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XXX domenica del T.O. – Consegnarsi interamente alla misericordia di Dio, non avendo niente da presentare che meriti il perdono.

fariseo e pubblicano rrLuca ha preso la parabola dalla tradizione propria, inquadrandola in una introduzione ( v 9 ) e una conclusione ( v. 14 b) redazionali, reinterpretandola così per i suoi lettori.
   In origine non si tratta di un insegnamento sulla preghiera; l’immagine di due uomini fotografati mentre pregano è soltanto il modo di coglierli nell’occasione più significativa per dire qualcosa a Dio, sul suo amore per gli emarginati, e nello stesso tempo criticare una pietà sbagliata.
         Luca invece da un orientamento parenetico al racconto, ponendo al centro dell’interesse il comportamento morale di questi due uomini ….  (Gérard Rossé: Il vangelo di Luca: commento esegetico teologico)
 L’evangelista scrive che Gesù disse questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti dove giusti significa “a posto con Dio” – e disprezzavano gli altri.
 E presenta gli antipodi della società di Israele, il Santo per eccellenza, il Fariseo, la persona che, come dice il nome (fariseo significa separato), si separa dagli altri attraverso la pratica religiosa, le osservanze, addirittura maniacali, e la persona ritenuta la più impura, la più distante da Dio, il pubblicano, un individuo che, anche se volesse, non può più cambiare quel mestiere che lo rende impuro. ( A. Maggi )
 Il fariseo innalza una preghiera di ringraziamento a Dio.
Nella prima parte ( v. 11b) mette in luce la sua impeccabilità nei confronti del decalogo: egli non ha trasgredito la legge. …
La preghiera del fariseo, nonostante le apparenze, è ben ambientata, e non ha dunque nulla di riprovevole, neppure quando aggiunge “ come questo pubblicano” dal quale prende giustamente le distanze…
  Il fariseo sa anche che questa sua vita così impeccabile, di cui può essere fiero, è un dono di Dio; per questo egli lo ringrazia.
         Nella seconda parte della preghiera, il fariseo elenca le sue prestazioni.
Non solo osserva i comandamenti della legge, ma fa di più di quanto la legge prescrive. Egli nomina due opere meritorie che corrispondono alla pratica farisaica del tempo di Gesù:
–         Digiuna due volte la settimana. Oltre al digiuno pubblico obbligatorio, il giorno dell’Espiazione ( Lv 16,29-31; Nm 29,7)  a qualche digiuno pubblico occasionale ( cf Ne 9,1) ; ai digiuni privati, esisteva anche un digiuno volontario regolato, per i giorni di lunedì e di giovedì. Questa pratica serviva a colmare eventuali omissioni e trasgressioni involontarie del fariseo, ed era anche intesa come espiazione per il popolo.
 –        La decima era richiesta al contadino su frumento, olio e vino, e sul primogenito del bestiame ( Dt 12,17; 14,22-29) . Nell’incertezza che il contadino abbia assolto a questo dovere, il fariseo paga la decima sui prodotti in questione, o più in generale, su tutti i prodotti della terra che compra al mercato ( Mt 23,23) , o addirittura paga la decima su tutto quanto acquista, come lascia intendere l’affermazione del v, 12b.
       Anche in questa enumerazione il fariseo non esagera, ma dice la verità.
La descrizione presenta dunque un condensato di osservanze e di prestazioni che permette all’ascoltatore della parabola di porre il fariseo nella definizione del “pio” o “ devoto”.
 Il pubblicano stava a “distanza”: inutile localizzare la sua posizione del tempio; è il posto che compete a chi è lontano da Dio.
  Due gesti dicono la sua condizione di grande peccatore:
    Non voleva, cioè non osava alzare gli occhi al cielo: atteggiamento spesso, ma non necessariamente ( cf 1 En 13,5) messo in relazione col pregare ( Mc 6, 41; Gv 11,41; 17,1) ; nel pubblicano, denota un o stato di vergogna, di confusione;
     Si batteva il petto , sia in segno di pentimento, sia come gesto di disperazione.
   La preghiera del pubblicano è molto concisa e ricorda l’inizio di Sal 51,1; egli si consegna interamente alla misericordia di Dio, non avendo niente da presentare che meriti il perdono.
   Il ritratto del pubblicano fatto da Gesù corrisponde all’opinione che il giudeo ha di Lui: un peccatore, non un uomo ingiustamente giudicato dalla società, un santo misconosciuto , anche se l’evangelista vi leggerà poi l’atteggiamento di un individuo particolarmente umile.
   Il pubblicano sa di essere  interamente  peccatore; non si dà neppure la pena di enumerare – in un parallelismo  antitetico con il fariseo – l’elenco dei suoi peccati.
Non ha altra scelta che riconoscersi tale e implorare la misericordia divina, l’unica cosa che può chiedere, non avendo nulla di buono da offrire a Dio, neanche la sua conversione, (perché, secondo l’opinione comune, essa aveva valore e poteva suscitare il perdono dopo una lunga preparazione; nel caso del pubblicano egli avrebbe dovuto abbandonare il suo mestiere e restituire al 120 per cento tutto ciò che aveva disonestamente acquisito. )
     Se non si fosse trattato di caricatura gli ascoltatori di Gesù non avrebbero avuto difficoltà a riconoscere nella descrizione del fariseo il tipo di uomo giusto davanti a Dio, un modello da ammirare; e un quella del pubblicano un peccatore senza scampo.
   Con un solenne “ vi dico” Gesù afferma di conoscere e di proclamare il giudizio di Dio: “ vi dico questi discese giustificato e non l’altro”.
    La risposta di Gesù doveva apparire sconcertante e scandalosa.

Il pubblicano che si riconosce  peccatore è proclamato gradito a Dio ( senza dover fare penitenza … ) ( Gérard Rossé: Il vangelo di Luca: commento esegetico teologico)

 Quella che Gesù ha presentato è una novità che forse ancora non riusciamo a comprendere ma che ci deve spingere a questo imperativo: Il Signore non ci chiede di essere santi, perché la santità separa dagli altri, forse avvicinerà a Dio, ma inevitabilmente allontana dal resto della gente (la santità intesa come osservanza di regole, di pratiche religiose).
Gesù ci chiede di essere la carezza compassionevole del Padre per ogni creatura; non amare l’altro per i suoi meriti, ma per i suoi bisogni. ( A. Maggi )
Sì, l’autentico incontro con Dio e con Gesù Cristo coincide … con la scoperta dell’abissale distanza che lo separa dal Signore.
Ecco perché la preghiera: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» è quella che meglio esprime la nostra condizione: siamo chiamati a riconoscere le nostre cadute e ad accettare che Dio le ricopra con la sua inesauribile misericordia, l’unica cosa veramente necessaria nella nostra vita…   (E. Bianchi)

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