XV Domenica del Tempo Ordinario: la cultura del benessere ci ha reso insensibili alle grida del sofferente!
Prendendo la Parabola del Buon Samaritano come immagine del cammino pastorale della nostra Chiesa, possiamo cogliere in essa quattro momenti.
– Il primo momento è come un’introduzione scenica.
In alto sta Gerusalemme, con le sue mura sicure, le case accoglienti, il tempio di Dio che offre bellezza e protezione. Mille metri più in basso, Gerico, la città delle rose, si stende sulle rive del Mar Morto a trecento metri sotto il livello del mare. Tra le due città una zona aspra e desertica, con una strada piena di imprevisti e di pericoli. Un uomo, che scende da Gerusalemme a Gerico, incontra dei briganti, che gli portano via tutto, lo bastonano e fuggono, lasciandolo mezzo morto.
….. – Il secondo momento della parabola ci presenta il penoso spettacolo della durezza del cuore.
Un sacerdote e un levita, che percorrono quella strada, passano oltre, senza prestare soccorso. La loro durezza è l’immagine della nostra. I bisogni dei fratelli ci mettono in difficoltà. Rimaniamo chiusi in noi stessi e scarichiamo sugli altri le responsabilità. I rapporti sociali che ci legano ai nostri simili, senza la scintilla della carità, restano inerti. Dobbiamo esaminare umilmente le difficoltà che le nostre comunità incontrano nell’esercizio della carità.
– Il terzo momento è il cuore di tutta la narrazione. Consta di una sola parola greca, che significa: fu mosso a compassione. [Avere compassione in questo Vangelo appare altre due volte: quando Gesù vede il figlio morto della vedova di Nain, ne ebbe compassione e lo risuscita, quando il Padre del figliol prodigo vede il figlio ne ha compassione e gli restituisce la vita. ]
Essa designa l’intensa commozione e pietà da cui fu afferrato un samaritano, che passava per quella stessa strada. Non pensiamo soltanto a un risveglio di buoni sentimenti.
In altri passi della Bibbia questa parola allude all’immensa tenerezza che Dio prova per ogni uomo. Dobbiamo pensare che con questa parola il racconto evangelico voglia descrivere un evento misterioso che è accaduto nel cuore del samaritano e lo ha, per così dire, attratto nello stesso movimento di misericordia con cui Dio ama gli uomini. …
– Il quarto momento è una conclusione movimentata, tutta premura e azione: il samaritano si avvicina allo sfortunato, si fa prossimo, versa vino e olio sulle ferite, le fascia; carica lo sconosciuto, fatto diventare prossimo, sul proprio asino e lo porta alla locanda; sborsa due monete d’argento per le cure che saranno necessarie. La cosa più bella è che non lo abbandona al suo destino. Sa che può aver bisogno di tante altre cose; allora dice al padrone della locanda: “Abbi cura di lui e, anche se spenderai di più, pagherò io quando ritorno”. ( Carlo Maria Martini – “farsi prossimo” – [1985-86] )
La strategia dell’ora giusta
Dobbiamo mettere in atto la stessa strategia del samaritano, dell’ora giusta. La sapete no la parabola del buon samaritano che arriva sul ciglio della strada, vede un povero che sta perdendo sangue e gli tampona subito le ferite, versa olio e aceto e poi gli fascia le ferite. Eccolo il pronto intervento!! è inutile che ti metti a discutere sulle cause della sofferenza planetaria quando devi tamponare te ferite.
Però il samaritano si accorge che da solo non ce la fa: vede che quello continua a perdere sangue, lo porta all’ospedale più vicino e gli fa fare la TAC, le analisi, e trascorre la notte con lui perché il Vangelo dice: “Il giorno dopo levatosi diede una moneta al primario, all’oste, e disse: “Prenditi cura di lui, al mio ritorno ti rifonderò il resto”. Qui c’è il secondo momento dell’analisi delle situazioni: vedere da dove arrivano tutte le situazioni perverse che giungono a noi come le ultime branchie di un polipo che ha la testa in chissà quale bottega oscura della terra; chissà quali Cagliostri macchinano queste ingiustizie planetarie di cui a noi giungono gli ultimi tentacoli.
Il credente o l’uomo di buona volontà che oggi vuole impegnarsi a condividere la sofferenza degli altri, non deve limitarsi a mettere il borotalco sulle ferite, a sanare le pustole superficiali, epidermiche, ma deve andare a fare l’analisi della situazione perversa da cui derivano quelle manifestazioni esantematiche.
Qui noi siamo carenti anche come comunità cristiana perché abbiamo tantissima esuberanza, veniamo incontro con i pacchi dono, con la S. Vincenzo, ecc. … tanta esuberanza, tanta buona volontà, però chiaramente dobbiamo impegnarci come credenti, questa è la piazzola nuova o il ring nuovo dove dobbiamo combattere la battaglia: l’analisi della situazione. Così si condivide veramente, così ci si batte per la giustizia che è il prologo della pace: fare l’analisi della situazione.
Quindi il samaritano dell’ora giusta, il samaritano dell’ora dopo, ma c’è anche il samaritano dell’ora prima!!, questo lo invento io, non c’è sul Vangelo. Se il samaritano fosse partito un’ora prima, fosse giunto sul luogo del delitto un’ora prima, al momento dell’aggressione, il crimine non sarebbe stato compiuto sulla strada, cioè bisogna giocare d’anticipo.
Una comunità cristiana, ma anche un’istituzione pubblica, oggi deve prevedere a lunga gittata come andranno le cose. Dove va a finire la gioventù di oggi: i ragazzi quando escono dalla scuola quali sbocchi occupazionali troveranno? Questo scrutare l’aurora è proprio delle sentinelle, degli episcopi; coloro che sorvegliano stanno solo per vegliare, vegliare nella notte.
Nel Vangelo di Natale abbiamo letto: “C’erano dei pastori che vegliavano nella notte facendo la guardia al gregge”. Questo è compito dei sindaci, dei vescovi, dei sacerdoti, di tutti li uomini di buona volontà: “C’erano dei pastori che vegliavano nella notte facendo la guardia al gregge”. Questo giocare d’anticipo deve far parte del nostro stile di credenti, perché altrimenti siamo solo dei romantici che fanno dei discorsi, delle belle manifestazioni, delle lotterie, però la condivisione non si scatena mai in termini credibili e forti.
Così per tutte le altre cose: per i problemi della tossicodipendenza, degli sfrattati; a volte bisogna avere il coraggio della denuncia pubblica. Quante situazioni ci sono … non so se sto dando più spazio alla speranza o alla lamentela!! Ma non importa; quando la lamentela è intrisa di accenni di risurrezione è sempre uno stimolo.
In chiesa c’è un canone bellissimo, un preghiera che dice: “Donaci Signore occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei poveri”. Se lo chiediamo come preghiera è perché veramente non ce ne accorgiamo, abbiamo gli occhi chiusi, non riusciamo a vedere le situazioni di povertà. Ci sono delle cose incredibili.
(relazione che Mons. Tonino Bello ha tenuto a Castelplanio il 4 febbraio 1988.)
La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi
Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto.
La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza.
In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza.
Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro.
( Papa Francesco – Dall’omelia della Messa nella visita a Lampedusa – 09 Luglio 2013 )
Lascia un commento