II Domenica di Avvento: il deserto luogo di rinascita
Il deserto, è luogo in cui è possibile semplificare la propria vita, passando attraverso il vaglio della solitudine; una solitudine che però non è fine a se stessa, ma è condizione a cui Dio ci conduce perché possiamo ascoltare meglio la sua voce che sempre parla al nostro cuore (cf. Os 2,16). ( E. Bianchi )
Il deserto è il luogo privilegiato dell’incontro: nel deserto Gesù è tentato; nel deserto lo sposo va a recuperare la sua sposa che si era persa … la ripulisce …e la fa risplendere … nel deserto ci si può perdere e morire … ma ci si può fortificare …
“ non si fugge nel deserto …il deserto è luogo di raccoglimento per ritrovare le misure totali per ritornare alla città “ ( E. Balducci ) … nel deserto non veniamo mai lasciati soli…
[ Il deserto ] è anzitutto un luogo, e un luogo che nell’ ebraico biblico ha diversi nomi: caravah, luogo arido e incolto, che designa la zona che si estende dal Mar Morto fino al Golfo di Aqaba; chorbah, designazione più psicologica che geografica che indica il luogo desolato, devastato, abitato da rovine dimenticate; jeshimon, luogo selvaggio e di solitudine, senza piste, senz’acqua; ma soprattutto midbar, luogo disabitato, landa inospitale abitata da animali selvaggi, dove non crescono se non arbusti, rovi e cardi.
Il deserto biblico non è quasi mai il deserto di sabbia, ma è frutto dell’erosione del vento, dell’ azione dell’ acqua dovuta alle piogge rare ma violente, ed è caratterizzato da brusche escursioni termiche fra il giorno e la notte.
Refrattario alla presenza umana e ostile alla vita (Numeri 20,5), il deserto, questo luogo di morte, rappresenta nella Bibbia la necessaria pedagogia del credente, l’iniziazione attraverso cui la massa di schiavi usciti dall’Egitto diviene il popolo di Dio. È in sostanza luogo di rinascita. …
Il deserto è un’educazione alla conoscenza di sé …. tempo intermedio: non ci si installa nel deserto, lo si traversa …. tempo che può essere vissuto solo imparando la pazienza, l’attesa, la perseveranza, accettando il caro prezzo della speranza. E, forse, l’immensità del tempo del deserto è già esperienza e pregustazione di eternità! ….
Ma il deserto è anche cammino: nel deserto occorre avanzare, non è consentito «disertare», ma la tentazione è la regressione, la paura che spinge a tornare indietro, a preferire la sicurezza della schiavitù egiziana al rischio dell’avventura della libertà. Una libertà che non è situata al termine del cammino, ma che si vive nel cammino.
Ma per compiere questo cammino occorre essere leggeri, con pochi bagagli: il deserto insegna l’essenzialità, è apprendistato di sottrazione e di spoliazione. Il deserto è magistero di fede: esso aguzza lo sguardo interiore e fa dell’uomo un vigilante, un uomo dall’ occhio penetrante. L’uomo del deserto può così riconoscere la presenza di Dio e denunciare l’idolatria.
Giovanni Battista, uomo del deserto per eccellenza, mostra che in lui tutto è essenziale: egli è voce che grida chiedendo conversione, è mano che indica il Messia, è occhio che scruta e discerne il peccato, è corpo scolpito dal deserto, è esistenza che si fa cammino per il Signore («nel deserto preparate la via del Signore!», Isaia 40,3).
Il suo cibo è parco, il suo abito lo dichiara profeta, egli stesso diminuisce di fronte a colui che viene dopo di lui: ha imparato fino in fondo l’economia di diminuzione del deserto. Ma ha vissuto anche il deserto come luogo di incontro, di amicizia, di amore: egli è l’amico dello sposo che sta accanto allo sposo e gioisce quando ne sente la voce.
Sì, è a questa ambivalenza che ci pone di fronte il deserto biblico, e così esso diviene cifra dell’ ambivalenza della vita umana, dell’esperienza quotidiana del credente, della stessa contraddittoria esperienza di Dio. Forse ha ragione Henri le Saux quando scrive che «Dio non è nel deserto. È il deserto che è il mistero stesso di Dio».
Sull’esempio di Giovanni il cristiano è chiamato a preparare ogni giorno una strada nelle sabbie del proprio cuore, abbassando i monti del proprio orgoglio e colmando i burroni della propria disperazione… E questa dura lotta ha in fondo un unico scopo: giungere a comprendere che il desiderio profondo di Dio è la salvezza di tutti gli uomini, quell’evento che si compirà pienamente con la Venuta del Signore alla fine della storia: “ogni carne vedrà la salvezza di Dio!”.
Per noi che ancora oggi siamo in attesa del Veniente, Giovanni è il nuovo Elia (cf. Ml 3,23-24; Lc 1,17), è colui che apre e annuncia la salvezza che sta per essere compiuta dal Figlio dell’uomo.
Sì, Giovanni è stato il precursore di Cristo nella storia e lo sarà fino alla fine dei tempi, come aveva capito con grande intelligenza un antico padre della chiesa che scriveva: “il mistero di Giovanni si compirà fino alla Venuta nella gloria del Signore Gesù, perché lo spirito di Giovanni precede chiunque crede in Cristo, e la sua forza conduce gli uomini ad appianare le asperità dei loro cuori, a raddrizzare i sentieri delle loro vite”, richiede di essere “pronti” ad accogliere la venuta del Signore. Ma noi, noi cristiani, siamo pronti e veramente in attesa? (E. Bianchi)
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