IV Domenica di Pasqua: Dio-Pastore: un dramma, " un'esistenza" a lottare per il suo gregge, a rischiare per lui.
Quanto è drammatico questo tema del pastore anche nellʼAntico Testamento!
Vita dura quella del pastore, vita dura quella delle pecore: il caldo, la sete, la minaccia di non trovare lʼacqua al momento giusto, le notti terribili, lʼurlo delle belve, la possibilità estrema che il pastore debba giocare lʼesistenza per salvarsi e per salvare il suo gregge. La lotta corpo a corpo con i nemici, con i lupi, con le belve: questʼombra percorre tutta la rivelazione e i salmi la indicano con un appellativo che non è per nulla attenuante: il leoncello in agguato (cfr. Sal 17,12; 104,21).
Ecco lʼaltro aspetto di Dio pastore: un dramma, unʼesistenza impegnata a lottare per il suo gregge e a rischiare per lui.
Dio sa che il suo gregge è consegnato alla morte non per scelta sua a causa del peccato, e perciò è deciso a lottare per ristabilire le cose come avrebbero dovuto essere, si impegna, rischia, lotta in una contraddizione continua anche lui, anche Dio, il pastore di Israele. E questa contraddizione poi esplode e si manifesta in Cristo: la sua vita, la sua morte.
E se queste righe del Vangelo di oggi, una per una, ci commentano il dramma, in realtà tutto il racconto evangelico presenta questo dramma, che Cristo percepisce fin dal principio.
Comincia già nella prima parte delle narrazioni evangeliche a porsi come il pastore che sente le sue viscere appassionatamente commosse per questo gregge senza pastore (cfr. Mt 9,36; Me 6,34), anzi, per questo gregge che ha per pastore la morte (cfr. Sai 49,15), che è tutto circondato dalle belve che tentano di aggredirlo e di disperderlo.
Cristo sente drammaticamente il suo essere in mezzo a loro come lʼunico e sa che nella passione si verificherà che, colpito il pastore, le pecore si disperderanno (cfr. Mt 26,31).
Dovrà risorgere per potere nuovamente riunire il gregge; se non risorgerà, nonostante tutti gli insegnamenti già dati nella sua vita, il gregge non si riunirà più. (G. Dossetti, Omelie del tempo di Pasqua, 191-192, Ed. Paoline)
L’ esercizio pastorale avviene nella relazione del Pastore con l’intero gregge e con ciascuna delle pecore.
Dovrebbero ricordarlo i pastori della chiesa: se infatti il loro ministero non è vissuto come la relazione quotidiana di chi sta «in mezzo» (Lc 22,27) alla comunità, essi finiscono per diventare dei funzionari…
Purtroppo ciò accade sempre di più nella chiesa, e così i credenti, le pecore, si sentono sempre di più organizzati in gregge, impegnati in svariati servizi, trattati come «militanti», ma soffrono in realtà di mancanza di rapporto e di comunicazione con il pastore.
Ogni relazione autentica, invece, si nutre innanzitutto di presenza, poi di ascolto, comunicazione, amore, cura e dedizione, fino al dono della vita.
Sono questi gli atteggiamenti con cui va vissuta la pastorale, se non si vuole che essa scada a mera burocrazia, a un impegno da funzionari.
Se il pastore ha con le pecore la relazione vissuta e insegnata dal «Pastore grande delle pecore» (Eb 13,20), allora egli sarà anche capace di aprire loro il rapporto con Dio, colui che lo ha voluto come pastore a immagine di Gesù….
Ecco in fondo a cosa servono i pastori nella chiesa, i vescovi, i presbiteri: ad aiutarci ad essere consapevoli che noi siamo custoditi nella mano di Gesù Cristo, il quale ci vuole collocare nella mano di Dio, da cui niente e nessuno ci può strappare. ( Dal commento al vangelo di Enzo Bianchi )
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