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VII Domenica del T. O. – Il nemico c'è perchè lo produciamo noi … La novità del nostro essere cristiani è vivere senza avere nemici !!!

Gesù parlaDa due domeniche siamo in ascolto del discorso della montagna, fatto da Gesù ai discepoli e alle folle, secondo Matteo. Oggi ascoltiamo le ultime due antitesi pronunciate da Gesù: “Avete inteso che fu detto … ma io vi dico”. ( E. Bianchi )
Gesù continua a prendere le distanze dalla legislazione di Mosè per presentare un’alternativa di società e un modo nuovo per rapportarsi con il Signore .
 «Ma io vi dico: ‘Non opporvi al malvagio’»”.
Non significa questo invito di Gesù ad essere delle persone passive che accettano ogni prepotenza. Il cristiano non è questo, anzi. Ma significa spezzare il cerchio della violenza, proporre iniziative di bene, di amore e di pace, che disinneschino questo odio e questa violenza che si abbattono su di te.
Per questo quando Gesù dice «Se uno di da uno schiaffo sulla guancia destra tu porgigli anche l’altra»”, non significa passare da stupidi. Gesù non ci chiede di essere stupidi, tonti, ma buoni fino in fondo.
Di fatto l’unica volta nel vangelo di Giovanni che Gesù prende uno schiaffo, mica ha presentato l’altra guancia, ma ha detto: “Se ho sbagliato mostrami dove ho sbagliato, se non ho sbagliato perché questa violenza?”
Quindi Gesù invita a non opporre alla violenza che viene addosso altra violenza, altrimenti questa cresce e poi dopo diventa un crescendo interminabile di violenza che genera altra violenza.  …
 Il credente è colui che, di fronte alla violenza dell’altro, gli fa comprendere:  … Poi Gesù passa a toccare uno dei piedistalli della spiritualità ebraica, «Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il tuo prossimo …e odierai il tuo nemico … ma io vi dico: amate i vostri nemici’ ( A Maggi )
 … Il nemico c’è perché lo produciamo noi. Noi produciamo l’immagine del nemico, gli diamo una maschera colorata dalla nostra passione, dal nostro risentimento e dai nostri interessi. Il nemico diventa terribile. Questo è vero anche nell’ educazione dei bambini.
Ricordo che quando ero piccolo la stessa parola «austriaco» mi faceva paura e quando per caso incontrai un austriaco lo guardai meravigliandomi che fosse un uomo come gli altri.
Ci avevano insegnato che gli austriaci erano i nemici. Simili condizionamenti, in tempi più tragici come il nostro, possono essere fatali.
La prima condanna che noi dobbiamo far nostra e meditare per trasformarla in sostanza culturale, in clima quotidiano, è quella dell’idea del nemico: non ci sono nemici.
Lo so che a livello politico possono esserci, ma ne prenderò atto nel regime di necessità in cui mi trovo, ma quel regime di necessità. non sarà costituito da una specie di impulso biologico.
Come ho detto più volte, la novità del nostro essere cristiani, in questo ultimo scorso del secondo millennio, è che oggi potremmo finalmente vivere senza avere nemici.
Noi siamo stati educati, sempre, all’idea che i cristiani hanno dei nemici.
…   Chi ha paura dei nemici ha una paura che nasce dal fatto che è lui il nemico, è lui che ha prepotenze interne, ha volontà di conquista, ha la libidine del potere ed è proprio per camuffare questa sua ferinità che egli si costruisce l’avversario.
C’è tutta una storia di avversari che abbiamo combattuto mentre il male era dentro di noi.
Finalmente ci è possibile – non è che questo sia un costume generalizzato – dirci cristiani senza avere nemmeno un nemico. E se per caso c’è un nemico, è quello a cui vogliamo bene, per cui preghiamo e che semmai vorremmo smontare, dal suo stato di ingiusta inimicizia, attraverso un di più di amicizia: questo ci dice il Signore.
Non e questo un principio riservato ad una élite, è un principio che è condizione di sapienza per tutti gli uomini: questa è la nostra certezza.
Siamo arrivati ad un punto in cui la stoltezza di questo mondo ha toccato e il limite, e il limite è quello in cui una tendenza si sviluppa fino a negare se stessa.

(Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 1)

Per ‘amare’ Gesù non ha scelto il verbo greco fileo, da cui filosofia, filantropia, una mole di benevolenza che riceve qualcosa in cambio, ma il verbo agapao, da cui la parola agape che tutti conosciamo, che significa un amore che è indipendente dalla qualità di colui che lo riceve, è indipendente dalla risposta dell’altro. Quindi di un amore che non guarda i meriti della persona che viene amata, un amore che si genera per il bisogno dell’altro, non per la risposta che se ne può avere. ….

 E poi Gesù dà un’immagine di cosa significa questo amore, «Egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni»”, è un’offerta di vita che è rivolta a tutti.
Il Dio di Gesù non è buono, è esclusivamente buono, lui non guarda i meriti delle persone, ma guarda i loro bisogni. Non è il Dio che premia i giusti e castiga i malvagi, ma a tutti, giusti e malvagi, offre il suo amore.
E poi Gesù fa un altro esempio, «E fa piovere sui giusti e sugli ingiusti»”. Quindi questi esempi, che sono comprensibili a tutti, il sole e la pioggia, vogliono dire che l’amore di Dio è un amore dal quale nessuna persona si può sentire esclusa. Gesù non discrimina tra meritevoli e no, tra puri e impuri, ma il suo amore si rivolge a tutti quanti.
E poi Gesù dice: “Se amate e salutate”, e prende le categorie ritenute più lontane da Dio, i pubblicani, quelli che erano impuri fino all’essenza stessa della persona e i pagani, quelli che avevano altre divinità.
“Se amate e salutate quelli che vi amano e vi salutano che fate di più? Siete come quelli che sono impuri profondamente e quelli che sono senza Dio, i pagani”.
Ed ecco l’invito finale di Gesù: «Voi dunque siate perfetti …»”, che significa essere pieni, completi, “«come è perfetto il Padre vostro celeste»”. Ecco, dopo tutto questo, allora capiamo bene cosa significa questo invito alla perfezione. Significa essere buoni fino in fondo. E questa non è una virtù, un eroismo straordinario possibile soltanto ad alcuni, ma essere buoni fino in fondo è dentro le capacità e le possibilità di ogni persona.
Quando si realizza questo la vita del credente si intreccia con quella di Dio e diventa una sola cosa; l’uomo permette a Dio di essergli Padre e sperimenta la sua presenza intima, profonda, in ogni avvenimento della propria esistenza e della propria vita. ( A. Maggi )
 
 
 

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