazi in cui si svolge normalmente la vita dell’uomo, è, certo (o, meglio, è, forse) una necessità, ma è un’amara necessità.   ( Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 1)

 

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