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NATALE del SIGNORE – Il Signore nel Natale è venuto con noi e con noi rimane, non ci abbandona nella nostra povertà. Il Signore è con i più poveri e dona loro salvezza, vincendo l’ingiustizia della morte.

La liturgia delle tre Messe di Natale – quella di mezzanotte che ho celebrato qui in Duomo, quel1a del1’aurora che ho celebrato poco fa con i detenuti del Carcere di Opera, quel1a del giorno che sto celebrando con voi, carissimi fedeli – , tenta di esprimere, attraverso le diverse letture bibliche e le orazioni,  qualcosa del mistero di Dio e del1’uomo a partire dal mistero fontale, origine e sorgente di tutti i misteri storici, che è il mistero del1’incarnazione del Fig1io di Dio.

Più in generale si potrebbe affermare che ogni mistero di salvezza, ogni evento cristiano, persino ogni autentico evento religioso, contiene questa duplice valenza: è insieme occasione di conoscenza di Die e di conoscenza del1’uomo. Ci permette cioè di capire un po’ meglio chi è Dio e chi siamo noi.

Un brano evangelico che ci sconcerta

Considerato dal punto di vista che ho espresso, il brano del vangelo proposto dalla liturgia per la Messa del giorno di Natale, ci  delude e ci appare povero di significati, almeno nella sua parte centrale.

Infatti i personaggi principali non pronunciano nessuna parola, sono

muti. Il testo racconta di Giuseppe che salì alla città di Davide chiamata Betlemme, per il censimento, ma non dice nulla dei suoi sentimenti e

dei suoi umori. Ci parla di Maria sua sposa, incinta, che venne con lui a Betlemme e lì, silenziosamente, diede alia luce il suo figlio primogenito fuori dell’albergo, in una povera greppia di animali. Nessuna parola pronuncia Maria e, ovviamente, nessuna parola pronuncia il neonato.

Si tratta dunque di un racconto che presenta una serie di umili gesti scanditi nel silenzio.

Sullo sfondo stanno i grandi gesti del potere politico: Cesare Augusto vuole il censimento di tutta la terra, per sottolineare il potere romano che si estendeva anche su tutte le più lontane provincie. L’evangelista non ci offre alcuna parola di commento.

Siamo di fronte a una pagina un po’  inedita rispetto a tanti altri brani del vangelo, ricchi di parole e di gesti di Gesù pieni di simboli significativi, di profonde affermazioni religiose esplicite su Die e suI1’uomo. Siamo di fronte a un’estrema misura, a una inabituale povertà di mezzi espressivi.

C’è però un’eccezione verso la conclusione del brano: quella di un angelo dei Signore che annuncia ai pastori, che di per sé sono fuori della scena centrale, una grande gioia: “Vi e nato un Salvatore”. E poi una moltitudine dell’esercito celeste loda Dio, proclama la sua gloria nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama.

 

Andare oltra le apparenze

Davvero straordinario il contrasto tra la povertà della scena centrale e la magnificenza della scena che fa da contorno. Proviamo a lasciarci penetrare da questo contrasto, senza pretendere di risolverlo in maniera facile, perché i misteri di Dio vanno contemplati e adorati lungamente in silenzio per essere da noi compresi.

Vi offro comunque una prima interpretazione. Anzitutto il Dio cristiano è una realtà difficile da capire e da descrivere. Non si può dedurre da principi generali, quasi geometrici, non e un Dio soltanto “metafisico”, al quale si arriva con alcuni principi di ragione. È un Dio sorprendente, che occorre accettare così com’è, per scoprire poi la ricchezza e la sovrabbondanza di luce che egli rivela.

Una seconda riflessione interpretativa. Il Dio cristiano sembra qualificato da alcuni paradossi, da verità apparentemente al limite del buon senso e anche al di là del buon senso comune. Potrebbero essere espressi così: di fronte a Dio il piccolo appare spesso più importante del grande, il povero più del ricco, il disprezzato più di colui che è importante, il singolo più della moltitudine; inoltre, la povertà  non è il male peggiore, dal momento che Die l’ha permessa per il suo Figlio; e ancora, ciò che sulla terra è solitudine e umiliazione, può essere grande e glorioso in cielo.

Ci accorgiamo di entrare a poco a poco in una “teologia e antropologia  cristiana”, in un nuovo modo di capire Dio e l’uomo.

Deriva allora da qui un’indicazione generale: abituiamoci ad andare oltre le apparenze, al di là di quanto porta il sigillo della moda, del successo, del plauso della folla, dell’audience. In questa scena del Natale, attorno alla grotta tutto è silenzio, tutto è nascosto , come segreto.

Abituiamoci anche a guardare Dio come a Colui che ordinariamente è dalla parte del più piccolo e del più povero; come qualcuno la cui onnipotenza si mostra anzitutto nella bontà e nella tenerezza, nell’affabilità e nella vicinanza ai più semplici e ai più umili.

Cominciamo così a comprendere perché il Dio cristiano ritiene importanti noi che siamo fragili e poveri; comprendiamo che gli siamo molto cari non perché molti bravi, ma perché molto deboli. Tutto quanto appare nella scena evangelica ha un significato unico: Dio ci ama gratuitamente, ci ama prima che noi lo amiamo ed è capace di sacrificarsi per il nostro bene.

Cito in proposito una pagina del nostro Padre Sant’Ambrogio che aveva il dono di scrutare sempre nelle Scritture qualcosa del mistero di Dio e dell’uomo. Commentando il testo di Luca, diceva: “È affinché tu potessi diventare un uomo perfetto che Gesù volle essere un bambinello. Egli fu stretto in fasce affinché tu fossi sciolto dai lacci della morte. Fu nella stalla per porre te sugli altari. Venne in terra affinché tu raggiungessi le stelle, e non trovò  posto in quell‘albergo affinché tu avessi nei cieli molte dimore. Egli da ricco che era si è fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi della sua povertà. Questa indigenza di Dio è dunque la mia ricchezza e la debolezza del Signore la mia forza. Ha preferito per sé le privazioni per donare in abbondanza a tutti. Il  pianto della sua infanzia in vagiti è un lavacro per me, quelle lacrime hanno lavato i miei peccati”. E conclude pregando: “Signore Gesù, sono più debitore ai tuoi oltraggi per la mia redenzione che non al1a tua potenza per la mia creazione. Sarebbe infatti stato inutile per noi nascere, se non ci avesse giovato venire redenti”.

  1. Ambrogio ci insegna che, penetrando nei testi biblici con la meditazione e la contemplazione, possiamo scorgere a poco a poco nelle pagine della Scrittura qualcosa di molto bello e consolante sul mistero di Dio e sul mistero dell’uomo; qualcosa per cui sentiamo di conoscere un po’ più il nostro Dio e un po’ più noi stessi.

 

Il dono del Natale

Siamo invitati quindi a prendere coscienza di non essere soli e abbandonati nel cammino della vita, di poter guardare in faccia senza eccessivo terrore e affanno gli eventi dolorosi di questi mesi e quelli che forse ci attendono. Il Signore nel Natale è venuto con noi e con noi rimane, non ci abbandona nella nostra povertà. Il Signore è con i più poveri e dona loro salvezza, vincendo l’ingiustizia della morte.

Il dono proprio del Natale, carissimi fedeli, dono che auguro a voi di tutto cuore, è quello della gioia e della pace. Non una gioia e una pace superficiali, effimere, ma la gioia e la pace profonda nel cuore, la gioia e la pace di Dio, che non ci impediscono di partecipare e di sentire nostri tutti i dolori e le sofferenze dell’umanità, a cominciare dalle sofferenze d1 Gerusalemme e di Betlemme.

Questa gioia e questa pace che Gesù mette dentro di noi, possano entrare nelle nostre famiglie, nella Chiesa, nella città e nella società per aprirci a una più grande speranza.

( UN MODO NUOVO DI CAPIRE DIO E L’UOMO Omelia del Cardinale Arcivescovo nella Messa del giorno di Natale Duomo, 25 dicembre 2001)

 

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