V Domenica di quaresima: Il Signore non risuscita i morti, ma dona ai vivi una vita capace di superare la morte.
La Pasqua è ormai vicina, e la chiesa ci invita a meditare sul grande segno della resurrezione di Lazzaro, profezia della resurrezione di Gesù. ( E. Bianchi )
… La risurrezione di Lazzaro come è prospettata da Giovanni, non può essere messa nel conto di tanti miracoli compiuti dal Signore così come vengono elencati dai Sinottici.
È vero che ognuno di questi miracoli è ad un tempo partecipazione alla morte e partecipazione alla risurrezione per anticipazione, ma è vero che qui lo è in una maniera fortissima, veramente tipica, e perciò Cristo vive qui la risurrezione perché vive la passione.[…]
Cristo come uomo non può redimere dalla morte: lʼamore è totale e come fratello non ce la farebbe – soltanto come fratello – ma come Dio, essendo veramente lʼamore di Dio totale, spirituale e viscerale, investe tutta lʼumanità e allora, nella sua umanità, combatte contro le potenze e le vince.
Come uomo è impotente, e come Dio è vittorioso delle potenze che combattono contro di lui in quel momento e che gli vorrebbero impedire di realizzare la sua volontà. […]
Lʼamore di Dio che si canalizza in noi attraverso lʼumanità del Cristo con la quale prendiamo contatto attuale e pieno nel Sacramento, ci anticipa tutto lʼuniverso della Risurrezione. Ed è veramente il Sacramento la nostra vita eterna (G. Dossetti, Omelia nella V domenica di quaresima A, 19 marzo 1972: dalla viva voce, senza la revisione dellʼautore).
Lo stupore per la creazione è morto in noi. Allora, di fronte alla promessa della Resurrezione diciamo: «Ma come è possibile questo?».
La possibilità si misura sullo Spirito di Dio, presso il quale niente è impossibile. «Credi in questo?» disse Gesù a Marta. Ecco il dialogo estremo, il centro focale di ogni nostra riflessione di credenti. «Credi in questo?».
Non è mica frequente che i credenti e i frequentatori delle chiese siano interpellati sulla Resurrezione. Per lo più essi vanno verso il futuro con le risorse immaginative di cui la natura è ricca.
Essi immaginano un paradiso proiettandovi tutto l’insieme dei desideri inappagati: se lo fabbricano (e i predicatori aiutano all’opera) in modo che sia una consolazione che si sorregge sull’assenza di spirito critico e sulla mancanza di confronto diretto con le contraddittorie parole che vengono dalla Scrittura. La quale, notate, mentre ci parla della vita non ce ne dà la descrizione.
La vita che non ha bisogno di aggettivi è la vita di fronte alla quale ogni altra vita è pallida analogia, riflesso insufficiente.
Essa è la forza dello Spirito di Dio che si comunica a noi.
Allora la certezza della fede del credente nasce come certezza sufficiente a se stessa; non ha argomenti su cui appoggiarsi, perché anzi, dentro i confini del finito, dell’esperienza, tutto è contro questa certezza.
Eppure essa è una certezza che si impone: si annuncia e si testimonia.
Allora noi comprendiamo quale sia il compito del cristiano: come cristiani non abbiamo da fare altro che lottare per la vita.
Questa parola, filtrata attraverso le accezioni scientifiche e filosofiche, si frange di fronte all’immaginazione, perde ogni significato accettabile.
Cos’è la vita?
Quando diciamo questa parola nella interiorità profonda, che è anteriore allo stesso concetto, sentiamo che essa raccoglie in sé una totalità: la vita è Dio.
Allora noi possiamo andare verso il futuro poggiandoci su questa certezza, perché essa non è consolatoria o marginale, in quanto – come ho spiegato prima – emerge da un impegno quotidiano a lottare per la vita, ad alzare tutte le pietre di tutti i sepolcri. Quest’amore indicibile per la liberazione dell’uomo, per la pace, la gioia, la fraternità è ciò che rende credibile l’ultimo annuncio.
Vorrei dire, noi dovremmo parlare poco di Resurrezione perché, come disse Gesù scendendo dal Tabor, «non raccontate queste cose fino a che io non sarò risorto».
E noi dobbiamo dire che queste cose non si possono raccontare se non quando saremo nel paese che Dio ci ha preparato.
C’è una specie di segreto arcano su questa verità.
Però essa si spende, si paga e si rivela in una specie di solidale, indissolubile amore per la vita dell’uomo, per la liberazione che possiamo compiere perché le ossa non siano aride e le speranze non siano finite, in una specie di passione per tutta la novità che può germogliare in un mondo che sembra spesso destinato alla dissoluzione della morte, all’odio – che è l’altra faccia dell’amore – o tutto ciò che significa morte, violenza, trama contro la vita… (Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – Vol. 1 – Anno A)
Gesù viene a cambiare il concetto della vita e della morte.
Il Signore non risuscita i morti, ma dona ai vivi una vita capace di superare la morte.
La vita eterna non è più una speranza per il futuro, ma una certezza del presente.
…. Gesù chiede a Marta: “«Credi questo?»” “E Marta risponde: «Sì, o Signore, io credo»”. Ora finalmente non sa, ma crede e dà adesione, «Che tu sei il Cristo il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo»”. [ c’era la scomunica per quanti riconoscevano in Gesù il messia]
Fintanto che la comunità crede che Gesù sia un profeta, un inviato da Dio, gode di simpatia nel popolo, anche tra i capi. Ma, quando riconosce che Gesù è il messia, è lì che incominciano i problemi.
[ Dinanzi alla morte di Lazzaro ] le sorelle e i Giudei piangono ed è il pianto che significa disperazione per qualcosa che non c’è più.
Ebbene Gesù, vedendo tutto questo, qui traducono con ‘si commosse profondamente’ non si commosse; il verbo indica ‘sbuffare’; Gesù freme perché vede che la sua comunità la pensa esattamente come i suoi nemici, i Giudei. Non hanno ancora compreso la novità che lui già aveva detto, che la vita che lui comunica è capace di superare la morte.
Gesù già l’aveva detto: “Chi osserva la mia parola non morirà mai”, ma ancora non è stato capito. Allora, “Molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?»” Cioè, siete voi che lo avete messo da qualche parte.
E Gesù non ‘scoppiò in pianto’, ma lacrimò.
L’evangelista distingue il pianto dei Giudei e delle sorelle, che è un pianto di disperazione, e il lacrimare di Gesù che è espressione di dolore.
Allora Gesù, sempre fremendo, si reca al sepolcro – era una grotta – “contro di essa era posta una pietra”. ...
“Tolsero dunque la pietra e Gesù gridò a gran voce …”, lui si rivolge ad un vivo, “«Lazzaro, vieni fuori!»” perché il regno dei morti non è il luogo per un discepolo di Gesù.
Chi ha dato adesione a Gesù, ha lo spirito, e lo spirito è vita. E là dove c’è la vita, non ci può essere la morte. ( A Maggi )
“Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11,43) è il grido che il Signore fa risuonare nel tempo per liberare non solo dalla prigionia della morte, bensì dalla prigionia del tempo vissuto nell’illusione e nella frustrazione. Chi si lascia risuscitare come Lazzaro dal Dio che gli viene incontro e piange sulla sua creatura mostrando quanto la ama (cf Gv 11,33-36), vive l’esperienza della liberazione dal non senso, dall’angoscia di un tempo chiuso all’orizzonte dell’eternità. ..
Dire a qualcuno: “Lazzaro, vieni fuori!” significa proporgli la gioia e la pace di gustare il presente come ora della venuta del Signore, attesa del suo ritorno per prenderci con Lui nella gloria. (C. M Martini )
[ Al momento resurrezione di Lazzaro] tre i verbi imperativi che Gesù comanda alla sua comunità e sono “togliere”, “sciogliere” e “lasciare”.
Il primo “togliete la pietra”: siete voi che avete messo questa pietra che impedisce la comunicazione tra i morti e i vivi.
“ «Scioglietelo»”, sciogliendo il morto è la comunità che si scioglie dalla paura della morte.
“«Lasciatelo andare»”. Ma dove deve andare Lazzaro? O meglio, dove deve andare il morto? Deve continuare il cammino verso il Padre.
Il verbo ‘andare’ nel vangelo di Giovanni è usato per Gesù per indicare il suo itinerario verso il Padre. Allora cosa vuol dire l’evangelista attraverso queste immagini?
Che è la comunità che deve liberarsi dall’idea della morte come fine della persona perché, fintanto che si piange una persona come morta, non la si può sperimentare come vivente.
Allora bisogna sciogliere il morto, lasciarlo andare verso il Padre, dove Lazzaro già è, vivo, vivente più che mai. ( A Maggi )
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