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XXII Domenica del T.O. – " Come Pietro ci piace la fede ortodossa, siamo ossessionati e ossessionanti nel difenderla, nell’incastonarla in formule, ma quanto a viverla, no, non ce la facciamo…"

Crux a ” Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre..”
La seduzione di cui parla Geremia non ha nulla di romantico, invece ha molto di tragico.
Secondo l’uso di questo termine, è la seduzione che subisce chi viene adescato con inganno: Geremia si sente mortalmente imbrogliato dalla stessa parola di Dio che era stato inviato ad annunciare.
Vorrebbe non più dirla («non parlerò più nel suo nome») ma non ci riesce («ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo»).
Geremia ama la Parola più ancora della sua attuazione. Ama Dio più delle promesse di Dio, cerca Dio più delle sue consolazioni. ( A. Vianello )
[ La pagina evangelica di questa domenica ] – dobbiamo confessarlo con sincerità – ci scandalizza. È una pagina Bianchi mche, di fatto, costituisce un ostacolo alla nostra fede, una pagina che ci contraddice in profondità; e, soprattutto, quando questa pagina diventa anche solo un frammento della nostra vita, ci scuote fino alle fondamenta della fede e della vita.
Pietro, interrogato da Gesù circa la sua identità, sotto l’impulso dello Spirito santo inviatogli dal Padre ha appena confessato che Gesù è il Cristo, il Messia, il Figlio Unto da Dio; che in lui si compiono le promesse fatte a David (cf. Mt 16,15-17) : se dunque Gesù è il Messia promesso, che cosa si deve attendere?
Si deve attendere innanzitutto la sconfitta dei nemici, il trionfo del Messia e del suo popolo, un tempo di giustizia e di pace, un tempo favorevole ai poveri e ai giusti, a quanti hanno atteso e preparato il giorno del Messia.
Se Gesù è il Messia, un’attesa millenaria sta per essere colmata e “il giorno del Signore” (Am 5,18.20; Gl 1,15; 2,1.11; 3,4; 4,14, ecc.) sta per avvenire nella storia: allora il Signore regnerà veramente e definitivamente attraverso il suo Messia, dunque attraverso Gesù!
Questa è la fede, questa è la speranza del credente, del discepolo di Gesù, che ha deciso di seguirlo in vista del regno di Dio.
Ma… ecco l’inedito: “a partire da quel momento” – dice il vangelo –, cioè solo dopo la proclamazione di Pietro, “Gesù cominciò (érxato) a mostrare”, a insegnare qualcosa di nuovo e di inatteso.
Sì, lui è il Messia, ma per ora non bisogna proclamarlo né dirlo; e come Messia egli ora deve andare a Gerusalemme, dove lo attenderà il soffrire molte cose (pollá) da parte del potere religioso (anziani, capi dei sacerdoti e scribi), l’essere addirittura condannato come uomo nocivo alla società, come delinquente, l’essere quindi ucciso con violenza e il risorgere il terzo giorno.
È un annuncio nuovo, che risuonerà altre due volte (cf. Mt 17,22-23; 20,17-19) durante il cammino verso la città che “uccide i profeti” (cf. Mt 23,37) .
È un annuncio certo, verso il quale Gesù si prepara e tutto predispone, sapendo che questa fine “è necessaria” (deî), non perché penda su di lui un destino crudele o un fato ineluttabile, né tanto meno perché il Padre lo voglia vittima o sacrificio.
No, è così semplicemente perché nel mondo umano, il nostro mondo, colui che appare giusto viene odiato dagli altri; chi “ama fino alla fine” (cf. Gv 13,1) viene detestato; chi fa soltanto il bene, dicendo sempre la verità, dà fastidio e dunque “merita” di essere eliminato.
Come dimenticare, al riguardo, i perversi ragionamenti degli empi di fronte al giusto, narratici dal libro della Sapienza (cf. Sap 1,16-2,20) , ragionamenti che sono i nostri? Davvero, noi umani abbiamo paura della giustizia, della libertà, della bellezza: preferiamo ucciderle in chi ne è portatore, piuttosto che confrontarci con esse.
Ecco la “necessitas” della passione di Gesù, una necessità intraumana, alla quale Gesù potrebbe sfuggire soltanto rinnegando giustizia, libertà e bellezza, ed essendo così uguale a noi.
Guai a chi bestemmia il nostro Dio, leggendo in questa “necessitas” annunciata da Gesù la volontà del Padre, il desiderio del Padre che lui soffrisse e morisse per espiare i nostri peccati.
Chi pensa o dice così, dà a Dio l’immagine di un Padre perverso, cattivo, un’immagine che è un sacrilegio!
Ma questa verità è talmente inedita, difficile da portare, faticosa contemplazione (theoría: Lc 23,48) , che di fronte a essa noi diciamo: “No, non è possibile!”, e come Pietro protestiamo: “Signore, questo non ti accadrà mai!”.
Ci piace la fede ortodossa, siamo ossessionati e ossessionanti nel difenderla, nell’incastonarla in formule, ma quanto a viverla, no, non ce la facciamo: preferiamo diventare vigliacchi, con “il cuore diviso” (Sal 12,3).
Diciamo sì a un Messia trionfatore sui nemici, no a un Messia vittima della nostra stessa cattiveria.
Così facendo, quanti cristiani diventano ostacolo alla comprensione di chi è veramente Gesù… Diventano, letteralmente, Satana, avversari (come Gesù definisce, rimproverandolo, Pietro), che impediscono a se stessi e agli altri uomini e donne di vedere Gesù come nostro fratello vittima dell’ingiustizia e della violenza, e Dio come un Padre buono che lascia fare e non interviene, poiché rispetta l’uomo anche nella sua malvagità.
Sì, Dio lo comprende e per questo dirà, con Gesù sulla croce: “Vi perdono perché non sapete quello che dite né quello che fate” (cf. Lc 23,34).
Confessare Gesù quale Messia è confessare – come dice l’Apostolo Paolo – un Messia crocifisso, scandalo, ostacolo per gli uomini religiosi, e follia, idea pazza per gli uomini non credenti (cf. 1Cor 1,23).
È confessare “un Messia al contrario”.   ( E. Bianchi )
 
balducci ….guardate come in che modo la maniera di pensare secondo gli uomini ha svuotato la croce di Cristo.
Su dieci cristiani, quando dico: «Chi non prende la mia croce e mi segue, non è degno di me», nove pensano subito che la croce voglia dire la croce delle tribolazioni, delle malattie…; insomma la rassegnazione, che è l’opposto assoluto di ciò che dice il Signore.
        La lettura del Vangelo secondo gli uomini è una esortazione alla rassegnazione e invece, come sapete, Gesù non fu un rassegnato, anzi «è necessario che io sia condannato».
 Perché è necessario?
Gesù Cristo è un fanatico?
È necessario perché la scelta che io ho fatto il giorno in cui dissi a Satana: «vai indietro», in cui rinunciai al dominio,al lenocinio del benessere fisico ed al miracolo – le tre rinunzie di Gesù nel deserto – porta inevitabilmente alla mia condanna!
E quello che Pietro non capiva, non poteva capire se non per barlumi.
Ma noi forse lo abbiamo capito?
Noi abbiamo fatto della fede in Cristo la religione della rassegnazione al punto tale da meritare rimproveri severi da chi ha accusato la religione cristiana di essere un oppio. Aveva ragione, perché per lo più è un oppio che con la premura di un al di là felice, legittima il mondo così com’è.
È lo svuotamento totale della profezia evangelica, è l’annientamento della necessità interiore.
Questa necessità ha un ordine suo, come le necessità che partono da scelte interessate, egoistiche, sia pure di tipo collettivo.
Spesso l’ègoismo, la ricerca del bene particolare, costi quel che costi, passa dall’individuo alla classe, dalla classe alla nazione.
Lo vedete come l’orizzonte si oscura per questa passione in cui non c’e alcun riflesso di universalità vera, di premura per l’umanità.
È proprio a manifestazione di peccato, che in certi momenti sembra non esserci, ma è come un’ombra nera che sta sotto la superficie della nostra euforia quotidiana e che in certe occasioni viene a galla e fa notte.
Questa necessita, se uno la sente, non lo lascia più in pace, è come un fuoco nelle ossa a cui non si può resistere. […] Allora uno dà la propria vita e la salva.
Questo è il segreto del Vangelo. Dare la propria vita non vuol dire andare cantando sul patibolo, vuol dire non prendere come ragione delI’esistenza la necessità secondo gli uomini, ma la necessità interiore, piantare lì il fondamento dei nostri progetti.
Allora si vive in questo movimento che ha avuto nella parola di Gesù Cristo la sua più alta legittimazione e che è un movimento che attraversa l’umanità in tutte le latitudini e longitudini… (Ernesto Balducci – “Gli ultimi tempi ” voI 1 anno A )
 

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