XXXIII Domenica del T.O. – Il tempo non è un continuo omogeneo che esclude ogni attesa, un eterno presente in cui tutto può avvenire tranne la venuta gloriosa del Signore Gesù
Avvicinandosi la fine dell’anno liturgico, la chiesa propone alla nostra meditazione l’ultima parte del grande discorso escatologico di Gesù (cf. Mc 13).
Prima di andare verso la sua passione, morte e resurrezione (cf. Mc 14-16), Gesù rivolge ai discepoli un parola autorevole sulla fine dei tempi, istruendoli sull’evento che ricapitolerà tutta la storia e le darà un senso pieno: la parusia, cioè la venuta nella gloria del Figlio dell’uomo.
Servendosi di alcuni versetti tratti dai libri profetici, Gesù afferma che “in quei giorni il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, gli astri cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”.
Egli non vuole spaventare coloro che lo ascoltano, ma fa uso del linguaggio apocalittico, proprio della tradizione ebraica, per esprimere una realtà fondamentale: questo mondo e questa creazione vanno verso una fine, verso quel “Giorno del Signore” già invocato dai credenti di Israele, giorno di salvezza e di giudizio. E ciò avviene per un preciso disegno del Dio che è Signore della storia e del tempo, il quale desidera instaurare il suo Regno di pace e di giustizia, dando così inizio ai cieli nuovi e alla terra nuova da lui preparati (cf. Is 65,17; 2Pt 3,13; Ap 21,1).
Tutto questo coinciderà con la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, il Signore Gesù Cristo:“Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (cf. Dn 7,13-14).
Spesso i cristiani leggono il tempo in maniera mondana, come un continuo omogeneo che esclude ogni attesa, un eterno presente in cui tutto può avvenire tranne la venuta gloriosa del Signore Gesù.
Di fronte a questo atteggiamento rassegnato e fatalistico occorre testimoniare che la parusia del Signore fa parte integrante del mistero cristiano, perché egli ne ha parlato con chiarezza.
Sì, il Figlio dell’uomo, cioè Gesù che è già venuto nella fragile carne umana, nato da Maria e morto in croce, Risorto e Vivente, verrà nella gloria, come egli stesso ha dichiarato con un’autorevolezza frutto della sua assiduità con Dio: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
Tutta la creazione geme e soffre nelle doglie del parto aspettando la sua trasfigurazione (cf. Rm 8,19-22), e la venuta finale del Signore esaudirà in pienezza anche questa supplica, di cui i cristiani si fanno voce quando invocano: “Vieni, Signore Gesù! Maranà tha!” (Ap 22,17.20; 1Cor 16,22)…
Davvero la venuta del Signore non nega la storia, ma vuole trasfigurare il nostro mondo.
Si spiega in questo modo la quotidianità dell’immagine utilizzata da Gesù per ammonire i discepoli: “Dal fico imparate la parabola: quando il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il Figlio dell’uomo è vicino, alle porte”.
L’annuncio della venuta del Signore non aliena il credente dall’oggi, anzi gli chiede la capacità di aderire al presente, di amare la terra in cui vive.
Cercare le cose dell’alto restando fedeli alla terra: così si declina la vigilanza, quell’atteggiamento di consapevole attesa della venuta del Signore richiesto con insistenza da Gesù a conclusione del suo discorso (cf. Mc 13,33-37).
Vigilanza motivata anche dall’umile ammissione dello stesso Gesù: “Quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.
Il Figlio dell’uomo verrà in un’ora che è nascosta in Dio, dunque occorre essere sempre pronti. Gesù ci ha infatti avvertiti: “Se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate il Figlio dell’uomo viene” (Mt 24,43-44).
Insomma, non è il “quando” che conta, bensì la fiduciosa certezza di un futuro orientato dalla promessa del Signore: “Io vengo presto!” (Ap 22,20)…
I cristiani sono “coloro che amano e attendono la manifestazione gloriosa del Signore Gesù Cristo”(cf. 1Cor 1,7; 2Cor 4,8) e affrettano con la loro attesa perseverante tale evento (cf. 2Pt 3,12). Questo è il loro tratto specifico nella storia e nella compagnia degli uomini. Ecco perché un grande padre della chiesa, Basilio, ha scritto con profonda intelligenza spirituale: “Che cosa è proprio del cristiano? Vigilare ogni giorno e ogni ora, sapendo che nell’ora che non pensiamo il Signore viene”.
( Enzo Bianchi )
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