XIII Domenica del T.O. – Omelia del Vescovo Mons. Vincenzo Manzella – Basilica Cattedrale Cefalù, 30 Giugno 2013.
Sotto lo sguardo amorevole del Cristo Pantocratore, icona dell’Anno della fede, celebriamo la XIII Domenica per annum.
La Parola di Dio ci fa riflettere e ci interroga sul reale significato della vocazione.
C’è una relazione significativa tra la prima lettura e la pagina del Vangelo: si tratta di due scene parallele ma anche differenti.
La prima descrive la vocazione di Eliseo, discepolo ed erede del profeta Elia; mentre la pagina del Vangelo di Luca, presenta tre adesioni di vocazioni che spiegano quali debbano essere le disposizioni di coloro che intendono seguire Gesù.
A Eliseo, infatti, è consentito un arco di tempo prima di mettersi alla sequela di Elia, il tempo di andare a baciare il Padre e la Madre e di concedersi un banchetto di addio con i suoi amici, quasi un distacco graduale e progressivo.
Nel racconto Evangelico, invece, è richiesta una scelta pronta, radicale e totale.
Quando non è più un uomo che chiama, ma Dio in persona, non si può indugiare e voltarsi indietro, neppure per salutare quelli di casa o seppellire il proprio padre.
La chiamata di Gesù è più autorevole e più urgente di quella di Elia, proprio perchè Egli è “di più di Elia”.
In tutti gli episodi di sequela riportati dai Vangeli c’è sempre una costante di prontezza e di distacco.
Gesù a volte chiede cose impensate, ma quel che più stupisce è che ottiene ciò che chiede.
È la storia di ogni chiamata, è la storia di Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni: “venite vi farò pescatori di uomini, e quelli lasciate le reti e il padre lo seguirono” (cfr. Mc 1,16ss)
Anche oggi, in un mondo che sembra avere resa assurda quella sua richiesta, Gesù continua a far sentire il suo “vieni e seguimi”, e ci sono giovani, ragazzi e ragazze che lasciano la famiglia, i loro affetti, le loro case, i loro sogni e si mettono dietro a lui per essere suoi discepoli.
La vocazione cristiana è un taglio decisivo, spesso anche doloroso, con abitudini, compromessi.
È necessario il distacco dalle cose e dagli appoggi umani e materiali: “Il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il Capo (Lc 9, 55) .
Può risultare anche facile in un momento di entusiasmo ripetere: “ti seguirò dovunque tu vada” e poi nell’ora della prova fuggire.
La Vocazione cristiana esige prontezza e abbandono del passato, è perciò rinuncia e distacco: “lascia che i morti seppelliscano i loro morti”.
La Vocazione cristiana esige perseveranza: “Chi persevererà fino alla fine sarà salvo”.
Il Signore non si accontenta di donazioni parziali, condizionate, a part-time… . “Chi mette mano all’aratro e si volta indietro non è degno di me”.
L’aratro, simbolo del lavoro di Eliseo, diventa segno del nuovo lavoro nella vigna del Signore dove c’è posto per tutti. Non si può nascere stanchi e vivere per riposare, non si può essere pigri e contemporaneamente cristiani.
Modello di compimento di ogni vocazione è Gesù stesso che prendendo la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme, sa di andare incontro alla volontà del Padre che vuole realizzata la sua missione attraverso la morte, la resurrezione e l’ascensione al cielo del suo Figlio.
Gesù in questo viaggio realizza così la sua vocazione. Il suo andare a Gerusalemme può essere considerato l’emblema del cammino della Chiesa che ha costante bisogno di seguirne le orme per compiere la sua vocazione e la sua missione.
È in Gesù che ogni discepolo deve riconoscersi prendendo ogni giorno la sua croce, rinnegando se stesso e mettendosi dietro a lui. E anche quando la sua missione dovesse registrare insuccessi, rifiuti, persecuzioni, la fiducia del discepolo deve rimanere intatta e serena, perchè lui, il maestro, ce lo ha assicurato: “io sarò con voi fino alla fine del mondo”.
Papa Francesco ci ricorda che il nostro è un Dio “fedele, perché Lui mai può rinnegare se stesso: Lui è la fedeltà” (Santa Marta, omelia del 25/06/2013 . Sia questa la speranza certa che sostiene ogni vera vocazione cristiana, della quale Maria è testimone e custode.
Lascia un commento