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II Domenica del T.O. – Gesù rimane nel Padre … Il rimanere designa la maturità del rapporto, della sequela, del discepolato.

La PRIMA LETTURA ,ci presenta la chiamata di Samuele , chiamata che rappresenta continuità e  contrapposizione con il sacerdozio rappresentato da Eli e dai suoi due figli. Con l’affievolirsi della parola di Dio non vi è progressione, al contrario tutto si appesantisce; questa situazione è simboleggiata in Eli anziano e grasso che non riesce più a correggere i suoi figli. … Essa si ravviva tramite Samuele. Egli è evento, figlio di un miracolo, figlio di una sterile, dono di Dio. Alla radice sta la preghiera fervida e fiduciosa della madre, Anna.

Samuele ascolta il Signore tramite il suo rapporto di obbedienza con Eli e solo dopo che questi lo ha istruito comprende la voce del Signore.. La chiamata di Samuele è quindi il prototipo di ogni chiamata. 

La SECONDA LETTURA , ci invita a riflettere sulla meravigliosa centralità del mistero del “corpo”. In alternativa radicale ad ogni spiritualismo e al rigido dualismo del pensiero occidentale tra corpo e anima, ecco l’affermazione del ver.13: “il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo.”. … E, al ver.14, il fine e il culmine della realtà del corpo: “Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà  anche noi con la sua potenza”. Il corpo è dunque l’identificazione più profonda di ogni persona! Da quando “il Verbo divenne carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Giovanni 1,14), in ogni “carne”, cioè in ogni persona, chiunque sia, è presente in modo essenziale la persona del Figlio di Dio.   E il corpo “è tempio dello Spirito Santo”, “sede” della nostra comunione con il Signore. Questo “tempio” che è il nostro corpo, Dio l’ha comprato a caro prezzo: con la Croce di Gesù. Dunque, il corpo è il “luogo” dove noi glorifichiamo Dio! Sono cose troppo grandi per noi! In questo ci sono di grande aiuto le persone care della nostra vita, e appunto i “poveri”, che sono segno sublime della “povertà” di Dio nella Persona e nella Pasqua di Gesù.

 

Il BRANO EVANGELICO si apre con Giovanni che “fissa lo sguardo” (1,36) su Gesù e dice: “Ecco l’Agnello di Dio” e si chiude con Gesù che “fissando lo sguardo” (1,42) su Simon Pietro gli dice: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni, sarai chiamato Cefa – che significa Pietro”. Si tratta, in entrambi i casi, di uno sguardo intenso, un vedere in profondità, un discernere l’identità di una persona. La vocazione non è solo una chiamata, ma anche uno sguardo. Anche lo sguardo, come la voce, crea un ponte, è comunicazione, è passaggio. Vi è una dolce violenza nello sguardo di Gesù: la dolce violenza dell’amore. Quella a cui si sottrarrà l’uomo ricco quando Gesù, fissato lo sguardo su di lui lo amò (Mc 10,21); quella che indurrà Pietro al pianto, quando Gesù, voltatosi, fissò lo sguardo su di lui che aveva appena negato per la terza volta di conoscerlo (Lc 22,61); quella che esprimerà l’esigenza di un affidamento che assomiglia a un perdersi quando, fissato il suo sguardo sui suoi discepoli e rispondendo alla loro domanda su chi può salvarsi, egli dirà: “impossibile agli uomini, ma non a Dio” (Mc 10,27). Lo sguardo di Gesù non si limita a constatare, ma riplasma le vite facendo di pescatori di pesci dei pescatori di uomini (Mc 1,17): potenza dello sguardo che ama e del lasciarsi vedere e amare. Potenza dell’amore che si manifesta nello sguardo. La domanda di Gesù : “Che cercate?” rivolta ai due ancora anonimi seguaci.. non è banale: è suggestione a verificare che cosa muove, in profondità, la propria ricerca. A questa domanda i due discepoli rispondono, a loro volta, con una domanda: “Dove dimori?” (1,38). “Dove abiti?”, …? Dove trovi saldezza e stabilità? Gesù rimane nel Padre, nella sua parola, nel suo amore. E i discepoli sono chiamati a percorrere lo stesso cammino: rimanere nella parola e nell’amore del Figlio per dimorare con Dio e in Dio. Il rimanere designa la maturità del rapporto, della sequela, del discepolato. E a questa maturità si accede mediante la fede, com’è discretamente indicato dalla frase: “Venite e vedrete”. (Tratto dal commento al Vangelo della II Domenica del T.O. di Luciano Manicardi – Bose).

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